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Saggio breve sulla Pena di Morte

La pena di morte, che sembra considerata con favore da certi settori dell’opinione pubblica e che di recente è ritornata nella prassi giudiziaria di alcuni Stati, risponde a criteri moderni di giustizia o piuttosto ad un emotivo desiderio di vendetta della società?

1) L’opinione pubblica appare divisa.
2) L’illuminismo settecentesco contro la pena di morte.
3) L’abolizione della pena di morte nel nostro paese.
4) Il ritorno ad una maggiore frequenza di esecuzioni capitali.
5) La pena di morte non è efficace nello scoraggiare il comportamento criminoso.
6) La pena di morte offende la dignità umana e i principi della moderna giustizia.
7) L’art. 27 della nostra Costituzione.
8) L’importanza della prevenzione.

1) Molta gente in Italia, con sempre maggiore insistenza, chiede che venga ripristinata la pena di morte: inchieste e sondaggi dimostrano che una buona percentuale degli Italiani considera la pena di morte un valido deterrente contro il crimine. E’ interessante però rilevare che, tra gli intervistati, soprattutto i giovani si dichiarano del tutto contrari al ripristino di tale drastica misura penale. Bisogna ricordare che, fino al ‘700, nessuno metteva in discussione il diritto dello Stato di infliggere la pena di morte, anzi gli esempi di tale punizione erano frequenti, pubblici e spesso atroci a generale ammonimento.

2) E’ stato soltanto verso la metà del 18° secolo che sono state sollevate obiezioni contro questa pretesa dello Stato di disporre della vita degli uomini, sia pure in nome della giustizia. Ricordiamo la pubblicazione, nel 1764, del celebre libro di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, tradotto in tutte le lingue, discusso, meditato, che ebbe il merito di cambiare profondamente il costume giudiziario, fino a diventare parte integrante del patrimonio morale dell’intera umanità. Ricordiamo anche le polemiche nei circoli illuministi milanesi e le prese di posizione contro la pena capitale ad opera dei fratelli Verri e del giornale Il Caffè.

3) Dibattiti, polemiche, riflessioni ebbero il merito di diffondere in Europa una maggiore sensibilità alle questioni della giustizia, finché nella seconda metà del Settecento, nel Granducato di Toscana, il nuovo codice penale emanato dal granduca Pietro Leopoldo aboliva, per la prima volta, la pena di morte. Era un evidente successo delle idee del Beccaria, senz'altro valide ancora oggi, perché rispondenti a principi razionali di giustizia. Per Beccaria la pena di morte era ammissibile solo in condizioni eccezionali, minaccia alla sicurezza dello Stato, e quando la sua morte fosse l’unico mezzo per impedire ad altri di commettere ulteriori delitti. Quindi la pena di morte per Beccaria è un fenomeno che sta al di fuori del diritto, paragonabile alla guerra e alla rivoluzione.
Il Regno d’Italia cancellò dal proprio Codice penale la pena di morte nel 1889, ma il fascismo la reintrodusse nel 1926, nel quadro delle misure liberticide adottate per la difesa del regime. L’Italia democratica e repubblicana l’ha definitivamente soppressa all'indomani della Liberazione.

4) Molti altri paesi, generalmente caratterizzati da un ordinamento democratico dello Stato e da un’avanzata coscienza civile, hanno eliminato dal proprio Codice la pena di morte. Tuttavia, in alcuni paesi, si assiste da qualche anno, anche in conseguenza dell’aumento del tasso di criminalità nelle grandi metropoli, ad un ritorno alle esecuzioni capitali, per tanti anni, in precedenza, sospese nella prospettiva di una revisione dell’ordinamento giudiziario che potesse prevedere anche in tali paesi l’abolizione della pena capitale. E’ il caso, ad esempio, degli Stati Uniti d’America, dove alcuni degli Stati che compongono l’Unione, già da tempo, hanno abolito la pena di morte, ma in altri, che la prevedono tuttora, si è ritornati da qualche tempo a eseguire in California, in Texas e in altri stati dell’Unione, addirittura di minorati mentali e di adolescenti, riconosciuti sì colpevoli di gravi crimini, ma in realtà essi stessi vittime precoci di una violenza esercitata su di loro in famiglie e in ambienti abbruttiti dall’alcolismo, dalla droga e dalla miseria.

5) Anche in Italia la criminalità in aumento e alcuni casi di efferati delitti, compiuti su inermi ed innocenti bambini, evidentemente ripugnanti di cronaca nera, si dichiarano apertamente favorevoli al ripristino della pena di morte nel nostro ordinamento giudiziario.
Questi cittadini, evidentemente, ritengono la pena di morte un mezzo idoneo per eliminare i cattivi soggetti e scoraggiare il resto della collettività a compiere dei crimini, attribuendo quindi alla pena capitale un grande valore deterrente nei confronti del crimine. Io credo sia utile prendere in considerazione le statistiche: ebbene, queste contraddicono i sostenitori di tali tesi; infatti in tutti gli USA c’è un altissimo tasso di criminalità e, tra gli stati che prevedono la pena di morte e quelli che invece la contemplano nel proprio ordinamento giudiziario, non c’è molta differenza, in quanto i crimini puniti generalmente con la massima pena sono riscontrabili quasi in egual misura in entrambi i gruppi di stati. Inoltre molti giuristi, riprendendo una delle tesi di Beccaria, ritengono la pena di morte controproducente, in quanto il condannato potrebbe essere considerato un martire dalla stessa opinione pubblica che, dopo aver ne preteso la morte in un momento di turbamento emotivo e spinta da un primordiale sentimento di vendetta, poi, mossa a commozione da qualche particolare situazione, desidererebbe magari salvarlo. Ci rendiamo conto quindi che la giustizia, in un paese moderno e democratico, non può assolutamente essere lasciata in balia delle emozioni del momento.

6) A parte le possibilità dell’errore giudiziario (e alcuni casi, anche clamorosi, non possono non metterci in guardia), che con un’esecuzione capitale diverrebbe ovviamente e tragicamente irreparabile, si ritiene che la giustizia, in un moderno paese democratico, debba dare ad ognuno ampie possibilità di difendersi e, più che mirare a vendicare un reato, per quanto orribile, debba mirare a far ravvedere il colpevole, facendolo diventare consapevole del male commesso. I principi della giustizia moderna, a cui s’ispira anche la nostra Costituzione repubblicana, sostengono che il detenuto debba essere rieducato e non punito, che debba essere reinserito nella società e non emarginato. A molti può sembrare alquanto ingiusto dover accettare un uomo che ha torturato ed ucciso, però sappiamo bene che l’uomo non nasce cattivo, ma lo diventa vivendo in ambienti senza valori, senza principi, senza vera giustizia, che lo tentano e lo sottomettono, spingendolo a compiere anche quegli atti che mai avrebbe pensato di poter commettere. E’ giusto ritenere che la vita abbia un valore assoluto, che la vita di qualunque persona sia qualcosa di sacro e di assolutamente inviolabile.
Se un uomo non ha, dunque, il diritto di uccidere un altro uomo, che diritto abbiamo noi di condannarlo a morte, sia pure in nome della giustizia? Chi ci dà tale diritto? Agiamo noi forse in nome di una giustizia infallibile?
Condannandolo alla privazione della vita, ci macchieremo della più orripilante delle colpe ed allora la nostra coscienza non sarebbe più quella di prima, non saremmo più gli stessi, anche noi avremmo ucciso, e non certo perché vittime di situazioni ambientali dominate dalla violenza e dal degrado umano, ma addirittura lo avremmo fatto per una ragione di giustizia.
Il progresso non riguarda solo le scienze e la tecnica, ma anche l’organizzazione della società e il senso morale, per cui anche la giustizia oggi s’ispira a principi del tutto diversi rispetto al passato.
Le leggi del taglione e le regole del tipo occhio per occhio, dente per dente sanno più di rozza rappresaglia che di giustizia e, se una volta erano in auge, oggi offendono il moderno senso civico morale.

7) L’ordinamento giudiziario italiano vuole ispirarsi a moderni principi di giustizia: infatti l’art. 27 della nostra Costituzione recita: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Proprio questo esclude, pertanto, qualsiasi intenzione vendicatoria della società civile nei confronti del condannato, considerando quest’ultimo sempre una persona comunque dotata di piena dignità umana e meritevole di reinserimento ad avvenuta rieducazione. Lo stesso articolo esclude la pena di morte, salvo nei casi previsti dalle leggi militari di guerra: questa non è una contraddizione, ma l’affermazione categorica che la pena di morte è fuori dal normale ordine giuridico, una necessità estrema a cui si può ricorrere nell'eccezionalità della guerra, quindi una violenza paragonabile alla guerra stessa.

8) Tuttavia è giusto credere che più importante di qualsiasi azione repressiva sia un’efficace prevenzione dei comportamenti criminosi, mediante la graduale eliminazione di quelle situazioni di degrado sociale che, forme di violenza esse stesse, alimentano devianze sociali e delinquenza. La bonifica dei ghetti di periferia delle grandi metropoli, la lotta alla droga, la lotta alla corruzione, la lotta soprattutto alla disoccupazione giovanile, anche in quanto fattore di reclutamento della manovalanza del crimine organizzato, devono essere i tratti di un disegno di risanamento e sviluppo della nostra società che, per tanti versi, appare malata ed incapace di fornire ai giovani saldi valori morali confortati da esempi numerosi in cui poter credere.



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