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Opere di Eugenio Montale

Montale è stato poeta di pochi ma meditatissimi libri di versi: una produzione scarsa, sul piano quantitativo, ma che gli è bastata per conquistarsi, come e più di Saba e Ungaretti, il ruolo di poeta classico del nostro Novecento, capace di anticipare, e anche di riassumere e superare, le esperienza più significative del secolo. Seguendo l’ordine delle raccolte di versi via via pubblicata, possiamo suddividere la poesia monta liana in tre stagioni poetiche fondamentali, ciascuna segnata da un ambiente caratteristico di vita e di lavoro: la Liguria, Firenze, Milano.

Liguria: Ossi di Seppia
La prima stagione poetica, quella ligure, si lega a Ossi di seppia (1925), il libro d’esordio pubblicato da Montale pochi anni dopo che il fascismo si era insidiato al potere. Il mondo del primo Montale appare comune, familiare: un ambiente marino abitato da presenze fisiche e naturali come onde e schiume, alghe e ciottoli, uccelli e piante (limoni, agavi, eucalipti, tamarischi). La prima poesia del libro è dedicata ai limoni, uno tra gli alberi più comuni; mentre la raccolta prende titolo dai poveri relitti sballottati dalle ondate, le cartilagini di pesci chiamate appunto ossi di seppia.
Ma su questo sfondo delle Cinque Terre liguri, il giovane poeta coglie soprattutto i segni dello sfaldarsi dell’esistenza, lo sgretolarsi di ogni illusoria forma di vita. Ecco come, in Clivio, egli rappresenta il triste paesaggio della vita umana: Un crollo di pietrame che dal cielo / s’inabissa alle prode… / Nella sera distesa appena, s’ode / un ululo di corni, uno sfacelo. Il paesaggio ligure Ossi di seppia sembra insomma caricarsi di un oscuro senso tragico, sembra incarnare ciò che Montale chiama, con un’immagine pregnante, il male di vivere (Spesso il male di vivere ho incontrato: è l’inizio di una delle più famose liriche di ossi di Seppia.

Firenze: Le occasioni e La bufera
La seconda stagione poetica, quella fiorentina, si lega alla raccolta Le occasioni (1939), maturata nel clima raffinato e simbolico dell’Ermetismo fiorentino. Il paesaggio mediterraneo di Ossi di seppia s’interiorizza nell’assorto e simbolico colloquio del poeta con le occasioni della memoria, con la donna amata, Clizia, e con altre figure femminili, anch’esse cantate con pseudonimi (Dora Markus, Liuba, Gerti). In momenti speciali, sollecitate da certe situazioni, queste donne tornano a visitare il poeta attraverso i barlumi del ricordo. Nasce allora la speranza di un possibile contatto, nasce l’illusione di aver trovato un varco nel muro e di poter cogliere, e vivere, l’essenza della vita. Scaturisce da tale speranza la lirica La casa dei doganieri costruita come evocazione della donna amata e dialogo con lei, a distanza, nella memoria. Ma l’esito è deludente: non c’è alcun varco, le altre persone dimenticano, il ricordo stesso si sfalda e la donna resta, di fatto, lontana, inaccessibile.
Alla stagione fiorentina si ricollega anche il terzo grande libro montaliano, La bufera e altro (pubblicato nel 1956, ma concepito negli anni della Seconda guerra mondiale). Fin dal titolo esso pone in primo piano la recente tragedia della guerra, la bufera che ha sconvolto il mondo, con le sue sinistre presenze: i dittatori (La primavera hitleriana), le discriminazioni razziali (La bufera), lo sterminio (L’arca, Gli orecchini), i campi di concentramento (Il sogno del prigioniero). In questo messaggio di rovine, il poeta ascolta con difficoltà sempre maggiore i messaggi che la sua lontana ispiratrice (l’unica rimasta), Clizia, gli invia. E’ così che la storia presente, l’attualità, entra nei versi di Montale: solo di riflesso. La sua non è mai una diretta poesia di denuncia o una poesia politicamente impegnata. Da qui le critiche che dopo il 1945, in clima di Neorealismo, verranno mosse alla sua opera e alla sua figura.

Milano: Satura
La terza stagione di Montale è quella milanese, contrassegnata dal suo lavoro di giornalista, a contatto con la realtà dei mass-media e la società dei consumi del dopoguerra. Questa nuova fase viene inaugurata da Satura (1971) caratterizzata da uno stile diari stico e basso, seguiranno nel 1973 il Diario del ’71 e del ’72, nel 1977 il Quaderno di quattro anni, infine nel 1980 Altri versi. Tutti tioli bassi, come si vede, neutri come i sostantivi (Diario, Quaderno) in essi contenuti.
Se un tempo la poesia di Montale aveva cantato le occasioni salvifiche della memoria, adesso tra i suoi argomenti della routine quotidiana, consistente in eventi privati, cronaca spicciola ecc. Ma non lo fa senza passione: il poeta colpisce con aspra ironia l’immane farsa umana (è un immagine del Quaderno di quattro anni) dove il ridicolo si mescola / all’orrore (così si legge in Altri versi). Il suo bersaglio polemico sono le pretese delle ideologie di guidare il mondo e la falsità della comunicazione di massa. In tal modo, l’ultimo Montale riprende l’atteggiamento negativo già tipico della sua prima raccolta, Ossi di seppia, dove spiccava il famoso verso, codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (Non chiederci la parola), che riassume la sua posizione e la sua ricerca.

Le prose
Alle citate raccolte di poesia si aggiungono il Quaderno di traduzioni poetiche (1948) e alcuni libri di prosa. Il più importante è La farfalla di Dinard (1956), in cui il poeta raccoglie prose peotiche e divagazioni, rievocando (in modo sempre enigmatico) le medesime occasioni di vita che aveva messo in versi.
Da ricordare anche le prose giornalistiche raccolte in due libri:
  • Auto da fé (1966), un’antologia ricavata dai migliori scritti giornalistici via via usciti sul Corriere della Sera;
  • Fuori di casa (1969), un libro originato dai reportages scritti da Montale in occasione dei suoi viaggi all’estero.
Infine, sempre tra le prose, va citato il volume Sulla poesia (1976), una raccolta di interessanti saggi critici che confermano la statura di Montale letterato e intellettuale.



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