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Purgatorio Canto 24 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto ventiquattresimo (canto XXIV) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Illustrazione di Gustave Doré

Forese indica a Dante l'anima di Bonagiunta da Lucca, col quale il poeta intavola una discussione sul "dolce stil novo". Bonagiunta mostra di aver capito che la sua poesia, oltre a quella di Jacopo da Lentini e di Guittone d'Arezzo, non può rientrare in quel genere non essendo ispirata dal vero amore. Forese predice la morte violenta del fratello Corso. In lontananza si scorge un albero da frutta verso il quale tendono le braccia numerose anime; una voce grida esempi di golosità punita, ricordando che quell'albero discende da quello del bene e del male. L'Angelo dell'Astinenza cancella la sesta P dalla fronte di Dante.

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 24 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

Il parlare non rallentava il cammino, né l’andare rendeva il discorso (lui)
meno vivace, ma conversando (ragionando), procedevamo velocemente (forte),
come fa una nave spinta (pinta) da un vento favorevole (buon);
e le anime (dei golosi), che sembravano esseri inanimati (cose) morti da tanto tempo (rimorte),
scrutandomi dal profondo delle occhiaie traevano motivo
di meraviglia (ammirazione), essendosi accorte che ero ancora vivo.
E io, continuando il mio discorso (sermone),
dissi: «L’anima di Stazio (Ella) sale forse più lentamente (più tarda)
di quanto non farebbe, per causa di Virgilio.
Ma dimmi, se tu lo sai, dov’è (tua sorella) Piccarda;
dimmi se vedo qualche persona degna di nota (da notar) fra questa
turba di anime che mi guarda con tanta insistenza».
«Mia sorella, che non so se fosse più bella o più buona,
gode del suo trionfo nell’Empireo (alto Olimpo),
già incoronata con la beatitudine conquistata (sua corona)».
Prima disse così; e poi (continuò): «In questa cornice (Qui)
è necessario (non si vieta) dire il nome di ciascuno,
visto che il nostro aspetto (sembianza) è così
consunto (munta … via) dal digiuno (dïeta).
Costui» e lo indicò col dito «è Bonagiunta, Bonagiunta da Lucca;
e quello dietro (di là) di lui con la faccia bucherellata (trapunta)
più delle altre fu sposo della Santa Chiesa (papa Martino IV);
fu di Tours e ora sta purgando con il digiuno
le anguille del lago di Bolsena e la vernaccia».
Mi nominò molti altri a uno a uno e m’apparivano (parean)
tutti contenti di essere nominati,
infatti non vidi nessun cenno di irritazione (bruno).
Vidi masticare a vuoto per la fame Ubaldino della Pila (fratello del cardinale Ottaviano e padre dell’arcivescovo Ruggieri)
e Bonifazio dei Fieschi (metropolita di Ravenna), che col bastone vescovile (rocco)
fece da guida pastorale (pasturò) a molte popolazioni (genti).
Vidi messer Marchese (degli Argugliosi, podestà di Faenza), che ebbe già modo (spazio)
di bere a Forlì con minore arsura (secchezza) di quanto
non ne soffra qui, e tuttavia fu tale in terra, che non era mai sazio.
Ma come fa chi prima guarda e poi mostra di stimare (s’apprezza)
più uno che un altro, scelsi (fei) quello di Lucca,
che appariva più ansioso di conoscermi (aver contezza).
Egli parlava sottovoce; e io udivo risuonare sulla bocca (là),
dove l’anima sentiva più forte la tortura imposta dalla giustizia divina
che così li consuma (pilucca), qualcosa come «Gentucca».
«O anima», dissi, «che appari così desiderosa di parlarmi,
fatti intendere meglio, e con le tue parole
appaga il mio e il tuo desiderio».
Ed egli cominciò: «Una donna è già nata, e non porta ancora il velo maritale (benda),
che ti renderà gradita la mia città,
nonostante le maldicenze che si (om) dicono.
Tu andrai via di qui con questa predizione (antivedere):
e se le parole da me mormorate prima
ti hanno fatto cadere in qualche dubbio (errore),
i fatti reali (le cose vere) ti chiariranno (dichiareranti) ciò che ho detto.
Ma dimmi se io vedo qui proprio colui che iniziò (fore trasse)
una nuova materia di poetare (nove rime), con la canzone ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’».
E io a lui: «Io sono proprio uno che, quando Amore mi parla
ispirandomi (spira), annoto (noto), e seguendo quello
che mi detta nell’animo (dentro), esprimo in versi».
«Ah, fratello, ora (issa) io comprendo», disse
egli, «l’ostacolo (nodo) che confinò (ritenne) me,
Jacopo da Lentini (’l Notaro) e Guittone d’Arezzo al
di qua del Dolce Stil Novo di cui ora sento parlare!
Io vedo chiaramente (ben) come i vostri scritti (penne) seguano (retro ... sen vanno)
con fedeltà (strette) l’insegnamento dell’Amore (dittator),
la qual cosa (che) non è certo accaduta nel nostro stile;
ma chi insiste nell’affrontare più profondamente (gradire oltre) il problema,
non trova differenza tra il vostro stile e il nostro»; e, quasi soddisfatto tacque.
Come le gru (augei) che svernano lungo il Nilo,
talvolta formano nel cielo un gruppo, poi,
volando più velocemente (a fretta), si dispongono in fila,
così tutto il gruppo di anime che era lì presente,
distolti gli occhi (viso) da me, affrettò di nuovo (raffrettò) il suo passo,
reso leggero dalla magrezza e dal desiderio di purificarsi.
E come l’uomo che è stanco (lasso) di correre,
lascia procedere i compagni, e riprende il passo normale,
finché si calmi (sfoghi) l’ansimare del petto (l’affollar del casso),
così Forese lasciò andare avanti il gruppo di anime (greggia) già destinate
alla salvezza (santa), e se ne stava dietro con me,
dicendo: «Quando sarà (fia) che io ti possa rivedere?».
«Non so», io gli risposi, «quanto mi resta ancora da vivere;
ma il mio ritorno qui non sarà (fia) mai tanto sollecito (tanto sto)
rispetto al mio desiderio di giungere prima possibile alla riva del Purgatorio;
poiché il luogo (Firenze) dove fui destinato a vivere
si impoverisce (spolpa) sempre più, di giorno in giorno,
di ogni virtù e appare avviato (disposto) a una lacrimosa rovina».
«Ora va», egli disse; «perché colui che è il maggior responsabile di tale rovina,
io lo vedo trascinato (tratto) alla coda di un cavallo infuriato (bestia)
verso la valle infernale, dove le colpe non vengono mai perdonate (non si scolpa).
La bestia va a ogni passo più rapida (ratto), aumentando sempre l’andatura,
finché gli dà il colpo di grazia (il percuote) e abbandona poi
il suo corpo orribilmente (vilmente) straziato (disfatto).
Non dovranno girare (volger) molte volte quelle ruote celesti»,
e indirizzò gli occhi al cielo,
«che tu intenderai chiaramente (fiachiaro) quello
che le mie parole non possono dichiararti meglio.
Ormai tu puoi anche restare indietro; poiché il tempo è prezioso (caro) in questo regno (di purificazione),
tanto che non posso perderne troppo procedendo così con te di pari passo».
Come talvolta un cavaliere esce di galoppo da una schiera di soldati,
che sta cavalcando contro il nemico,
per acquistare l’onore del primo scontro (intoppo),
così Forese si allontanò (partì) da noi con passi (valchi) più rapidi dei nostri;
e io rimasi per la via con i due poeti,
che furono così grandi maestri (mare scalchi) dell’umanità (mondo).
E quando Forese si fu tanto allontanato (innanzi ... intrato) da noi,
che i miei occhi faticavano a seguirlo,
così come il pensiero la sua profezia,
mi apparvero i rami carichi (gravidi) di frutta e rigogliosi (vivaci)
di un altro albero, e non molto lontani,
poiché solo (pur) allora mi ero rivolto verso quella parte (in laci).
Vidi sotto di esso un gruppo di anime (gente) che alzava le mani,
e gridava non so quali parole in direzione delle fronde,
come bambini (fantolini) avidi e impulsivi (vani) che pregano
e chi è pregato non li accontenta, ma, per rendere ancora
più acuto il loro desiderio, tiene in alto l’oggetto
di tale desiderio, senza però nasconderlo.
Poi quella gente si allontanò come disingannata (ricreduta);
e noi ci avvicinammo subito (adesso) al grande albero,
che non esaudisce (rifiuta) tante preghiere e tante lacrime.
«Andate oltre senza avvicinarvi; più in alto c’è un altro albero (legno)
il cui frutto fu morso da Eva, e questa pianta deriva (si levò) da quella».
Così diceva una voce misteriosa (non so chi) fra i rami;
perciò Virgilio e Stazio e io, vicini uno all’altro (ristretti),
proseguivamo dalla parte della parete rocciosa.
«Ricordatevi», diceva, «dei maledetti centauri, nati da una nuvola (Neféle),
che, sazi di cibo e di bevande (satolli), combatterono contro Teseo,
con il loro duplice petto (d’uomo e di cavallo; l’episodio è descritto nelle Metamorfosi di Ovidio);
e dei guerrieri ebrei che si dimostrarono deboli (molli)
davanti all’acqua di una fonte, per cui Gedeone (uno dei giudici di Israele)
non li volle come compagni,
quando scese dai monti per combattere i Madiàniti» (l’esempio è tratto dalla Bibbia).
Così, accostati a uno dei due orli (vivagni) della cornice,
avanzammo ascoltando esempi di gola, a cui seguì una ben triste punizione (guadagni).
Poi, camminando distanziati (rallargati) in mezzo alla strada deserta,
percorremmo ben più di mille passi, meditando (contemplando)
ciascuno per conto proprio senza parlare.
«Che cosa andate pensando voi tre così solitari?»,
disse una voce improvvisa (sùbita);
per cui io mi riscossi come fanno
le bestie spaventate mentre riposano (poltre).
Alzai il capo per vedere chi fosse (colui che aveva parlato);
e non si videro in una fornace vetri
o metalli così lucenti e incandescenti (rossi),
come io vidi un (angelo) splendente che diceva:
«Se voi desiderate salire, bisogna voltare; da questa
parte (quinci) va chi vuole andare verso la pace eterna».
Il suo splendore mi aveva abbagliato;
per cui io mi rivolsi indietro, verso i due poeti che mi guidavano (dottori),
come un cieco che cammina seguendo il suono delle parole udite.
E come la brezza (aura) di maggio,
che precede l’alba, spira ed è odorosa (olezza),
tutta impregnata del profumo dell’erba e dei fiori;
Così sentii un dolce colpo di vento colpirmi (dar) in mezzo alla fronte,
e sentii proprio muoversi l’ala dell’angelo,
che fece odorare l’aria di profumo celeste.
E udii dire: «Beati coloro che (cui) sono illuminati
da tanta Grazia divina che i piaceri della gola (l’amor del gusto)
non accendono (non fuma) nel loro animo (petto) un desiderio eccessivo (troppo disir),
provando sempre fame (esurïendo) di ciò che è giusto!».



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