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Tema: Il segreto della Felicità

Vi sono filosofi intellettuali che negano l'esistenza della felicità. Per loro noi viviamo nella sofferenza e nel pessimismo; terminata la paura del dolore, che chiamiamo gioia, entriamo in un nuovo dispiacere e sempre ci illudiamo che questo termini presto e ceda il posto alla gioia. Pochi uomini intelligenti e acuti come il Leopardi, riescono ad aprire gli occhi sulla verità, ma nessun altro è più infelice di loro.
A questa visione pessimistica, quasi dolorante dell'essenza della vita umana mi pare giusto obiettare osservando profondamente le mie esperienze e quelle delle persone che mi sono vicine. Anzitutto vorrei dire che i momenti di serenità, per l'individuo possono essere più numerosi di quelli del dolore. Tra la serenità e il dolore possono interporsi strati o zone di grigiore, d'uniformità e monotonia, ma questi non rappresentano vere immagini del dolore. Molti giovani hanno già sofferto per le disillusioni e non intravedono un avvenire, non godono d'indipendenza ed autonomia e non si compiacciono di ideali. Per loro, la vita scorre priva di attrattive, di gratificazioni, di scopi, per qualcuno pur giovane e prestante fisicamente è valsa la pena di suicidarsi.
Il suicidio è un atto di sfida alla vita. L'Ariosto, nell'Orlando Furioso, fa credere che noi siamo degli Orlandi che inseguono sempre un Angelica, senza mai raggiungerla e che quello che desideriamo con i nostri sensi ci è negato dalla ragione. Seneca, forse il massimo dei pensatori romani, riteneva che la felicità stia nell'imperturbabilità dello spirito: cioè nel non lasciarsi travolgere dalle passioni o sconfiggere dalle avversità e dal dolore. Anche nella morte di persone care si trovano motivi di consolazione: uno fra questi è la solidarietà umana, l'altro è orgoglio di dire a se stesso di aver superato mille difficoltà.
Gli antichi filosofi si accanirono particolarmente nel voler scoprire l'essenza della felicità e la facoltà che in essa si nascondesse ma tutti convennero che era cosa assai importante scoprirla ma nessuno vi riuscì.
La felicità anche ai filosofi recenti, appare un qualcosa che si crede di aver raggiunto ma che in breve tempo ci si accorge di averla smarrita. Il Leopardi nello studio accanito di essa rileva che l'impressione della felicità sta nell'illudersi che essa vi sia e si compia la domenica, il giorno di festa, mentre nella vigilia, il sabato, tutti vivono verso sera, nell'ansiosa aspettazione. Ma nessuna domenica secondo il poeta, reca con sé le gioie fatte balenare alla fantasia e all'immaginazione. Io credo che le gioie si avvicendino con i dolori e che le une siano come la condizione degli altri.
Si pensa alla legge di compensazione per i contrari: quanto più grande è stato il dolore, tanto maggiore sarà la gioia. Per alcuni le gioie provengono dal possesso di beni materiali come l'automobile, una grande somma di denaro, una bella casa mentre per altri dalla salute, nel caso di quest'ultima chi la possiede non l'apprezza e la desidera fortemente chi non l'ha ed è malato. Infatti la malattia ci impedisce lo svolgimento di ogni mansione fisica e mentale.
Le cose brutte che ci procurano dolori sono le malattie, la morte delle persone care i dispiaceri, le preoccupazioni economiche, la mancanza di lavoro e il tradimento. Certi dolori sul piano dello spirito arrecano maggior danno di quelli fisici. Vivendo secondo i ritmi naturali siamo felici, vivendo al contrario ci sentiamo depressi. Il che significa che dobbiamo organizzare le esigenze naturali con quello dello spirito e dell'intelletto. Esistono piaceri e felicità che dipendono da noi: i viaggi, le esplorazioni, i buoni risultati nello studio, un buon posto di lavoro, il successo. Vi sono molte cose che dipendono da noi stessi e dai sacrifici che sappiamo imporre, pur di raggiungerle. Per fare un esempio una brava indossatrice non diventi tale per caso o per legge di natura. Per raggiungere questi traguardi, ha dovuto prepararsi, fare esperienze o rinunce. Dipende da noi evitare certi mali e scegliere certi beni. La felicità è un misto di beni spirituali e materiali, ma vorrei dire che quello dello spirito hanno la prevalenza, dato che il mangiar bene e il possedere molto, il rincorrere piaceri materiali su piaceri non ci soddisfa mai interamente. La felicità spesso sta nel raggiungimento dell'ideale che è diverso per ogni individuo. Spesso riponiamo la felicità nel denaro o in cose o persone fuori di noi e questo è un errore in quanto la maggior felicità sta in noi stessi e l'unico bene che portiamo sempre con noi, anche dopo la morte, è il bene che abbiamo fatto.
Molte persone ci illudono, ci ingannano e ci tradiscono, ma il nostro spirito carburato dalle avversità, non ci tradirà mai. Vi sarebbe motivo di infelicità a parere degli storici se noi personalmente fossimo immuni dal dolore ma in questo modo saremmo degli esseri non umani, una specie di robot senza cuore e senza anima. La felicità, per alcuni, sta appunto nel sopportare con forza il male e il dolore fisico, nell'aver coraggio e sopportazione, nella coscienza delle comuni sofferenze. Un uomo che combatte e vince la sua battaglia si riscopre forte. Il segreto della felicità sta in noi e dipende da noi scoprirlo e farne un'antidoto contro le difficoltà della vita. C'è in noi il buono e il cattivo umore che non dipendono dalla volontà ma che sono tenuti a freno e dominati dalla ragione. Oltre alla ragione, noi possiamo valerci della mente, dell'intelletto, dell'intuizione, della coscienza. Tra gli atteggiamenti che si risolvono in dolore vi sono l'egoismo perché non si ha la possibilità di condividerlo con qualcuno; per i religiosi, invece, è la mancanza di fede un fattore di dolore. Ma una cosa è certa: per essere veramente felici bisogna fare le cose con la propria testa anche andando fuori dagli schemi che ci implica la società in cui viviamo purché la propria felicità non vada a calpestare quella degli altri.



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