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Tesina su Eugenio Montale

Vita e Opere

1896-1925: Nasce a Genova, ottiene faticosamente il diploma all'istituto tecnico e comincia a frequentare le biblioteche e l’ufficio paterno; studia canto, ma interrompe nel ’23, alla morte del maestro Sivori.
Scrive un diario che uscirà postumo nel 1982 col titolo di Quaderno genovese e nel ’17 parte per la guerra come ufficiale di frontiera. Al ritorno entra nella cerchia letteraria genovese e si interessa delle riviste gobettiane.
1925: “Il Baretti” pubblica il saggio di Montale Stile e tradizione e gli Ossi di seppia; il giovane firma il manifesto antifascista crociano e scrive l’Omaggio a Italo Svevo, portando alla luce l’aspetto geniale del romanziere triestino fino ad allora trascurato.
1927-1948: Montale si trasferisce a Firenze, sperando di trovare un buon impiego. Viene rinominato nel ’28 direttore del Gabinetto di Vieusseux e nel ’38 viene licenziato in quanto non iscritto al partito fascista; collabora a “Solaria” e frequenta coloro che diventeranno poi i suoi discepoli. Nel ’39 pubblica Le occasioni. Durante la seconda guerra mondiale si iscrive al Partito d’azione.
1948-1981: Dal ’48 è a Milano, dove diventa redattore del “Corriere della Sera” e viaggia spesso come inviato speciale. Lo stesso anno pubblica il Quaderno di tradizioni  Nel ’56 escono La bufera e altro e la raccolta di prose narrative Farfalla di Dinard; nel ’66 pubblica Auto da fè e la rivista “La letteratura” gli dedica un numero speciale: Omaggio a Montale. Nel ’67 è nominato senatore a vita; del ’69 sono gli articoli dia viaggio raccolti in Fuori di casa; del ’71 è Satura, il cui primo nucleo dedicato alla moglie morta nel ’63 era uscito nel ’66 col nome di Xenia. Del ’72 è il Diario del ’71 e del ’72; nel ’75 gli viene consegnato il premio Nobel per la letteratura, nel ’76 escono i saggi letterari Sulla poesia, nel ’77 Quaderno di quattro anni, nel 1980 L’opera in versi.
Muore nel 1981; il suo corpo viene trasportato vicino a quello della moglie, presso Firenze.

Il ruolo dell’intellettuale

Decadente in senso lato, Montale descrive la sofferenza dell’uomo in un mondo alienante. Alcuni suoi atteggiamenti sono particolarmente interessanti.
I poeti laureati: Negata qualsiasi finalità storica, tutti coloro che hanno impostato la loro arte nel presente, nel futuro o nel passato si sono inevitabilmente aggrappati ad una certezza fittizia, forse riposante, ma certamente fasulla.
Ecco che per primo Montale liquida la cultura passata fornendo spiegazioni quasi filosofiche.
Il poeta oggi: Non esiste alcun privilegio che distingua il poeta dagli altri uomini; non esiste possibilità d’insegnamento ex cathedra per l’artista, ma solo le confessioni di un individuo che descrive la personale sofferenza: solo così egli può forse comunicare.
Apoliticità: Dopo ciò che abbiamo detto, è evidente quanto una personalità come quella di Montale rifiuti ogni impegno politico: ciò che il poeta difende sono i diritti fondamentali dell’uomo: la libertà di parola e di pensiero e il rispetto reciproco (“Sono riuscito a vivere a lungo senza lustrare le scarpe a nessun tiranno […], senza ricevere ordini dall'alto, o dal basso”).
La poesia: Alla continua ricerca di una poesia pura, quindi individuale e sofferente, Montale afferma:”L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. […] Non posso dire che se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto totalmente diverso.

Ossi di Seppia

Nella prima raccolta Montale fissa già le tematiche principali della sua poetica. Una natura anti-dannunziana: I poeti della generazione di Montale non possono fare a meno di confrontarsi con i grandi uomini decadenti, quali D’Annunzio e Pascoli: molti respingono il modello proponendone altri; alcuni polemizzano con il vitalismo superomistico presentandone una parodia (crepuscolari); Montale attraversa l’esperienza decadente per abbandonarla in una visione del mondo profondamente diversa.

Satura

Pubblicata nel 1971, comprende gli Xenia, scritti dal ’64 al ’67. Le opere scritte tra il ’71 e il 1981 presentano le medesime tematiche.
Xenia: I ventotto componimenti sono scritti per mosca, la moglie morta nel ’63 (xenia significa in greco “doni votivi”).
Già nella Bufera la donna era apparsa malata; qui è ritratta nella sua domestica semplicità, rievocata dai suoi oggetti, gesti ed abitudini.
Il lessico è dimesso, lo stile discorsivo e colloquiale; il poeta può nuovamente amare tale figura, in quanto privata di qualsiasi connotazione angelica e salvifica; le deboli virtù consolatorie di Mosca son dedicate interamente ed esclusivamente a Montale.
Tematiche: Il poeta torna quasi alla crisi gnoseologica della prima raccolta, ma reagisce con ironia; mantiene la sua visione del mondo come meccanismo, ma aggiunge una vera e propria crisi d’identità che prima non esisteva.

Formazione e personalità

Formazione culturale: Della “Voce” coglie l’aspetto frammentario e puro della poesia, del Simbolismo ama l’uso dell’analogia e la ricerca di musicalità; è inizialmente affascinato dalle avanguardie, ha inevitabilmente contatti con gli intellettuali liguri e legge i grandi della letteratura italiana per poi come vedremo liquidarli.
Il giovane genovese viene influenzato sensibilmente dal contingentismo di Boutroux, secondo il quale la natura passa dalle scienze semplici a quelle più complesse per arrivare alla meta ultima rappresentata da Dio. Montale parte da tale assunto per arrivare alla convinzione che la natura sia creatrice nel momento del passaggio di stadio e che non esista alcun finalismo religioso, né alcuna bontà, ma solo una sorta di inganno che porta all'illusorio ottimismo.
Di Schopenhauer rifiuta il principio della “volontà di vivere”, mantenendo la concezione dell’afinalità della storia, della natura e dell’esistenza tutta.
Leopardiano è il disagio, la noia, l’impossibilità di aderire attivamente al mondo che lo circonda, la compassione per l’umanità sofferente e l’amore-odio per la natura.
“L’antiavanguardismo” montaliano: Fiero oppositore ma profondo sconoscitore della società di massa. Montale ne rifiuta l’aspetto mercificato e consumistico, teme profondamente i nuovi mezzi di comunicazione e il proporsi continuo di nuovi, fittizi ed effimeri miti. Il suo non è uno sprezzante terrore che un balzo in avanti tecnico e storico così repentino trovi l’umanità ancora impreparata (“si ha l’impressione che oggi gli uomini abbiano aperto gli occhi come mai prima […] ma i loro occhi aperti ancora non vedono nulla”).
Il vero, terribile timore di Montale è che l’uomo possa transumarsi accettando di essere la semplice parte, una minima parte, dell’universale ingranaggio meccanico”; per questo il poeta contrappone al superomismo e all'esaltazione avanguardista dell’umano progresso una cruda, spietata, quasi matematica osservazione: “ogni guadagno […] è pareggiato da equivalenti perdite in altre direzioni, restando invariato il totale di ogni possibile felicità umana.
Gli ossi di seppia presentano un rapporto con la natura ben diverso da quello dannunziano: non esiste più panismo, ma una natura matrigna di matrice leopardiana.
L’uomo osserva il mondo con atteggiamento filosofico, non estetico; è circondato dai poveri ed odorosi limoni, non più da “bossi, ligustri e acanti”; il mare scintilla nel suo fluttuante moto perpetuo, come a sottolineare con indifferenza le precarietà dell’individuo; il poeta è circondato da “crose”, da una “muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, da un paesaggio duro ed arido, da serpi, anguille, pozzanghere e crepe; non esistono più giardini lussuosi e lussureggianti o lirici stralci paesaggistici.

Correlativo oggettivo: Ma tale descrizione della Liguria, presentata efficacemente ne I limoni, è solo un esempio paradigmatico di una realtà che sembra sgretolarsi (come in Ungaretti) alla luce del sole, di un mondo che nasconde un imbroglio e che forse neppure esiste.
Così, se per i simbolisti gli oggetti rimandavano ad un qualcosa al di là della realtà contingente, per Montale hanno di per loro un significato allusivo: non persiste un mondo concreto e uno trascendentale che illude l’uomo di essere concreto. Alcuni oggetti presenti nelle poesie di Montale rimandano perciò automaticamente ad alcuni stati esistenziali.

Il miracolo:”Il male di vivere”, la rivelazione costernante cara a tutto il ‘900, consiste appunto nello scoprirsi chiusi nel contingente nell'affinità spazio-tempo.
Il tempo fugge indifferente resta il tema principale, ma interpretato con radicale pessimismo; la divinità è sempre presente, ma in una lontananza che nessuna donna angelo può più accorciare  il passato rivive sempre più frequentemente, ma senza gli effetti consolatori delle prime raccolte.

Stile: Montale non si abbandona mai allo sperimentalismo stilistico e le radicali innovazioni presenti nelle sue opere non sono altro che il frutto di sincere ed istintive novità contenutistiche, ideologiche ed espressive; è sorprendente, perciò quanto invece il poeta muti il suo modo di scrivere nell'ultimo quindicennio di vita, a partire dagli Xenia.
Certo lo scetticismo e la disillusione costringono il poeta a rinchiudersi nel privato, certo gli orrori esistenziali e storici annichiliscono qualsiasi slancio vitale e certamente la società post-bellica non lascia spazio alla speranza di una felicità futura ma la stanca vecchiaia del poeta è forse l’elemento più significativo per spiegare un cambiamento radicale.



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