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Tema su Italo Svevo

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Italo Svevo nasce a Trieste il 19 dicembre 1861 da famiglia di origine ebraica (il padre è un impiegato statale di nazionalità tedesca). Il suo vero nome è Aron Hector Scmitz, ma dopo aver sperimentato vari pseudonimi (erode, Ettore Samigli, E. Mugliano) nel 1892 lo scrittore assumerà quello definitivo, di Italo Svevo, giustificandolo nel Profilo autobiografico del 1928 come volontà di affratellare la razza italiana e quella germanica.
Dopo un'infanzia felicissima, come egli stesso definì, nel 1874 viene mandato a vivere e studiare, assieme a due fratelli, nel collegio di Segnitz, in Baviera (Germania). Ritornato in Italia nel 1878, completa gli studi commerciali all'Istituto Revoltella di Trieste, presso i cui corsi serali, anni dopo, sarà egli stesso docente.
Acquista intanto una buona conoscenza letteraria: legge prima gli autori classici della letteratura tedesca, in lingua originale, poi gli italiani, che accosta da autodidatta, frequentando la Biblioteca Civica di Trieste. Conosce e apprezza precocemente la nuova narrativa naturalista di Zola. Assiduo spettatore dei teatri di prosa, scrive intorno al 1880 i primi abbozzi di commedie.
Le difficoltà economiche del padre lo spingono (settembre 1880) a prendere servizio come impiegato nella filiale di Trieste della viennese Unionbank. Dal 1886 stringe una duratura amicizia con il pittore triestino Umberto Veruda (1868-1904).
In quest'epoca pubblica, sul quotidiano triestino L'indipendente, articoli di critica letteraria (firmati con lo pseudonimo di E. Samigli) e le prime opere di narrativa: il racconto lungo L'assassino di via Belpoggio (1890) e il romanzo Una vita (1892; titolo originario Un inetto), da lui stampato a proprie spese dopo il rifiuto dell'editore Treves di Milano, e passato inosservato.
Nel 1896 sposa Livia veneziani, più giovane di lui di tredici anni; l'anno dopo nasce la figlia Letizia. Il padre di Livia, Gioacchino Veneziani, era l'inventore della formula chimica per vernici sottomarine; la sua ditta era celebre e prospera, fornitrice delle maggiori flotte europee. Nel 1899 Svevo può così dimettersi dalla Unionbank e cominciare a lavorare nella dita Veneziani.
L'insuccesso anche del secondo romanzo, Senilità, apparso a puntate nell'estate del 1898 sull'indipendente, lo induce, come scriverà in Soggiorno londinese (1926), ad abbandonare del tutto la letteratura. M'ero sposato, avevo una figlia e bisognava diventare seri. A partire dal 1901, per conto della ditta Veneziani stringe relazioni d'affari in tutta Europa; dedica le ore lasciate libere dal lavoro allo studio del violino. Dal 1902 al 1912 comincia a risiedere regolarmente per diversi mesi all'anno a Londra.
Nel 1906, quando già aveva ripreso a lavorare ad alcune commedie, conosce personalmente lo scrittore irlandese James Joyce, che insegna inglese alla Berlitz School di Trieste; Svevo ne diviene allievo per ragioni di lavoro. Probabilmente da allora comincia a riprendere saltuariamente l'attività di scrittore, sia pure coltivandola nei ritagli di tempo.
Dal 1910-11 entra in contatto con la psicoanalisi, in seguito alla cura del cognato Bruno Veneziani presso Freud e all'incontro con Wilhelm Stekel, collaboratore del grande medico viennese. Dal 1915 Svevo collabora per un breve periodo al quotidiano triestino La Nazione (continuatore dell'Indipendente) e frequenta il circolo irredentistico-patriottico del Caffé Tergesteo. Nel 1917 la fitta Veneziani deve chiudere a causa della guerra.
Dal 1919 al 1922 elabora il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno. L'opera è pubblicata nel 1923 dall'editore Cappelli di Bologna e il suo insuccesso lo convince che se la letteratura era nociva sempre, a quell'età era addirittura perniciosa (Profilo autobiografico). Tuttavia Svevo fa giungere il libro a James Joyce, allora a Parigi; su incoraggiamento di quest'ultimo, lo invia ai critici italianisti Benjamin Cremieux e Valery Larbaud, che favoriscono una prima diffusione di Svevo presso il pubblico francese. Invece, in Italia, è il giovane poeta Eugenio Montale il precoce scopritore del romanziere triestino.
Quasi improvvisamente, tra il 1926 e il 1927, scoppia il caso Svevo: lo scrittore, ormai sessantaseienne, conosce per la prima volta la notorietà. Mentre sta lavorando agli abbozzi di un quarto romanzo di memorie, muore il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza, per le conseguenze di un incidente automobilistico.

Trieste di Svevo
Quando nacque Svevo, Trieste apparteneva ancora all'impero asburgico (verrà annessa all'Italia nel 1919, alla conclusione della Grande guerra). Costituiva una tipica zona di confine, ai margini di un grande stato, in cui si incrociavano lingue e civiltà diverse:
  • la cultura tedesca, severa e molto rigorosa anche sul piano religioso;
  • la cultura viennese, pure di lingua tedesca ma più vivace e raffinata;
  • quella italiana, condizionata dai problemi della lingua e da forti spinte all'annessione all'Italia (irredentismo).
  • le culture slovena e serba (legate al mondo contadino);
  • sopravvivenze orientali (greca, armena, turca);
  • infine era radicata in città una forte comunità ebraica, con le sue millenarie tradizioni.
L'opera di Svevo rappresenta la sintesi di questo coacervo di tradizioni. Egli stesso volle sottolineare la propria duplicità, letteraria e culturale, adottando lo pseudonimo di Italo Svevo. La sua famiglia era di origine ebraica, in parte italiana, in parte tedesca (di provenienza renana); egli studiò in Germania ma, benché non fosse italiano per nazionalità, scelse l'italianità.
Questo è un punto che va sottolineato, anche per i suoi riflessi linguistici. Svevo dovette impegnarsi in una difficile educazione linguistica, leggendo gli scrittori classici italiani (da Machiavelli a De Sanctis e Carducci); ma nel suo vocabolario rimangono visibili tracce d'impurità, quali usi stranieri (tedeschi, in particolare) e arcaismi, fenomeni tipici di chi scrive in una lingua imparata. In seguito la critica gli avrebbe imputato una cattiva assimilazione e gli avrebbe rimproverato di scrivere male; oggi però gli studiosi ridimensionano tali accuse.

Svevo intellettuale di frontiera
D'Altra parte, proprio la condizione di marginalità faceva di Trieste un terreno multiforme e fertilissimo di sperimentazione culturale, e fu in questo contesto che si formò la personalità così ricca e diversa di italo Svevo. Le più vive istanze della cultura della Mitteleuropa (l'Europa di mezzo) penetrarono a Trieste con netto anticipo rispetto all'Italia: per esempio la psicoanalisi e una nuova forma di romanzo psicologico, in cui si rifletteva la crisi delle certezze ottocentesche e del primato della borghesia.
Ma Svevo era un intellettuale di frontiera anche per altri motivi:
  • anzitutto, per la sua educazione di indirizzo commerciale (quindi non letterario, come è quasi sempre accaduto per la maggior parte degli scrittori italiani), svolta in ambiente per metà tedesco e per metà italiano;
  • in secondo luogo, per la sua origine ebraica, che lo poneva in una condizione marginale sia rispetto alla maggioranza della popolazione (cattolica), sia rispetto ai suoi stessi correligionari, perché Svevo non era credente né praticante;
  • infine, per la sua precoce vocazione di intellettuale e scrittore, che tuttavia egli coltivò bilanciandola sempre con l'impiego in banca e un'esistenza solidamente borghese.



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