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Chi sono? di Aldo Palazzeschi: parafrasi, analisi, commento

Quali sono le tematiche trattate nella poesia Chi sono? di Aldo Palazzeschi? Eccovi il testo e la parafrasi con analisi retorica e commento.
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Chi sono? è una poesia di Aldo Palazzeschi contenuta nella raccolta Poemi del 1909. In questa poesia l'autore crea una sorta di autoritratto nel quale cerca di dare una definizione di se stesso, del ruolo del poeta e della poesia, adottando il suo tipico tono ironico e scherzoso.





Chi sono?: scheda poesia

Titolo Chi sono?
Autore Aldo Palazzeschi
Genere Tragicomico
Raccolta Poemi
Data 1909
Corrente letteraria Futurismo
Temi trattati Il ruolo del poeta e della poesia
Frase celebre «Chi sono? Il saltimbanco dell’anima mia.»




Chi sono?: testo

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
« follìa ».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
« malinconìa ».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
« nostalgìa ».
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.




Parafrasi

Forse sono un poeta?
No, certo.
La penna della mia anima
scrive solo una strana parola:
"follia".
Dunque sono un pittore?
Neanche.
La tavolozza della mia anima ha solo un colore:
"malinconia".
Allora sono un musicista?
Nemmeno.
Nella tastiera della mia anima
c'è solo una nota:
"nostalgia".
Dunque… che cosa sono?
Metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente
Chi sono?
L'acrobata della mia anima



Analisi del testo

Schema metrico: un'unica strofa di 21 versi liberi con rime baciate ai versi 4-5, 9-10 e 14-15.

Questa poesia è come una sorta di manifesto poetico dell'autore. Palazzeschi non accetta i ruoli tradizionali in cui di solito è racchiusa la poesia, ma si scontra direttamente con la realtà e lo svilimento dell'arte.

Il titolo stesso, con la domanda "Chi sono?", mette in evidenza il vero problema: la ricerca di un'identità.

Nel verso 5, la penna è in grado di scrivere solo la parola "follia", suggerendo che il poeta è capace solo infrangere le regole, considerando che non esiste un criterio universalmente valido.
Nel verso 10, la tavolozza che ha solo il colore della malinconia mostra l'assenza delle tradizionali tonalità di certa poesia, che Palazzeschi rifiuta esplicitamente. Nell'ultimo verso, l'unica definizione che il poeta riesce a dare di sé stesso è quella di "saltimbanco". Si definisce un acrobata di strada che mostra il suo talento (arte) nelle piazze pubbliche in cambio di pochi spicci. E per farsi notare, deve mettere in mostra la sua intimità più profonda ingrandendola con una lente, affinché la gente sia in grado di vederla.

Quello che ne viene fuori è che Palazzeschi propone qualcosa di diverso, basato sul divertimento nell'arte e sulla sua capacità di rompere le regole.



Figure retoriche

  • Anafora = "son" (vv. 1, , 6, 16).
  • Personificazione = "scrive" (v.3).
  • Metafora = "la penna dell’anima mia" (v.4); "la tavolozza dell’anima mia" (v.9); "nella tastiera dell’anima mia" (v.14); "Io metto una lente davanti al mio cuore per farlo vedere alla gente" (vv. 17-19); "Il saltimbanco dell’anima mia" (v. 21).
  • Allitterazione della M = "anima, mia, malinconia, musico, nemmeno" (vv. 9-12).




Commento

L'inizio della poesia ricorda un'altra poesia intitolata "Desolazione del povero poeta sentimentale" e che stata scritta da Sergio Corazzini, ma qui il poeta-fanciullo diventa il "saltimbanco" della sua anima, navigando tra "follia" e "malinconia", senza nascondere la "nostalgia". Il poeta espone il suo cuore, cercando forse comprensione e condivisione. Si nota anche una disillusione dolorosa riguardo al ruolo del poeta, meno esaltato rispetto al periodo di D'Annunzio e Pascoli, ma ancora in grado di esprimere sentimenti profondi in una società che sembra non interessarsi più alla poesia. L'immagine finale del saltimbanco rappresenta comunque la libertà e il rifiuto del conformismo, anche se la solitudine malinconica rimane una costante. Il poeta desidera giocare, proprio come fa in questa poesia, presentandosi anche come un buffone.



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