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Capitolo 15 de I Promessi Sposi - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del quindicesimo capitolo (cap. XV) del celebre romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.


La struttura

La sequenza iniziale costituisce il proseguimento di quella che chiude il capitolo precedente, creando in questo modo un effetto di narrazione continua. L'attenzione del narratore si concentra adesso sulla figura dell'oste, protagonista della prima parte del racconto, mentre in quella centrale e finale è di nuovo Renzo in primo piano: sfuggito al notaio criminale, si dilegua tra la folla attraverso un dedalo di piazze e strade, congedandosi finalmente dalla grande città



I personaggi


L'oste
Mentre Renzo si avvia a concludere nel sonno una giornata faticosa, scomparendo temporaneamente dalla scena, il ruolo di protagonista passa all'oste, ripreso in tre quadri: durante il colloquio con la moglie; nel soliloquio contro Renzo, colpevole di turbare la sua tranquillità e per di più in un momento come quello; al palazzo di giustizia, davanti al notaio criminale. Se egli può essere considerato un personaggio minore, bisogna però notare che il narratore ha trattato con cura il suo ritratto, per delineare ancora una volta quell'intreccio di male e di bene che è presente in ciascuno di noi. Il proprietario della "luna piena" non è grossolano come l'oste del villaggio di Renzo; a suo modo, è un uomo di mondo che svolge un mestiere pericoloso, il quale richiede autocontrollo e prontezza di spirito. Per questo motivo, non può essere solidale con Renzo, appartenente a quella categoria di persone che, rozze e senza esperienza, vogliono girare il mondo, senza saper da che parte si levi il sole.
Il suo sistema di vita ruota intorno a un ideale preciso che assorbe tutte le sue energie: la difesa e la conservazione dell'osteria. Tutto ciò che si oppone a tale ideale va respinto; egli, personalmente, non ha nulla contro Renzo, ma il comportamento del giovane potrebbe mettere seriamente in pericolo il lavoro di una vita. L'arrivo del montanaro conduce l'oste ad ampliare la sua riflessione che si allarga a comprendere anche lo Stato e gli uomini che detengono il potere. La vita sociale si fonda su rapporti di forza tra i potenti che comandano e i deboli, dominati e sfruttati. A differenza di quanto pensa Renzo, quest'ordine non può cambiare; pertanto, all'uomo comune non resta che ritagliarsi un suo spazio personale, da gestire con astuzia. Egli non può fare a meno di denunciare Renzo, perché non vuole certo mettersi contro la legge. In fondo, è stato il giovane a cacciarsi nei guai, nonostante l'aiuto offertogli. Dalle sue parole, traspare la medesima morale di don Abbondio, fondata sulla difesa egoistica dell'utile e del quieto vivere. Questa concezione appare con chiarezza duranti il colloquio con il notaio criminale, dove emergono la sua lucidità, la sua calma e un'abilità quasi avvocatesca nel difendere i propri interessi. In un crescendo di risposte negative che si trasforma ben presto in un ritornello, l'oste rifiuta ostinatamente qualsiasi responsabilità. Nel colloquio, è il notaio a far la figura dello sprovveduto, abilmente raggirato dal popolano che resiste a qualsiasi tentativo di intimidazione. Alla fine, il rappresentante della giustizia non può far altro che accontentarsi della deposizione del suo interlocutore, esagerando la gravità della situazione.


Il notaio criminale
Anche il notaio criminale è una figura secondaria, che fa la sua apparizione soltanto in questo capitolo: tuttavia, la sua importanza risiede nel suo valore di simbolo della falsa giustizia umana, che costruisce una vera e propria montatura nei confronti di Renzo, trasformato in pericoloso delinquente, di cui si ingigantiscono le colpe in modo smisurato. Renzo, vittima designata, riesce a liberarsi perché ha recuperato la lucidità mentale e, contemporaneamente, è iniziato in lui un processo di maturazione che lo conduce a valutare la situazione con maggiore realismo e saggezza.
Questo scontro tra due diverse concezioni della vita, tra due sistemi morali differenti è riconoscibile con evidenza nel comportamento del notaio. Inizialmente, il narratore lo inserisce nell'ambiente che gli è più congeniale, quello del palazzo di giustizia, dove egli si sente tranquillo e protetto dall'autorità che rappresenta. Di conseguenza, egli può sostenere con sicurezza le accuse contro Renzo, di cui esagera le colpe per ingrandire il merito di un'eventuale cattura. Il suo linguaggio è quello dell'inquisitore. Il secondo spazio è quello dell'osteria, dove il notaio si è recato per effettuare l'arresto del sedizioso. In principio, è abbastanza sicuro di sé, nella convinzione che il giovane non opporrà resistenza. Il tono è deciso, non ammette repliche.
A un certo punto interviene un cambiamento nel suo modo di fare: addirittura, si rivolge tutto manieroso al prigioniero. La causa è un ronzio crescente nella strada che gli fa temere lo scoppio di una nuova sollevazione. Deve quindi far presto, convincere Renzo a non dare nell'occhio; per questo, abbandona le maniere forti. Poi, il ronzio diventa un rumore straordinario e non c'è più tempo da perdere. Il gruppo esce in strada; per evitare di dover abbandonare la preda appena catturata, il notaio fa ricorso a tutta la sua furbizia: inutilmente, però, dal momento che Renzo ha compreso pienamente la commedia, sottolineata persino da una mimica grottesca, e smaschera la finzione che l'uomo deve continuare a recitare, se vuole sottrarsi alla folla. L'atto finale è la metamorfosi dell'uomo sconfitto che, credendosi volpe, si ritrova corvaccio.



Le tecniche narrative


Il soliloquio
Il soliloquio è la forma espressiva che caratterizza la figura dell'oste. Già nel capitolo precedente, era stato ritratto, mentre, dando un'occhiata a Renzo, commentava tra sé e sé. In questo capitolo, il soliloquio costituisce lo spazio privato in cui egli può, senza timore, manifestare ciò che pensa veramente: per esempio, i tutori dell'ordine vengono da lui definiti castigamatti, un termine che non avrebbe mai osato pronunciare all'osteria, di fronte ai suoi clienti. Le parole del soliloquio, fornendo al lettore una chiave d'interpretazione del personaggio e del suo carattere, mettono in luce gli ideali: la tranquillità e la difesa dell'osteria attraverso il rispetto formale della legge.


Il dialogo fra l'oste e il notaio criminale
Questo sistema di vita viene ribadito nel dialogo con il notaio criminale, in cui predomina la regola del negare sempre e comunque: l'oste non sa nulla e non si interessa di nulla, se non dell'osteria. La sua estraneità ai fatti è sottolineata da distinzioni acute che rivelano la persona perspicace, abituata a trarsi d'impaccio senza difficoltà. Il dialogo tra i due è giocato su questo doppio tono: insinuante e provocatorio quello del rappresentante della giustizia; tranquillo, ma estremamente fermo quello dell'oste. La scelta del dialogo permette di cogliere con immediatezza l'atteggiamento dei protagonisti, quello della prepotenza e quello della furbizia.


Il dialogo tra il notaio criminale e Renzo
Il dialogo tra il notaio e Renzo rivela una gamma molto varia di sentimenti, e comportamenti:
  1. incredulità, sorpresa e rabbia di Renzo;
  2. autorità e abitudine al comando del notaio;
  3. cortesia e buone maniere del notaio, preso dal timore;
  4. astuzia di Renzo;
  5. ipocrisia del notaio.

In questo caso, il dialogo serve a caratterizzare le due figure con vivacità e ricchezza di sfumature, effetto che difficilmente sarebbe stato raggiunto con il discorso indiretto.



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