Corrado Govoni nasce a Tamara (Ferrara) nel 1884 da una famiglia di agricoltori benestanti. Non prosegue gli studi con regolarità e il suo primo lavoro è stato nell'azienda familiare. In giovane età viaggia spesso e frequenta vari ambienti letterari, nella Milano e nella Roma inizio secolo. Nel primo dopoguerra, periodo nel quale muoiono entrambi i suoi genitori, vende le proprietà ereditate e si trasferisce a Roma, dove resterà fino alla morte (1965), vivendo con impieghi diversi.
Esordisce non ancora ventenne con una raccolta poetica di modi dannunziani e simbolisti, Le Fiale (1903), legata alla forma tradizionale del sonetto, per passare poi velocemente a toni e atmosfere crepuscolari nel volume Armonia in grigio et in silenzio (1903), dove si assiste già ad una certa apertura delle forme metriche.
L'attività di scrittore diventa così il suo lavoro di primario interesse e inizia a collaborare alle riviste Poesia, Lacerba, e Riviera Ligure.
Nelle due raccolte successive, Fuochi d'artifizio (1905) e Aborti (1907), Govoni opta risolutamente per il verso libero, che valorizza un ininterrotto flusso di immagini, caratteristica costante della sua poesia, e anticipa un'accostamento al Futurismo, il movimento che esalterà proprio l'esigenza di piena libertà dello sguardo e della parola che così naturalmente si andava manifestando in Govoni.
In seguito si trasferisce a Milano e strinse rapporti con Filippo Tommaso Marinetti e aderì con entusiasmo al movimento Futurista.
Del periodo futurista sono le Poesie elettriche (1911), Rarefazioni e parole in libertà e l'Inaugurazione dello primavera (1915), dove all'esplorazione del mondo industriale e all'audace sperimentalismo formale si accompagna ancora una descrizione della pianura emiliana, un luogo attraversato dall'ingenuità, dallo stupore, rappresentato, quasi cinematograficamente, da un continuo susseguirsi di oggetti, di immagini vive e singolarmente animate.
Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove, dopo la rivoluzione fascista, ottiene un impiego al Ministero della Cultura Popolare.
Staccatosi dal Futurismo, Govoni continuerà a scrivere non solo liriche ma anche libri di narrativa (La strada sull’acqua, 1923; Misirizzi, 1930; I racconti delle ghiandaie, 1932), arrivando a dare prove di grande maturità con le raccolte poetiche Quaderno dei sogni e delle stelle (1924) e, soprattutto, Canzoni a bocca chiusa (1938), dove si ritrovano uniti tutti gli elementi della sua formazione: il crepuscolare, il "barocco", il metafisico, il bucolico, il mitico tendente al simbolismo, la creazione di immagini di sapore surrealistico.
In seguito, però, tristi casi di vita (la seconda guerra mondiale, un figlio morto fucilato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine) influiscono sul suo modo di comporre. Quindi Govoni si abbandona ad atmosfere più tenui e musicali: vi è una maggiore concentrazione di affetti, un nuovo impegno civile e un accostamento al Neorealismo. Nascono opere come Aladino (1946), in ricordo del figlio ucciso dai nazisti, Preghiera al trifoglio (1953) e Stradario della primavera (1958), alle quali si può accostare la raccolta postuma La ronda di notte (1966).
Nel dopoguerra lo scrittore si trovò in precarie condizioni economiche: restò per un certo periodo disoccupato, ma poi trovò un nuovo impiego presso un ministero come protocollista e come direttore della rivista Il sestante letterario.
Colpito da una grave malattia agli occhi che lo aveva quasi condotto alla cecità, morì a Roma nel 1965.