Continua in questo senso il costante rapporto con il lettore a cui vuole comunicare. Quei pochi che si sono nutriti del pan degli angeli, allegoria per dire scienza divina (espressione consacrata per indicare la manna di cui gli ebrei furono nutriti nel deserto) di cui non si può essere sazi sulla terra seguono Dante con un naviglio, imbarcazione più grande della piccioletta barca, a patto che si mantengano sempre vicino a lui sulla scia lasciata dal suo legno prima che l'acqua ritorni uguale, cioè cancelli tale scia.
Dante impegnandosi e dominando una materia così difficile potrà suscitare tanta meraviglia come quella che Giasone suscitò nei suoi compagni, quando superò una delle prove per conquistare il vello d'oro.
L'innato desiderio dell'uomo (vedi discorso di Beatrice 1° canto) di congiungersi col regno divino li portava (Dante e Beatrice) con la rapidità di una freccia verso il cielo, e così giungono nel cielo della Luna.
Per rendere un'immagine di diafanità e immaterialità del cielo della luna dice Dante di sentire come sopra di lui una nube spessa, lucida, senza macchie come se il Sole colpisse una pietra preziosa. Dante penetrò nel regno di Dio senza che esso si disgregò così come l'acqua oltrepassata da un raggio di luce.
Grande è la sorpresa di Dante nel vedere che il satellite terrestre lo accoglie in sé senza perdere la propria compattezza, mostrando violata la legge fisica che afferma l'impenetrabilità dei corpi. Quante cose gli uomini non intendono finché rimangono legati al peso del corpo e come dovrebbero desiderare di giungere dopo la morte in paradiso, dove ogni mistero sarà chiarito con assoluta evidenza.