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Calcio e Poesia

Ancora all'inizio del Novecento lo sport era avvertito dai letterati italiani come un'esperienza indegna, in sé e per sé, di attenzione poetica: come un'attività, cioè, estranea all'arte. Gli sportivi erano poi sentiti come un'umanità tutt'altro che eroica, perché troppo compromessi con le passioni materiali e le pulsioni istintive della folla. In particolar modo, i letterati italiani (diversamente da quelli francesi o anglosassoni) sentivano indegne di rappresentazione letteraria le condizioni in cui si faceva sport: essi rifuggivano il fango, la terra, lo sporco, il sudore, tutto ciò che accompagna, durante la gara, il gesto atletico.
Abbiamo visto nel percorso precedente come questi pregiudizi furono superati nel ciclismo, grazie all'intuizione di alcuni direttori di giornali, che spedirono le loro firme migliori al seguito del Giro d'Italia. In questo terzo percorso osserveremo invece il modo in cui il calcio entrò, progressivamente, nell'immaginario di un poeta aristocratico come Eugenio Montale, o in quello di un poeta tragico come Giuseppe Ungaretti; piuttosto, nei versi di un poeta amante della vita quotidiana, come Umberto Saba. E' Saba il primo scrittore italiano a occuparsi di calcio a fini artistici. Raffigurano nelle loro opere tale sport anche altri poeti novecenteschi, come per esempio Vittorio Sereni e Giovanni Giudici, capaci di liberarsi dei loro pudori intellettuali e di professarsi tifosi, rispettivamente dell'Inter e del Genoa. Anche Pier Paolo Pasolini tifoso del Bologna.




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