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Riassunto: Nedda, Verga

di Giovanni Verga 
Riassunto:

Nel prologo, parlando in prima persona, Verga narra come un giorno, standosene pigramente dinanzi al caminetto con il fuoco acceso, mentre fantasticava oscillando fra sogni e ricordi, fosse riemersa nel pensiero un'altra fiamma, da lui vista ardere un giorno nel camino della fattoria del Pino alle pendici dell'Etna. Intorno a quella fiamma, così ridestata nel ricordo, sono ad asciugarsi una ventina di ragazze, raccoglitrici di olive, fradice di pioggia. Una sola tra loro resta solitaria in disparte, Nedda (diminutivo di Bastianezza). Alle domande delle compagne, la fanciulla, umile, povera e timida, narra della sua miseria e della madre gravemente malata. Alla fine della settimana, con i pochi soldi della paga, Nedda parte per ritornare a casa.
Lungo il faticoso cammino, Nedda incontra Janu, un giovane del suo paese che è stato a lavorare a Catania. Giunta a casa, trova la madre quasi agonizzante: a nulla servono l'intervento del medico e l'estrema medicina procurata dallo zio Giovanni. L'anziana donna muore. Dopo averla seppellita, Nedda accetta una nuova occupazione ad Aci Catena.
Il lavoro è ora più redditizio e consente alla ragazza maggiore serenità; Janu le regala un fazzoletto di seta lucente e, dopo pochi incontri, le chiede di sposarlo. Fra i due nasce un rapporto passionale e gioioso, ma esso non porta alla felicità. Nedda infatti mostra presto i segni infamanti di una gravidanza prematrimoniale; Janu si ammala di malaria e tuttavia, per affrettare le nozze, non rinuncia a lavorare. Cade  però da un ulivo e viene consegnato morente a Nedda.
La fanciulla rimane sola: abbandonata, disprezzata, sfruttata; presto le muore anche la figlioletta rachitica e stenta che ha avuto da Janu e che Nedda aveva accolto come illusione di un conforto. La battuta che conclude la novella riassume il significato della concezione del vivere maturata da Nedda: Oh! benedette coi che siete morte! Oh benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire  come me!.

Le novità
Il bozzetto siciliano che inaugura la stagione verista di Verga nacque quasi occasionalmente, senza essere stato concepito sulla base di specifiche riflessioni su tecniche narrative. Fu pubblicato per la prima volta sulla rivista italiana di scienze, lettere e arti il 15 giugno 1874, e quindi in volumetto autonomo dall'editore Brigola alla fine di quell'anno, ottenendo un successo che neppure l'autore si attendeva.
In realtà Nedda segnava, per Verga e per la narrativa italiana nel suo complesso, un'autentica rivoluzione letteraria, per quanto silenziosa e in un primo momento passata inosservata. Come scrisse il critico Luigi Russo, con Nedda cambia la visione della vita, cambia anche il contenuto della nuova arte: non più duelli, non più amori raffinati di artisti e ballerine (come in Eva), ma passioni semplici, tragedie silenziose e modesto di povere contadine; guerre sanguinose di uomini primitivi, che chiudono in petto un vigoroso senso dell'onore e una barbara violenza di passioni. La vita è dove pulsa un cuore e soffrono dei corpi sotto il peso ingiusto delle fatiche, più schietta che non dove battono polsi frebbili di un amore di moda o società.

Il pessimismo di Verga
L'attenzione del lettore si concentra soprattutto sulla figura di Nedda la varannisa (così chiamata perché viene dal borgo di Viagrande): la prima di una lunga galleria di umili protagonisti verghiani, costretti dalla propria misera nascita a una vita di stenti e ai quali neppure l'amore riesce a dare più che un barlume di speranza. La storia dell'umile raccoglitrice di olive s'inserisce in un più vasto sfondo sociale, le campagne siciliane dopo l'Unità d'Italia che contiene in sé i germi dell'indignazione e della denuncia da parte dell'autore.
Nedda, che Verga colloca raggomitolata sull'ultimo gradino della scala umana, è la povertà personificata; dei suoi fratelli in Eva, dice lo scrittore, bastava che le rimanesse quel tanto che occorreva per comprenderne gli ordini e per prestar loro i più umili, i più duri servigi. La sua figura e la sua storia diventano la personificazione del pessimismo verghiano. La sorte infierisce con particolare crudeltà su di lei, eppure le sue sventure non sono causali o immotivate: nascono, piuttosto, da una radicale e profonda ingiustizia di partenza, alla quale peraltro Nedda è talmente assuefatta che ogni nuovo colpo del destino riesce soltanto a dilatare i margini della sua sofferenza: Il cuore ebbe un'altra strizzatina, come una spugna non spremuta abbastanza, nulla più.



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