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Italo Calvino: Lezioni americane

Riassunto:
L’ultima opera di Calvino furono le cosiddette Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, nate come una serie di conferenze progettate per l’università statunitense di Harvard. Calvino le scrisse in buona parte nell’estate del 1895 ma poté concluderne solo cinque, né poté pronunciarle, perché la morte lo colse prima, dopo una breve e improvvisa malattia. Il titolo inglese dell’opera, come risulta dagli appunti dell’autore, era più modesto: Six for next millennium (Sei promemoria per il prossimo millennio).
Era frequente in quegli anni, la riflessione sulle sorti della letteratura nell’era tecnologica post-industriale. Le lezioni americane forniscono un rilevante contributo a tale dibattito. Rievocando le proprie letture, la propria carriera di scrittore, citando testi e autori, Calvino ripercorre, sinteticamente ma con vastità di orizzonti culturali e di conoscenze, la storia letteraria europea, dalle remote origini greche fino ai nostri giorni, allo scopo appunto di trarne indicazioni per il futuro. Nell’opera incontriamo una caratteristica peculiare di Calvino, ovvero la sua capacità di saldare innovazione e tradizione letteraria, ricerca del nuovo e sensibilità verso i valori del passato. Benché a quell’epoca la diffusione dell’informatica nella vita quotidiana fosse solo agli inizi, Calvino aveva già più volte evocato la minaccia portata dai computer al romanzo e alla letteratura. In alcuni racconti, per esempio, aveva immaginato dei calcolatori che, attraverso una serie di istruzioni, creassero testi narrativi dotati di senso, sostituendo l’autore. Tuttavia, nelle Lezioni americane egli manifesta ancora una grande fiducia nel futuro della letteratura: ci sono orizzonti ed emozioni che essa soltanto può regalare, a patto però che sappia valorizzare le sue qualità più specifiche.

Le qualità specifiche della letteratura letteraria
Sono sei, a parere dell’autore, le qualità che potranno assicurare la sopravvivenza della letteratura nel terzo millennio: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza. A ciascuna delle prime cinque è dedicata una lezione; la sesta, sulla consistenza, non fu mai scritta.
La prima lezione illustra le virtù della leggerezza: il racconto, grazie alla vivacità e alla mobilità dell’intelligenza, può sfuggire all’insostenibile pesantezza dell’essere, costruendo un universo alternativo, diverso da quello in cui si svolge il vivere quotidiano. Calvino elogia scrittori del passato, come il poeta latino Lucrezio, o più recenti, come il francese Cyrano de Bergerac, il primo che tentò di sottrarsi alla forza di gravità e di inventare sistemi per salire sulla luna. Precursore in ciò del nostro Leopardi che dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza, sottraendo peso al linguaggio fino a farlo somigliare alla luce lunare.

La seconda lezione è dedicata alla rapidità e si può riassumere nell’elogio dello scrivere bene e in una celebrazione del ritmo narrativo, in quanto agilità di stile e di trama. Raccontare, dice Calvino, è sempre un operazione sulla durata, un incantesimo, che agisce sul tempo, contraendolo o dilatandolo. Chi narra deve lottare contro il tempo: può vincere se, mediante il ritmo, riesce a conservare vivo nell’ascoltatore il desiderio di sentire il seguito. Un ottimo esempio di questa rapidità sono le fiabe, ma lo è anche la sublime concisione delle Operette morali leopardiane. Davanti a nuovi, rapidissimi massmedia di oggi, Calvino difende da una parte la velocità mentale della letteratura, dall’altra il valore, antitetico, della lentezza: solo calibrando tempi diversi, lo scrittore potrà produrre un messaggio d’immediatezza ottenuto a forza d’aggiustamenti pazienti.

Per esattezza Calvino intende tre cose: un disegno ben definito dell’opera; l’evocazione di immagini visuali nitide; l’uso di un linguaggio preciso. La letteratura è sempre in tensione verso l’esattezza: l’opera letteraria dovrebbe essere una minima porzione in cui l’esistente si cristallizza in una forma, vivente come un organismo. La peste da fuggire, scrive l’autore, è l’approssimazione, la quale dilaga anche nella vita e nel mondo reale, rendendo tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né forma. La letteratura è un arma di difesa contro questa generale perdita di forma.

La quarta lezione tratta della visibilità. Oggi, aggiunge Calvino, l’uso del visuale è più assiduo che mai. Ricorda che all’origine dei suoi racconti vi è sempre stata un immagine visuale; per esempio il nucleo sorgivo del Barone rampante è l’immaginazione del ragazzo che si arrampica sull’albero. Immagini possono nascere da qualsiasi linguaggio, anche dalla scienza, come Calvino ha documentato nelle Cosmicomiche. Oggi, nella civiltà delle immagini, va coltivata la capacità di vedere a occhi chiusi. Chi legge, non fa che proiettare immagini alla sua fantasia, alla sua vista interiore. Quanto allo scrittore, deve coltivare le visioni infinite della sua mente stando alla regola fondamentale del gioco letterario, che consiste nel rifiuto della visione diretta: la letteratura, cioè sempre segno e rimanda perciò attraverso la scrittura, a immagini-segni, a immagini-sogno.

L’ultima lezione scritta da Calvino riguarda la molteplicità. L’immaginazione è un repertorio del potenziale, che riguarda ciò che non è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere. Da qui l’idea di romanzo contemporaneo come enciclopedia, metodo di conoscenza e soprattutto rete di connessione tra i fatti, le persone, le cose del mondo. La letteratura, dice Calvino, continuerà a vivere se saprà porsi degli obbiettivi smisurati: la grande sfida che l’attende è proprio tenere insieme i diversi saperi e codici in una visione molteplice del mondo.



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