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Poetica di Giovanni Pascoli

La poetica del fanciullino comportava novità profonde rispetto alla poesia precedente. Pascoli mette in versi sogni, incubi, visioni, in cui pone sullo stesso piano il reale e l’irreale, giungendo a inscenare impossibili colloqui di vivi e di morti. Tutto ciò significava spingere molto in là le possibilità della lingua, adottando soluzioni formali nuove su ogni piano:

  • a livello del suono delle singole parole (ambito fonico);
  • a livello del significato dei vocaboli (ambito semantico);
  • Sul piano della struttura del periodo (ambito sintattico).


L’originalità di tutto questo s’intonava perfettamente alle ricerche espressive in corso a livello europeo. Anche Pascoli, come i maggiori poeti di primo Novecento, voleva costruire una sorta di lingua speciale della poesia: un linguaggio ben diverso da quello comune, un’espressione che valesse non tanto per ciò che dice, ma per i suoi suoni, le allusioni, i silenzi.

Le onomatopee: suoni
Sul piano fonico Pascoli fa largo uso dell’onomatopea, cioè di parole o espressioni che riproducono un rumore o un suono particolare. Per esempio, per indicare un temporale scrive: Un bubbolìo lontano. Il lavoro ritmato delle donne al lavatoio è lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene; le rane emettono un gr egre, le campane suonano con i loro rintocchi: Don don. Grande rilievo hanno nell’onomatopea pasco liana, i suoni degli uccelli, riportati con puntigliosa precisione (scilp, videvitt, chiù). Le onomatopee pascoliane, però, non sono strettamente naturalistiche. Il loro scopo non è soltanto quello di evocare i rumori effettivamente esistenti in natura, ma anche quello di creare nuove suggestioni ed evocazioni, richiamando al lettore realtà indeterminate, lontane, spesso percepite come minacciose e inquietanti.

Scelta lessicale
Sul piano lessicale Pascoli sperimenta molteplici soluzioni.
Talora cerca un linguaggio raro e prezioso, anche arcaico similmente a quanto faceva in quegli anni D’Annunzio, che suscita nel lettore una sensazione di mistero.
A volte adopera vocaboli tratti dal linguaggio settoriale di qualche attività o mestiere, come quello del contadino: in questi casi ricerca la massima precisione. Ciò costituiva una forte novità nel panorama retorico della poesia italiana.
Altrove utilizza il linguaggio pregrammaticale dei bambini, e/o quello agrammaticale degli illetterati: nel poemetto Italy il dialetto toscano si mescola a tratti al linguaggio degli italoamericani di Brooklyn, i quali per parlare di affari utilizzano bisini, corruzione di business.

La metrica
Lo sperimentalismo pascoliano non abolisce la metrica: il verso libero sarà una conquista successiva, pur se già adombrata da D’Annunzio. Anzi Pascoli ridimensiona il desiderio di novità così vivo a fine Ottocento; riutilizza sistemi metrici e ritmici molto tradizionali o antichi (il sonetto, la terzina di endecasillabi danteschi, le strofe della poesia greca e latina), conservando anche l’uso della rima. Però rivisita queste forme con accenti e ritmi del tutto inediti: talora spezza il verso con puntini di sospensione, esclamativi, interrogativi, così da far percepire quanto sia pre-logico (prima della logica) il discorso della voce narrante (una voce fanciulla). Talora rende il ritmo poetico simile a un singhiozzo, talora tende ad avvicinarsi alla nenia, alla cantilena dei bambini. In sostanza, la tradizione metrica viene piegata da Pascoli ad assumere valori tutt’altro che tradizionali.

Sintassi soggettiva
Anche sul piano sintattico, Pascoli rifiuta l’uso di una costruzione di tipo tradizionale, che pone una precisa gerarchia fra gli elementi del discorso e che richiama, quindi, un’idea chiara e precisa del mondo. Prevale in lui una visione soggettiva e incerta della realtà: l’uomo è circondato di mistero e il mondo è tutt’altro che chiaro e univoco (non offre cioè un solo significato). Da qui derivano l’uso tipicamente pascoliano di frasi ellittiche (prive di soggetto o verbo; soprattutto dell’ausiliare essere) e il ricorso sistematico alla coordinazione, anziché alla subordinazione. I periodi, per lo più brevissimi, si accavallano, come a tradurre il punto di vista infantile, tipicamente pascoliano; o meglio, come a voler esprimere la crisi che è subentrata nella visione del mondo. Gli elementi della frase vengono accostati l’uno all’altro, spesso senza essere uniti da congiunzioni: l’accostamento avviene in base a ciò che le parole stesse suggeriscono oppure per analogia, che però è soggettivamente stabilita dall’autore, cioè è determinata dalla relazione che egli pone fra una cosa e un’altra.

Analogia e Sinestesia
In Pascoli è costante l’uso dell’analogia, il procedimento che sopprime, per così dire, il legame del come. I paesaggi logici intermedi fra due termini vengono cancellati e sono accostati due concetti che fra loro non avrebbero un nesso logico; il nesso è fornito solo dall’immaginazione del poeta. Così avviene per esempio in soffi di lampi o in respiro di vento. In X agosto il poeta accosta analogicamente fra loro, a scopo simbolico, la morte del padre, quella della rondine e il pianto di stelle.
Anche sul piano retorico Pascoli attua la sua sperimentazione. Usa in particolare le figure che si prestano a evocare sensazioni suggestive, come la sinestesia, che accosta parole (spesso un aggettivo e un sostantivo) appartenenti a sfere sensoriali diverse. Così accade nell’immagine soffi di lampi (L’assiuolo), dove la nota visiva (i bagliori lontani dei lampi) si trasforma in una nota tattile, in un soffio vicino. In tremolio sonoro si associano a livello visivo (o tattile) e livello uditivo; altri esempi sono pigolìo di stelle, odor di sole. Invece tacito tumulto è addirittura un ossimoro, cioè un associazione di per sé contraddittoria.



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