Si deve a Foscolo il primo discorso critico completo sull'Ariosto, i suoi giudizi singolarmente acuti si rivolgono alla inesauribile e sorprendente tecnica romanzesca di Ariosto, sull'originalità della sua arte e sul suo modo inimitabile di rifare nuove le fonti classiche e romanze, sulla sua ricca conoscenza della materia umana e anche sulle varie redazioni del poema e sul lavoro costante, linguistico e stilistico.
Nel ‘600 fino al tardo ‘700 non sempre l’opera dell’Ariosto venne compresa, accusata di immoralità, di confusione o disordine.
La poesia ariostesca fu interpretata per la 1° volta da Hegel come testimonianza storica del dissolversi della cavalleria nella nuova coscienza rinascimentale così come aveva avuto adeguata rappresentazione nel Cervantes. Dice Hegel che in Ariosto dilettano specialmente le infinite complicazioni di destini, l’intreccio favoloso di rapporti fantastici e di situazioni assurde.
(De Sanctis) L’eroismo e il valore sono spinti ad un punto in cui non provocano che solo riso sulla favolosità delle imprese. Ma accanto all'indifferenza per il modo in cui si realizzano le situazioni, Ariosto introduce straordinari intrecci e conflitti, hanno inizio, s’interrompono per interessi di nuovo, si spezzano e infine si risolvono inaspettatamente.
(Cloridano e Medaro) Se però rappresenta la società cavalleresca, osservandola dall'alto con un’ironia superiore quando deve rappresentare passioni e affetti umani, smette di sorridere per presentare al lettore la sua sperimentata conoscenza del cuore umano.
(Croce) Evidente è nell'opera il tono medio, smussato di ogni possibile eccesso, visibile nelle osservazioni intercalate, nei vocaboli adoperati, nei frequenti paragoni che dileguano la commozione e nelle interruzioni dei racconti talvolta nel loro punto culminante e drammatico, con passaggi ad altri racconti di natura diversa o addirittura opposta.
(Walter Binni) Ariosto, mirava a un sopramondo rinascimentale, quasi una Divina Commedia del ‘500, quasi l’unico paradiso che quell'epoca poteva sognare, in cui le favole, le avventure, i viaggi, le belle donne sono come un’allegria di quella espirazione alla serenità.
Dall'immagine o dalla deformazione della figura dell’uomo Ariosto, come pigro, sornione e scettico, è nata la convinzione che il Furioso sia nato in un clima di evasione, come la rivincita della fantasia sopra le ristrettezze del vivere quotidiano, insomma la fuga dalla realtà.
La verità è che l’Ariosto nella scelta consapevole di quel particolare modo di vita, apparentemente angusto, risolve il problema della propria libertà e della difesa del proprio mestiere letterario: esiste inoltre nell'Ariosto un senso concreto e realistico della esistenza, un’inclinazione disincantata e profondamente saggia a frenare le ambizioni impossibili, a mitigare le passioni troppo accese, a elaborare un ideale di vita dominato dal sentimento della misura e dell’equilibrio interiore. Di qui quella ammirevole forza di adattamento, così egli coglieva il significato dell’esistenza, non rifiutando la realtà, né lasciandosi sopraffare da essa, ma fronteggiandola con i mezzi che gli erano permessi e quello che è più importante penetrandola e comprendendola anche nelle sue manifestazioni più modeste.
Importante è per l’Ariosto non perdere di vista l’uomo nelle sue diverse manifestazioni e nei suoi rapporti quotidiani, nelle reazioni e negli impulsi più segreti. Proprio in questa prospettiva deve essere collocato il poema di Ariosto.
Nel Furioso si concentrano e coordinano tutti i motivi della sua ricca e varia ispirazione che erano già palesemente presenti nelle opere minori.
Nel ‘600 fino al tardo ‘700 non sempre l’opera dell’Ariosto venne compresa, accusata di immoralità, di confusione o disordine.
La poesia ariostesca fu interpretata per la 1° volta da Hegel come testimonianza storica del dissolversi della cavalleria nella nuova coscienza rinascimentale così come aveva avuto adeguata rappresentazione nel Cervantes. Dice Hegel che in Ariosto dilettano specialmente le infinite complicazioni di destini, l’intreccio favoloso di rapporti fantastici e di situazioni assurde.
(De Sanctis) L’eroismo e il valore sono spinti ad un punto in cui non provocano che solo riso sulla favolosità delle imprese. Ma accanto all'indifferenza per il modo in cui si realizzano le situazioni, Ariosto introduce straordinari intrecci e conflitti, hanno inizio, s’interrompono per interessi di nuovo, si spezzano e infine si risolvono inaspettatamente.
(Cloridano e Medaro) Se però rappresenta la società cavalleresca, osservandola dall'alto con un’ironia superiore quando deve rappresentare passioni e affetti umani, smette di sorridere per presentare al lettore la sua sperimentata conoscenza del cuore umano.
(Croce) Evidente è nell'opera il tono medio, smussato di ogni possibile eccesso, visibile nelle osservazioni intercalate, nei vocaboli adoperati, nei frequenti paragoni che dileguano la commozione e nelle interruzioni dei racconti talvolta nel loro punto culminante e drammatico, con passaggi ad altri racconti di natura diversa o addirittura opposta.
(Walter Binni) Ariosto, mirava a un sopramondo rinascimentale, quasi una Divina Commedia del ‘500, quasi l’unico paradiso che quell'epoca poteva sognare, in cui le favole, le avventure, i viaggi, le belle donne sono come un’allegria di quella espirazione alla serenità.
Dall'immagine o dalla deformazione della figura dell’uomo Ariosto, come pigro, sornione e scettico, è nata la convinzione che il Furioso sia nato in un clima di evasione, come la rivincita della fantasia sopra le ristrettezze del vivere quotidiano, insomma la fuga dalla realtà.
La verità è che l’Ariosto nella scelta consapevole di quel particolare modo di vita, apparentemente angusto, risolve il problema della propria libertà e della difesa del proprio mestiere letterario: esiste inoltre nell'Ariosto un senso concreto e realistico della esistenza, un’inclinazione disincantata e profondamente saggia a frenare le ambizioni impossibili, a mitigare le passioni troppo accese, a elaborare un ideale di vita dominato dal sentimento della misura e dell’equilibrio interiore. Di qui quella ammirevole forza di adattamento, così egli coglieva il significato dell’esistenza, non rifiutando la realtà, né lasciandosi sopraffare da essa, ma fronteggiandola con i mezzi che gli erano permessi e quello che è più importante penetrandola e comprendendola anche nelle sue manifestazioni più modeste.
Importante è per l’Ariosto non perdere di vista l’uomo nelle sue diverse manifestazioni e nei suoi rapporti quotidiani, nelle reazioni e negli impulsi più segreti. Proprio in questa prospettiva deve essere collocato il poema di Ariosto.
Nel Furioso si concentrano e coordinano tutti i motivi della sua ricca e varia ispirazione che erano già palesemente presenti nelle opere minori.