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Paul Verlaine: Languore

Questa famosa lirica venne pubblicata per la prima volta sulla rivista Il gatto nero nel 1883. Fu subito interpretata come il manifesto del nascente Decadentismo.
Schema metrico: sonetto di 14 versi raggruppati in 2 quartine e 2 terzine.

Spiegazione parola per parola del testo
  1. Sono l'impero: io sono (cioè mi sento) come l'impero romano nella sua fase più tarda, subito prima del disfacimento.
  2. Barbari bianchi: gli invasori germanici erano di carnagione chiara.
  3. Acrostici: giochi di parole, nell'acrostico le lettere iniziali di ogni verso, se lette di seguito, formano parole di senso compiuto. Dunque non compone più vera poesia, perché non ha più niente da dire.
  4. Il languore del sole... d'oro: un tramonto rosso fuoco, bellissimo nei suoi colori. Il poeta lo contempla da lontano, proprio come da lontano osserva l'invasione dei barbari, cioè la vita che avanza.
  5. Batillo: un celebre attore di Alessandria d'Egitto, caro a Mecenate. Più che citare un personaggio storico, il poeta allude a una generica figura di artista dell'antichità.
  6. Tutto è bevuto, tutto è mangiato!: non solo il poeta ha già consumato e sperimentato tutto; più in generale, l'impero improduttivo ha sperperato ogni sua ricchezza, mentre i barbari stanno portando via quanto è rimasto.
  7. Tesdio: in francese ennui, è la noia esistenziale. Richiama il languore del v. 4 e lo spleen di Baudelaire.

Analisi del testo e commento
Languore divenne immediatamente celebre, perché sintetizzava con efficacia il diffuso senso di decadenza che circolava nella cultura dell'epoca. La condizione contemporanea viene paragonata a quella dell'impero romano intorno al IV-V secolo d.C., all'epoca cioè delle invasione barbariche; un'età proverbialmente di crisi e sfinimento. Il senso del declino è sottolineato dal fatto che si parla di fine della decadenza: se Verlaine avesse detto durante la decadenza, sarebbe stato meno efficace.
La sofferenza nasce non da un evento preciso, ma, come dice il titolo, da un indeterminato languore, al quale il poeta non sa come reagire e da cui anzi si sente attratto. Su di lui pesa un'invincibile pigrizia, una specie di paralisi, che però, benché dolorosa, viene percepita come inevitabile: la storia e la vita si svolgono altrove; qui, nel luogo e nel tempo in cui vive il poeta, le cose vanno così e non ci si può far nulla.
Il poeta si sente estenuato anche perché gli pare impossibile fare nuove esperienze: ormai ha provato tutto (Tutto è bevuto, tutto è mangiato!, v. 11), anche in senso intellettuale. Il pensiero, la poesia sono infatti presentati come un gioco (comporre acrostici indolenti, v. 3), raffinato, sì, ma inutile, privo di effetti sull'esistenza comune. Perciò, alla fine, non rimane che lasciarsi andare, abbandonarsi al tedio (v.14).
Il fascino delle poesie di Verlaine dipende anche da una raffinatissima musicalità, che in traduzione purtroppo si perde. Il poeta ha scelto una forma chiusa e classica come il sonetto, per costruire una scena apparentemente oggettiva, in ciò simile alle rappresentazioni dei parnassiani. Ma qui Verlaine usa un quadro esterno per rendere un sentimento interiore, una condizione soggettiva, sentita però come rappresentativa dello stato d'animo della prima generazione decadente.



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