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Tema: La Costituzione Italiana e la Guerra

La nostra Costituzione e la guerra: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

L’articolo 11 della nostra Costituzione il ripudio della guerra
L’articolo 11 della Costituzione recita testualmente:  <<L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.>>
Il termine “ripudia” ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra. Ciò risulta chiaramente dal dibattito sviluppatosi nell'ambito dell’Assemblea Costituente, nel corso della quale si manifestò una larghissima convergenza nel proclamare solennemente l’impegno dello Stato italiano a non muovere guerra agli altri Stati e a ricorrervi solo in caso di legittima difesa. Ciò risponde ad un duplice intento: quello pacifista e quello di trasferire sul piano internazionale quei principi di libertà, uguaglianza e sostanziale rispetto della persona umana, che si volevano affermare ed attuare nell'ordine interno.
Va ribadito dunque che la Costituzione ha voluto ammettere una sola possibilità di guerra, quella di legittima difesa, ossia quella necessaria per difendere il proprio territorio nazionale dall'aggressione di un altro Stato, anche in relaziona all'art  52 della Costituzione stessa, secondo cui <<la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino>>. D'altronde si è solennemente sostenuto il ripudio della guerra come risoluzione delle controversie internazionali “senza distinzione alcuna” e si è dunque ripudiata anche la cosiddetta “guerra giusta” diversa da quella di difesa del territorio.
Viene quindi solennemente sancita l’inammissibilità delle guerre di aggressione e delle guerre di risoluzione di controversie internazionali sia giuridiche sia politiche.
La nostra Costituzione ha voluto bandire “qualunque” forma massiccia di violenza armata che non sia usata a fini difensivi. E’ evidente che una posizione improntata ad un fermo e coerente pacifismo non poteva limitarsi a vietare le guerre solo nel caso che queste ricevessero la qualifica formale del diritto dello “jus ad bellum”, comportante le conseguenze previste dal diritto di guerra e di neutralità. Sarebbe illogico che il Costituente avesse voluto inibire ai nostri organi statali solo lo scatenamento di tali guerre e non anche forme simili di violenza armata che costituiscono anch'esse  nella sostanza, manifestazioni crudeli ed incivili di lotta, le quali ripugnano allo spirito pacifista internazionalista della Costituzione e si differenziano dalle guerre in senso proprio solo sotto un profilo formale.

L’Italia, in politica estera, deve farsi attiva promotrice di pace fra tutti i popoli
Dalla disposizione in questione deriva altresì l’obbligo, per questi stessi organi, di risolvere le controversie internazionali (politiche e giuridiche) in modo pacifico: gli organi detti sono perciò tenuti a ricorrere ad uno dei modi di soluzione pacifica previsti dal diritto internazionale o usati nella prassi (conciliazioni, accordo, arbitrato, ecc.), tranne che non si ravvisi l’assoluta necessità di irrogare una sanzione (nella forma di rappresaglie) ad uno Stato autore di un illecito internazionale.
Infine si deve rilevare che l’articolo in esame non parla di “ripronuncia”, ma di “ripudio” della guerra, per cui discende da esso un particolare della guerra di aggressione. E si può aggiungere che l’articolo in questione formula anche una direttiva generale di politica estera: esso cioè rivolge agli organi di relazioni internazionali un invito a perseguire attivamente una politica pacifista, conformemente ai principi essenziali sanciti in quella norma.
L’art. 11, oltre al ripudio della guerra nei termini predetti, consente, in condizioni di reciprocità, ulteriori rinunzie alla propria sovranità, al fine di assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, ed inoltre promuove e favorisce le organizzazioni internazionali e le relative ratifiche non possono contenere norme o precetti che contrastino con la norma costituzionale.

I principi di pace che ispirano la nostra Costituzione
La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° Gennaio  1948 dopo due anni di incessante dibattito tra i deputati dell’Assemblea Costituente, si ispira a principi di forte pacifismo. Essa è stata il frutto della scelta democratica del popolo italiano, evidenziatasi con la guerra di liberazione contro il fascismo e il nazismo e con il referendum istituzionale che ha voluto la Repubblica.
La Costituzione repubblicana, pertanto, non poteva  non risentire del clima particolare, fatto di antifascismo e di rifiuto del militarismo voluto dalla dittatura mussoliniana, che si era diffuso nel nostro paese all’indomani della durissima prova bellica. La guerra, a cui l’Italia era stata portata dalla dittatura fascista, era stata duramente sentita dalla popolazione, che aveva conosciuto immani tragedie con centinaia di migliaia di morti.  Le aggressioni scatenate dai regimi fascista  e nazista, i massacri delle inermi popolazioni civili, l’olocausto di milioni di Ebrei, hanno generato in tutta l’Europa una diffusa coscienza di pace e, in particolare nel nostro paese, uscito sconfitto e duramente provato dalle avventure militari del regime fascista, la consapevolezza dell’inutilità della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Il Costituente ha quindi voluto farsi interprete di questa coscienza pacifista popolare, scrivendo a chiare lettere nella Carta costituzionale l’impegno dell’Italia a farsi promotrice sempre di pace. In tal senso nessuna aggressione, nessuna avventura militare fuori dai nostri confini nazionali è ammissibile, fatta ovviamente eccezione per le missioni di pace in zone a forte tensione, dove sia necessaria la presenza di una forza militare neutrale che tenga separati i contendenti per difendere ad esempio una tregua, faticosamente raggiunta, o per proteggere l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni civili, ma in ogni caso sempre col consenso delle forze in campo.
Un impegno di pace del genere le nostre forze armate lo hanno svolto, ad esempio alcuni anni fa nel Libano dilaniato dalla guerra civile, con grande riconoscimento della gente locale per il fattivo delle fasce sociali più deboli e inermi, che i nostri soldati hanno prestato. Analogo impegno i militari italiani hanno dimostrato in Somalia ed in Mozambico, dove hanno prodigato per porre fine agli scontri armati fra fazioni rivali e per far giungere alle popolazioni locali gli indispensabili aiuti umanitari.

La democrazia come baluardo a difesa della pace
L’unica possibilità di guerra che il nostro ordinamento costituzionale prevede è quella della difesa del nostro paese da attacchi e aggressioni dall’estero. Infatti la possibilità della guerra difensiva e i relativi obblighi dei cittadini sono solennemente sanciti dall’art. 52: <<La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino>>. Lo stesso articolo impone poi l’obbligo per le Forze Armate di conformarsi allo spirito democratico della Repubblica, per essere quindi sempre a difesa del nostro ordinamento democratico e mai strumento di avventure “golpiste” e di attentati alla democrazia.
Lo stato di guerra, nei limiti comunque della difesa del nostro paese, come prima rivelato, deve essere dichiarato con una procedura che comunque lascia si rappresentanti dalla sovranità popolare il potere decisionale pr evitare che, come nel passato, il nostro paese possa, contro la sua volontà, essere trascinato in tragiche avventure. Infatti l’art. 78 della Costituzione attribuisce alle due Camere del Parlamento il potere di deliberare lo stato di guerra  e di conferire al governo i poteri necessarii, mentre il successivo art. 87 che attribuisce al Presidente della Repubblica il comando delle Forze Armate, stabilisce che questi, suprema espressione dello Stato democratico, dichiari lo stato di guerra <<deliberato dalle Camere>>.
La procedura, così stabilita dalla nostra Costituzione repubblicana, vuole garantire che alla guerra non si ricorra mai per volontà arbitraria di qualcuno e per finalità che la nostra Costituzione non prevede al di là del puro impegno difensivo. La vigilanza democratica e la scrupolosa osservanza delle prerogative di tutte le istituzioni della Repubblica, e in particolar modo del Parlamento, espressione e depositario della volontà popolare, costituiscono il più valido baluardo a che lo spirito pacifista della nostra Costituzione non sia mai violato.



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