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Inferno Canto 6: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del sesto canto dell'Inferno (Canto VI) della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Gustave Doré, "Il terzo cerchio"

Questo il canto in cui Dante e Virgilio fanno il loro ingresso nel nel terzo cerchio infernale. Qui incontrano Cerbero (un mostruoso cane mastino gigantesco e sanguinario dotato di tre teste) e i lussuriosi, ovvero coloro che in vita hanno ecceduto con cibi e bevande (tra questi Ciacco e la sua oscura profezia sul destino politico della città di Firenze).



Analisi del canto

La struttura
Così come abbiamo visto nel precedente canto con la descrizione dei lussuriosi, anche il canto VI dedica un intero cerchio infernale, stavolta per i golosi. Il canto può essere suddiviso in tre parti:
  • l'incontro con Cerbero (vv. 1-33), 
  • l'incontro con Ciacco (vv. 34-93);
  • il dialogo tra Dante e Virgilio (vv. 94-115).


Cerbero
Cerbero, la cui descrizione è basata sul Libro VI dell'Eneide di Virgilio e sul poema Metamorfosi di Ovidio, con l'aggiunta di caratteristiche uniche aggiunte dallo stesso Dante, è una mostruosa bestia infernale con tre teste appartenente mitologia pagana posta a guardia dei dannati.


Firenze
Il canto introduce il tema politico, uno dei temi più importanti dell'intera opera ed è legato alla situazione specifica di Firenze e all'esperienza personale di Dante. L'occasione di discutere di politica si ha quando Dante incontra Ciacco.


Ciacco
Ciacco è un concittadino, un contemporaneo di Dante, con il quale entra facilmente in confidenza e dialogano di politica, in particolare quella del comune di Firenze. Per quanto patriottico, Ciacco non sembra essere una persona particolarmente importante nell'ambiente politico. Dante dà l'opportunità a Ciacco di dare un suo punto di vita morale della situazione, che è carico di pessimismo: non lascia intravedere alcuna possibilità di riscatto nei suoi abitanti (che hanno peccato di superbia, invidia e avarizia), condanna la corruzione, il malgoverno e tutti coloro che ostacolano la vita sociale onesta e felice.


La profezia di Ciacco
Ciacco profetizza a Dante che ci saranno scontri tra i Guelfi Neri e i Guelfi Bianchi e i fatti raccontati corrispondono precisamente alla realtà perché si tratta di un evento che è già accaduto, nel 1300, mentre l'opera è stata scritta negli anni seguenti.
Da segnalare che anche il canto sesto del Purgatorio e il canto sesto del Paradiso sono dedicati allo scontro tra papato e impero.


Il tema dottrinario 
Nell'ultima parte del canto, Dante si allontana da Ciacco per chiedere a Viriglio se dopo il giudizio universale le anime soffriranno di più, meno o se la loro pena resterà inalterata. Alla richiesta di spiegazioni di Dante, Virgilio risponde rifacendosi alla teologia scolastica dicendo che quanto una cosa è più perfetta tanto più riceverà bene e male, perché ogni sentimento è amplificato. Da ciò si può dedurre che il ricongiungimento dell’anima al corpo provocherà quindi una pena maggiore per i dannati e una maggior beatitudine per le anime del Paradiso.



Commento

L'aria nauseante e grigia, che fa da cornice al cerchio dei golosi, suggerisce al lettore monotonia e tristezza. In questa area battuta dalla pioggia insistente imperversa Cerbero, il mostro a tre teste, bestiale e orribile. Il cerchio è di quelli che immediatamente rendono l'odiosità della colpa che vi si patisce: la golosità abbassa l'uomo al rango di bestia; è un peccato indegno della dignità umana e Dante ne prende le distanze. Ciononostante, Ciacco, il personaggio con cui parla, ha una sua dignità, in quei frammenti di vitalità che gli sono concessi per avviare il colloquio. Benché incerta sia la sua identità (Ciacco è un nome o un soprannome?), Ciacco si fa tuttavia portavoce di un attacco politico-morale contro i fiorentini, che culmina nella profezia del prossimo trionfo dei Neri. Tradizionalmente i canti sesti delle tre Cantiche vengono inseriti nel filone politico della Commedia, anche se la politica attraversa tutta l'opera dantesca, come un argomento particolarmente caro al poeta.
Superbia, invidia, avarizia: ritornano le odiose fiere che ricacciarono Dante nella selva oscura, vizi radicati nella Firenze del tempo, causa e conseguenza delle guerre tra fazioni nella città. Ciacco li denuncia, sottolineando che i giusti sono estremamente pochi (due, afferma paradossalmente). Il triste sfogo del fiorentino trova Dante concorde e così angosciato della situazione che, spontanea, s'affaccia in lui la richiesta di notizie sui più ragguardevoli e stimati uomini politici del passato: Farinata, il Tegghiaio...
Ma indiscutibile, seppur inaspettata, è l'affermazione di Ciacco: sono tra le anime più nere. Il poeta, sottile conoscitore dell'animo umano, questa volta ha realizzato un colpo di scena, capace di tener alto l'interesse del lettore, rianimare l'ambientazione deprimente della pioggia che batte ossessiva sulle anime immerse nel fango, avviare alla conclusione un incontro inquietante. Nei versi precedenti Dante ha infatti saputo che i Bianchi, prima vincitori, saranno poi definitivamente sconfitti dai Neri, con l'appoggio del papa Bonifacio VIII. La situazione minacciosa impone al poeta un ritorno nostalgico all'eroico passato della città, ma la risposta di Ciacco gli ripropone con urgenza il problema fondamentale sul quale deve concentrarsi: la salvezza dell'anima sua e dell'umanità intera. La politica, pur cara al cuore del poeta, va comunque inserita in una dimensione di precarietà ed egli verifica con certezza che l'amor di patria e la dignità non bastano a salvare l'uomo. L'appassionato politico si fa di nuovo pellegrino, nella consapevolezza, sempre più acuta, che il problema maggiore per l'uomo è quello di dare un senso certo alla sua esistenza, pur nella fragilità di una condizione sempre provvisoria.
Dante ha compiuto un altro grande passo avanti verso la conquista di sé e Ciacco può ormai riprendere la sua tragica posizione di anima immersa nel fango maleodorante. Mentre i suoi occhi biechi lanciano un ultimo sguardo alla vita, Dante apprende da Virgilio che il dannato non si sveglierà più fino al giorno del Giudizio universale.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del sesto canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 6 dell'Inferno.


Novi tormenti e novi tormentati = figura etimologica (v. 4).

Come ch’io mi mova e ch’io mi volga, e come che io guati = climax (vv. 5-6). Sta a significare "in qualunque modo mi muova, mi giri, e mi guardi intorno".

De la piova etterna, maladetta, fredda = allitterazione della d (vv. 7-8).

Etterna, maladetta, fredda e greve = climax (v. 8).

Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra = allitterazione della r (vv. 13-14). Serve a dare un valore espressivo del verso per dare rilievo e allungare la durata del latrato assordante di Cerbero.

E ’l ventre largo, e unghiate le mani = chiasmo (v. 17). Sta a significare "il ventre gonfio e le zampe con artigli".

Graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra = climax ascendente (v. 18). Sta a significare "graffia, scuoia e fa a pezzi i dannati".

Urlar li fa la pioggia come cani = anastrofe (v. 19). Sta a significare che "la pioggia li fa urlare come cani".

Come cani = similitudine (v. 19).

De l’un de’ lati fanno a l’altro schermo = anastrofe (v. 20). Sta a significare "cercano di proteggersi l'un l'altro coi fianchi".

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna / Qual è quel cane ch’abbaiando agogna = similitudine (vv. 28-33).

Tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto = iperbato (v. 42). Sta a significare "tu nascesti prima che io morissi".

La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena = iperbato (v. 50). Sta a significare "La tua città, che è tanto piena di invidia che ormai ha raggiunto il limite, mi ospitò nella vita terrena".

Trabocca il sacco
= metafora (v. 50). Sta a significare che si è raggiunto il limite.

A la pioggia mi fiacco = anastrofe (v. 54). Sta a significare "sono fiaccato dalla pioggia".

Ch’a lagrimar mi ’nvita = anastrofe (v. 59). Sta a significare "che mi viene da piangere".

Verranno al sangue = metonimia (v. 65). L'effetto per la causa. Sta a significare che verranno allo scontro violento.

Tal che testé piaggia = perifrasi (v. 60). Per indicare Papa Bonifacio VIII.

Alte terrà lungo tempo le fronti = iperbato (v. 70). Sta a significare che "la fazione dei Neri reggerà alte le sue sorti politiche".

Le tre faville c’hanno i cuori accesi = metafora (v. 75). Per indicare le cause della discordia.

Di là più che di qua essere aspetta = anastrofe (v. 111). aspetta di essere di là dal Giudizio universale che di qua.

Enjambements = vv. 7-8; 32-33; 46-47; 49-50; 100-101.



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