Temi svolti: Art.: ambito socio-giuridico
La pena di morte è stata ripudiata dall'ordinamento di molti Stati, tuttavia permane ancora in alcuni, additata come rimedio efficace al dilagare della criminalità. Si scriva un articolo, mettendo in evidenza perché il nostro Paese ha da tempo ripudiato la pena capitale.
Sempre accese le polemiche sulla pena capitale. Pena di morte ed esercizio della giustizia. L’ordinamento giudiziario di una società automaticamente civile non può ammettere la vendetta, ma solo la pena che mira alla rieducazione del reo.
In Italia, come in molti altri Stati, la pena di morte non è prevista dalla legge, eppure alcuni settori dell’opinione pubblica ed alcuni uomini politici continuano ad indicarla come un efficace rimedio al dilagare della criminalità. Nel nostro Paese, le discussioni riguardo alla legittimità o meno della pena capitale risalgono addirittura al XVIII secolo, quando lo scrittore illuminista Cesare Beccaria, nonno di Alessandro Manzoni, nel suo celebre saggio Dei delitti e delle pene affermò l’irrazionalità giuridica della pena di morte e dell’esercizio della tortura.
Beccaria non era l’unico sostenitore di quell'idea visto che essa circolava già nei circoli illuministi milanesi e su alcune riviste dell’epoca (ad esempio Il Caffè, diretto dai fratelli Verri).
Tale corrente di pensiero si diffuse, negli ultimi decenni del Settecento, tant'è vero che, nel primo Codice, varato nel 1786 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo, la pena di morte fu abolita, cosa che avvenne in seguito anche nell'Impero asburgico ad in altri Stati.
La pena capitale non compare neanche nel Codice in vigore durante il Regno d’Italia, anche se essa fu poi reintrodotta dal fascismo. L’attuale Costituzione repubblicana, in base all'articolo 27, considera inammissibile la pena di morte nell'ambito di una concezione progressiva e democratica della giustizia, la quale deve sempre rispettare la dignità dell’individuo colpevole o presunto tale: anche in caso di detenzione, quest’ultimo non deve essere maltrattato fisicamente e/o psicologicamente, ma rieducato al fine di favorirne il reinserimento sociale. Interpretando alla lettera questo principio, si dovrebbe chiedere anche l’abolizione della pena dell’ergastolo.
Nonostante la pena di morte sia stata cancellata dall'ordinamento giudiziario di tanti Stati, in vari Paesi viene purtroppo ancora regolarmente eseguita : è il caso degli USA, dove in alcuni Stati (California, Texas, ecc.), con una certa frequenza, vengono eseguite sentenze capitali talvolta riguardanti anche minorati mentali ed adolescenti.
La motivazione addotta per giustificare tali condanne definitive concerne la possibilità, attraverso la pena di morte, di porre un freno al diffondersi degli atti violenti e delinquenziali. Ma ciò, a dire il vero, non trova riscontro nelle statistiche riguardanti i tassi di criminalità, le cui variazioni sono del tutto insignificanti, nei Paesi dove la pena di morte è contemplata dall'ordinamento giudiziario.
Questo dimostra che la diminuzione dei crimini non è direttamente proporzionale all'aumento delle esecuzioni capitali.
Certo, abolire la pena di morte non significa allentare la morsa della giustizia contro la violenza che purtroppo continua a diffonder ersi in tanti Paesi, Italia compresa: alcuni crimini particolarmente efferati, come ad esempio quelli compiuti su bambini inermi, mariterebbero una punizione esemplare, ma non si può prescindere da una duplice considerazione: da una parte, la possibilità di errori giudiziari e, dall'altra parte, il rischio di lasciarsi influenzare dall'emotività Nel primo caso, non è escluso che la giustizia possa commettere degli errori, condannando alla detenzione persone del tutto innocenti che, se fosse ripristinata la pena di morte, verrebbero uccise senza l’opportunità di dimostrare la loro estraneità al reato di cui sono accusati. Nel secondo caso, nel giudicare l’eventuale colpa di cui si è macchiato un individuo e la conseguente pena che gli deve essere comminata, non bisogna, mai lasciarsi condizionare dall'emotività e dal risentimento del momento, ma si deve agire con razionalità ed equità: non di rado, attentati e stragi in cui hanno trovato la morte personaggi di spicco del mondo della politica e della magistratura, omicidi a catena di serial-killer, atti criminali su bambini, hanno comprensibilmente turbato l’opinione pubblica, tanto da suscitare in essa sentimenti di vendetta, che si traducono nella richiesta di emettere sentenze capitali contro i responsabili di tali atrocità.
Ma la giustizia non può prendere in considerazione l’emotività di persone che, sul momento, si dicono favorevoli a punire gli autori di atti criminali particolarmente efferati con la pena di morte e che in seguito, magari ragionando a mente fredda, o addirittura mossi a pietà dall'atteggiamento dell’imputato, possono pure dirsi pronti al perdono.
La giustizia non può agire sull'onda dell’emotività, né tanto meno mossa da spirito di vendetta, magari secondo la legge del taglione o in base al detto occhio per occhio, dente per dente, che caratterizzavano le società primordiali: essa deve, invece, operare secondo il moderno senso civico e morale; il quale, come rifiuta l’idea del delitto, cioè che un uomo possa uccidere un suo simile, allo stesso modo non pretende di decidere in modo infallibile della vita di un individuo.
La lotta alla criminalità ed alla delinquenza va quindi condotta meno attraverso la repressione e di più mediante la prevenzione e l’educazione: spesso sono il degrado sociale, la droga, il racket, la corruzione, a determinare il diffondersi dei fenomeni di criminalità; è la disoccupazione a spingere molti giovani a lavorare per le grandi organizzazioni malavitose; è l’asservimento dello Stato a queste ultime e la collusione con esse di alcuni settori dell’amministrazione pubblica del nostro Mezzogiorno a favorire le stragi di matrice mafiosa e camorristica; è infine, il senso di smarrimento che pervade la nostra società, priva di ideali e di valori autentici, a spingere certi giovani sbandati a gesti di ordinaria follia (ad esempio, il fenomeno dei sassi lanciati dai cavalcavia).
Bisogna agire su queste situazioni se si vogliono ridurre i tassi di criminalità, senza giungere all'estrema conseguenza, irrazionale e dettata da momentaneo desiderio di vendetta, di reclamare la pena capitale.
Una società progredita e civile deve trovare uno strumento migliore per giudicare ed eventualmente punire chi ha sbagliato, concedendogli la possibilità di difendersi, di provare la sua innocenza o, in caso di condanna, per comprendere le ragioni che lo hanno indotto a commettere il reato di cui è accusato, consente dogli però di riscattarsi come essere umano nel momento in cui, uscito di prigione, si reinserisce nel contesto sociale.
Fondamentale, per questo individuo è anche trovare all'esterno le condizioni adatte per poter vivere onestamente, senza essere bollato a vita col marchio di delinquente dalla collettività, che lo dovrà rispettare come persona che ha sì commesso un reato, ma che ha anche risarcito la società e vuole ora solo agire nel rispetto della legge.