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Introduzione 1° Canto Paradiso - Divina Commedia

Nasce sin dall'inizio della 3° cantica la consapevolezza e la preoccupazione della difficoltà della materia da intraprendere. L’Inferno era stato una rappresentazione negativa del mondo dell’esperienza e sia pure in misura minore anche il Purgatorio che nella (sua rappresentazione) struttura generale era collocato nell'emisfero meridionale, ancora della terra.
Avviene nel Purgatorio il processo di purificazione dell’uomo; al centro di queste esperienze vi è ancora Dante come uomo (vedi episodio di Farinata, di Brunetto Latini) tanto che si potrebbe condividere l’osservazione di quel critico, Gasparo Gozzi, che diceva che la Divina Commedia si può chiamare Danteide, data la presenza continua di un Dante personaggio.
Nell'intraprendere la narrazione della 3° cantica Dante si rende conto che non è sufficiente l’entusiasmo e la precedente esperienza purificatrice per poter esprimere entro l’ambito del linguaggio umano la gloria di Dio. Dante rivela con umiltà la propria pochezza e limitatezza opposta all'infinita gloria divina. Decide tuttavia di risolvere questo problema: rappresentare la gloria di Dio significa conoscerla razionalmente secondo la summa teologica del tempo (S. Tommaso).
Da qui l’impegno di rappresentare la verità teologica con gli strumenti del tempo, ma soprattutto l’interesse e la preoccupazione è quella di farsi capire, per questo risultano molto frequenti le similitudini e per tutta la terza cantica vi è questo continuo rapporto tra Dante e il lettore. Infatti nelle cantiche precedenti la straordinaria ricchezza umana, i punti di convergenza o di contrasto fra Dante e i personaggi sono comprensibili al lettore; ma nel Paradiso vi è l’esaltazione dell’anima che scopre la verità assoluta, la vibrazione è estremamente spirituale che non deve essere rappresentata in forma mistica col risultato di incomprensibilità, ma espressa e capita razionalmente e con immagini sensibili. Soltanto comprendendo il messaggio l’umanità può redimersi ed ecco raggiunto lo scopo pedagogico di Dante.

Nella prima terzina vi è l’esaltazione della gloria di Dio visto come motore dinamico e come luce divina. Nella seconda terzina pone al centro di questa gloria divina il particolare dicendo: “fu' io”. Dante dice che quanto ha potuto fissare nella sua memoria, tutto ciò sarà oggetto della sua narrazione. E non c’è in questo da meravigliarsi perché l’intelletto si è tanto sprofondato nella cognizione di Dio da aver tolto alla memoria quasi ogni possibilità d’operare.
Segue l’invocazione ad Apollo stesso data la difficoltà della materia, mentre nelle cantiche precedenti era stato invocato l’aiuto delle Muse (Apollo deve ispirare – è l’invocazione – la medesima potenza che mostrò nella gara con lo stolto Marsia).
E solo se sarà concesso l’aiuto di Apollo, Dante potrà coronarsi degli allori dovuti ai poeti, alloro pianta d’Apollo, simbolo di gloria poetica e civile e viene accennato il mito di Penea. Sorge contemporaneamente il rimprovero e la vergogna del fatto che né imperatori né poeti si sono degnati di farsi coronare del sacro alloro. Esprime però la speranza che altri poeti più capaci di lui possano meritarsi emulandolo e anche superandolo degni riconoscimenti.
Intanto sorge il Sole nel momento più favorevole l’astronomia di Dante (quanto il Sole si trova nel segno dell’Ariete – equinozio di primavera). E vi è una descrizione astronomica. Puntualizza poi anche l’ora quando riprende la sua narrazione e per la precisione è l’ora del mezzogiorno. Beatrice si rivolge a fissare il sole e come un raggio riflesso o come il pellegrino che vuol tornare indietro così Dante fissando Beatrice si rivolge egli stesso ad osservare il sole anche perché nel paradiso terrestre molte cose sono possibili agli uomini che erano stati creati per abitarvi.
Prima rappresentazione di luce, tuttavia non riesce a tollerare a lungo tale visione immensa che inonda e abbaglia un mare di luce come se due soli si fossero accesi e sfavillanti come un ferro incandescente. E' il momento ineffabile del <<Trasumanar>> dell'innalzarsi oltre ciò che è umano. Viene inoltre colpito da un suono ed un’armonia di cui non riesce a comprendere la provenienza. E’ il moto rotante degli astri, vi è inoltre una luminosità grandissima e inconsueta. Il mio è uno smarrimento di fronte a fenomeni sconosciuti per l’uomo. Rimossi dal sole, gli occhi di Dante sono rivolti a Beatrice e guardandola il poeta diviene come il mitico Glauco, pescatore della Beozia, mutato da mortale in dio umano per avere gustato una certa erba. Si accontentino per ora i lettori dell'esempio cui la grazie divina concederà dopo la morte, una simile esperienza. Intanto è iniziata l'ascesa di anime e corpo di Dante anche se non se n'è accorto.
Inizia la spiegazione di Beatrice del fatto che non si trovano più sulla terra, supposizione errata di Dante e ancora all'atteggiamento smarrito, desideroso di conoscere con fare comprensivo. Come una buona madre Beatrice ancora spiega come egli sia potuta passare nel mondo dei corpi lievi, dicendo che il suo corpo non rappresenta più un ostacolo dal momento in cui si è purificato e sarebbe stato più strano se nonostante la purificazione fosse rimasto sulla terra.
Spiega ancora la razionalità dell’ordine divino. Dio stesso è somma razionalità e tutte le cose tendono ad un fine, ad una loro realizzazione, anche se stimolate da diversi istinti come nell'acqua l’istinto naturale è di scorrere verso il basso e del fuoco di alzarsi verso l’alto.
L’ordine universale presiede sul principio dell’istinto naturale e porta tutte le cose a volgersi verso la propria metà razionalmente stabilita da Dio. L’uomo ha in sé quest’istinto e poiché l’anima è stata data da Dio egli tende a ricongiungersi a Dio.
La sua metà è il Bene assoluto però mentre l’acqua del fiume scende sempre necessariamente verso il basso, il fuoco verso l’alto, l’uomo, invece, è libero e le passioni terrene lo tentano e per questa sua libertà che possiede a volte devia la via giusta.
Dante si è purificato e può così elevarsi non più legato alle tentazioni del corpo e con tutto il corpo può congiungere assieme ai corpi lievi (cioè spirituali).
Questo ordine provvidenziale, così come determina le creature irrazionali, influisce anche sugli uomini, i quali tendono all'Empireo, sede di Dio, anche se essendo dotati di libero arbitrio, possono, irretiti da false immagini di bene, rivolgersi alla terra. Ma ormai Dante è privo dell’enorme remora del peccato: nessuna meraviglia, quindi, che sia salito in cielo. Dopo aver così parlato Beatrice rivolge nuovamente gli occhi verso l’alto.



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