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Poetica del Fanciullino, Pascoli

di Giovanni Pascoli
Riassunto:

La poetica pascoliana riflette la situazione culturale fra Otto e Novecento, caratterizzata dal rifiuto del Positivismo, dalla sfiducia nella scienza e perfino nella ragione umana come metodo principale di conoscenza. Per Pascoli la realtà non conta tanto in se stessa, cioè come realtà oggettiva, quanto per come l’uomo riesce a vederla e a sentirla dentro di sé, come realtà soggettiva. Le piccole cose, quelle della campagna, per esempio, o i gesti dell’infanzia, assumono per lui più importanza delle cose grandi (per esempio i fatti della storia): infatti, se le si guarda con attenzione e si entra in rapporto con loro, esse possono farci intuire i valori autentici della vita. Il punto è che non si può capire la realtà con il ragionamento, ma soltanto immedesimandosi con essa, come fanno i bambini e i poeti.
In questa ottica, alla poesia spetta un compito di rivelazione: incapaci di penetrare con la ragione i segreti della natura, gli uomini possono averne una percezione grazie appunto alla poesia.

La teoria del fanciullino
Le concezioni di Pascoli sulla natura e sugli scopi della poesia sono espresse in un lungo e importante scritto, Il fanciullino, pubblicato nel 1897 sulla rivista fiorentina il Marzocco.
Secondo Pascoli,in ogni uomo c’è un fanciullo, capace di commuoversi e di sperimentare ogni giorno emozioni e sensazioni nuove. Spesso tale fanciullino è soffocato e ignorato dal mondo esterno, degli adulti, ma se si risveglia fa sognare a occhi aperti, fa scoprire il lato attraente e misterioso di ogni cosa, fa volare con la fantasia in mondi meravigliosi. Proprio come nel tempo dell'infanzia, tale fanciullino ha conservato la facoltà di parlare con gli alberi, i fiori, gli animali, e in qualsiasi momento si può tornare ad ascoltare la voce.
Il fanciullino osserva le piccole-grandi cose della campagna con una prospettiva rovesciata:
  • le cose grandi le vede piccole (il brillare delle stelle, per esempio, gli pare un pigolio);
  • le cose piccole le ingrandisce (un ciuffo di fili d'erba gli sembra una foresta).
Il suo metro di giudizio differisce radicalmente da quello degli uomini adulti, civilizzati; è un individuo di natura, non di dicitura.
Nella metafora di Pascoli, questo fanciullo non è una condizione anagrafica, ma è una condizione interiore. Essa rappresenta quella natura pura e ingenua, candida e innocente, che, nella psicologia di un individuo, può conservarsi anche in età avanzata; l'individuo cresce e invecchia, ma il fanciullino rimane piccolo dentro di lui, e piange e ride senza perché. L'importante è non soffocare definitivamente questa voce, che ancora vibra nella parte dell'anima rimasta, appunto, fanciulla.

Il poeta fanciullo
Chiunque riesca a conservarsi fanciullo, dice Pascoli, può:
  • guardare la realtà circostante con stupore ed entusiasmo;
  • percepire così il lato bello e commovente di ogni situazione;
  • oltrepassare, con la fantasia, le apparenze comuni e banali.
In altre parole, il fanciullino è colui che sa osservare poeticamente il mondo: le sue facoltà sono le stesse del sentimento poetico. Infatti, nell'ottica di Pascoli, il poeta è precisamente colui che, come i fanciulli, ha mantenuto l'infantile capacità di meravigliarsi e d'intuire, piuttosto che di ragionare. Da lui non potrà che nascere una poesia fanciulla: essa rinuncerà all'eloquenza, alla dottrina, all'imitazione dei grandi scrittori del passato, e s'ispirerà piuttosto allo stormire delle fronde, al canto dell'usignolo, all'arpa che tintinna. Rifuggirà le grancasse, scrive Pascoli, cioè i modi solenni da poeta-vate (e infatti a un certo punto del suo scritto egli polemizza direttamente con il maestro Carducci), perché il fine della poesia è solo la poesia, la poesia pura. Se invece l'arte nasce per afferrare messaggi esterni (sociali, religiosi o politici), tradisce se stessa e si consegna alla retorica. La posizione di Pascoli è molto vicina all'arte per l'arte di parnassiani e simbolisti.

Pascoli sviluppa ulteriormente il parallelismo tra fanciullo e poeta:
  • il fanciullo osserva ogni cosa con occhio incantato, perché tutto gli parla di orizzonti sconosciuti e affascinanti; anche il poeta fanciullo sa cogliere le misteriose relazioni (le corrispondenze di Baudelaire) e analogie che sussistono tra le cose;
  • il fanciullo vede le cose in maniera discontinua, slegata; anche il poeta-fanciullo esprime le proprie immagini in maniera istintiva, pre-logica, se non irrazionale;
  • il fanciullo vede solo i primi piani, non il vicino e il lontano, o il prima e il dopo, e tutto gli appare parimenti importante; ugualmente, al poeta-fanciullo sfuggono le giuste dimensioni perché egli giustappone, una dopo l'altra, le immagini e le sequenze, senza rielaborarle nel giusto ordine;
  • il fanciullo non si sente affatto superiore rispetto alla natura, e anzi s'immerge con timore in essa, parla agli animali e alle nuvole, s'immedesima con i fili d'erba; anche le parole del poeta-fanciullo sono quelle incontaminate della gente semplice di campagna, cioè sono parlate dialettali, gerghi di arti e mestieri, i versi degli uccelli. Tutto concorre a ringiovanire l'espressione poetica. Affondano qui le radici dello sperimentalismo pascoliano.

Il Simbolismo Pascoliano
La poetica del fanciullino fa di Pascoli un poeta genuinamente simbolista: la parola poetica si carica della soggettività dell'io-poeta, che dice le cose non come sono, ma come le sente.
Ciò è vero per quasi tutti i poeti, ma lo è in particolare per i maestri del Simbolismo europeo (Rimbaud, Mallarmé): l'intima conoscenza della realtà può essere espressa solo mediante il simbolo. Cose e presenza naturale sono viste come emblemi di altre realtà, rappresentazioni di un mondo ignoto e invisibile, messaggi da ascoltare e decifrare. Il simbolismo di Pascoli è meno intellettuale e più istintivo. Quella del fanciullino è una visione bassa: essendo privo di filtri culturali, di aspettative o finalità ideologiche, egli può percepire il mondo solo in maniera infantile, ingenuamente. Il suo sguardo si ferma incantato d'insieme, salda e razionale. Il poeta-fanciullo si fissa ora su una foglia (su questa foglia) ora su un fiore (su questo fiore), rimane senza fiato davanti a nuvole, stelle, voli d'uccello. Ciascuna di queste realtà, per lui, è un flash (un'immagine simbolo) del mistero indefinibile del mondo.
Perciò le ambientazioni di Pascoli non sono mai sintetiche, ma sempre analitiche; invece al lettore poeta-intellettuale, capace di ritrovare il senso dell'assieme. A Pascoli non interessava offrire al lettore tutti i dati importanti di un certo quadro, quanto, piuttosto, moltiplicare i punti di vista, accavallare i piani della visione.
Perciò i simboli del poeta-fanciullo non si caricano (quasi) mai di tensione intellettuale (alla maniera, per esempio, di Mallarmé). Quando Pascoli si sforza di costruire i propri simboli, ottiene risultati poco convincenti, come avviene, per esempio, in Il libro, uno dei Poemetti. Esso rappresenta allegoricamente la condizione del pensiero umano, che cerca di decifrare il propri destino e di leggere nella propria misteriosa natura: come fa una mano che sfoglia le pagine di un vecchio libro aperto su un leggio, alla ricerca di qualcosa che non trova mai. Qui siamo appunto davanti a un'allegoria, calcolata in modo intellettualistico.

Significato delle campane, dei fiori e degli uccelli
Ben più suggestivi sono i simboli spontanei di Pascoli, perché si legano al mondo interiore del poeta-fanciullo. Un mondo che affiora sulla pagina dallo stretto contatto con la vita semplice della campagna, dalle sue umili presenza: le campane, i fiori, gli uccelli.
Le campane suonano, come in La mia sera, soprattutto per evocare un'atmosfera di sogno, per accendere la memoria felice dell'infanzia; la loro voce è spesso (come in Digitale purpurea e Il gelsomino notturno) il simbolo della sessualità bloccata: il suo è un mondo senza amore e senza sessualità, perché privo di vere relazioni con il mondo degli altri. Infine, gli uccelli sono gli animali più citati dal poeta: essi si collegano da un lato al simbolo fondamentale del nido (di cui si è accennato ma che approfondiremo in un altro articolo), dall'altro appaiono come abitatori di quella misteriosa regione (il cielo) da cui anche le campane mandano la loro voce, e che suggerisce messaggi e voci struggenti, anche se non sempre decifrabili. Pure il canto degli uccelli viene reso da Pascoli attraverso il frequente ricorso all'onomatopea, come in Dialogo. Invece l'uccello notturno, la civetta o l'assiuolo, con il suo prolungato chiù lancia presagi di morte, apre finestre sull'incubo. udito nel dormiveglia, il singhiozzo dell'assiuolo suscita angoscia, un turbamento indicibile.



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