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Purgatorio Canto 9 - Parafrasi

Appunto di italiano riguardante la parafrasi del canto nono (canto IX) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Francesco Scaramuzza, Dante sogna di essere afferrato da un’aquila

Dante si addormenta e sogna di volare in groppa ad un'aquila fino alla sfera del fuoco, dove entrambi bruciano. Al risveglio Virgilio lo conduce alla porta del Purgatorio, dove un angelo incide con la spada sette P sulla sua fronte (simboleggianti i sette peccati capitali da cui Dante dovrà purificarsi durante il viaggio).

In questa pagina trovate la parafrasi del Canto 9 del Purgatorio. Tra i temi correlati si vedano la sintesi e l'analisi e commento del canto.



Parafrasi

L’Aurora, compagna (concubina) del vecchio (antico) Titone
già biancheggiava all’orizzonte (balco)
lontana dalle braccia del suo dolce amico;
la sua fronte era lucente di stelle,
disposte a formare la figura del freddo animale (la costellazione dello Scorpione)
che ferisce (percuote) la gente con la sua coda;
e nel luogo dove eravamo, la notte aveva percorso
due passi di quelli con cui essa sale,
mentre si apprestava a compiere anche il terzo (e ’l terzo già chinava in giuso l’ale) (perché erano circa le nove di sera);
quando io, che avevo un corpo come Adamo,
vinto dal sonno, mi coricai (inchinai) sull’erba
là dove già stavamo seduti tutti e cinque.
Nell’ora in cui, all’approssimarsi dell’alba,
la rondinella comincia il suo lamentevole canto (lai),
forse in ricordo delle sue prime sventure,
e in cui la nostra mente, più distaccata (peregrina)
dal peso della carne e meno presa dalle preoccupazioni,
nelle sue visioni è quasi profetica (divina),
mi sembrava di vedere in sogno un’aquila (aguglia)
dalle penne d’oro librata (sospesa) nel cielo,
con le ali distese e in procinto di scendere;
e mi sembrava di essere là dove
Ganimede abbandonò i suoi compagni,
quando fu rapito (ratto) per essere condotto al concilio degli dei (sommo consistoro).
Pensavo tra me: «Forse quest’aquila colpisce (fiede)
solo (pur) qui per abitudine (uso), e forse di sdegna di prendere
prede (ne) da un altro luogo per portarle in alto fra gli artigli (in piede)».
Poi mi sembrava che, dopo aver compiuto alcuni voli concentrici (rotata),
scendesse terribile come la folgore,
e mi rapisse su fino alla sfera del fuoco.
Qui sembrava che lei e io bruciassimo,
e l’incendio sognato fu così ardente (cosse),
che necessariamente il sonno si interruppe.
Non diversamente si svegliò (si riscosse) Achille,
volgendo gli occhi aperti (svegliati) in giro
e non sapendo in che luogo si trovasse,
quando la madre (Teti) fra le sue braccia mentre dormiva,
sottraendolo alla custodia di Chirone, lo trasportò (trafuggò) nell’isola di Schiro,
da dove poi i Greci lo fecero partire (il dipartiro);
da come (che) mi destai io, non appena il sonno sparì
dal mio viso, e diventai pallido (ismorto)
come chi per lo spavento si sente gelare il sangue.
Al mio fianco c’era solo Virgilio (mio conforto),
e il sole era ormai alto da più di due ore,
e il mio sguardo si era rivolto verso il mare.
«Non avere paura (tema)» disse la mia guida;
«rassicurati, perché noi siamo a buon punto;
non diminuire (stringer) le tue forze, ma rinvigoriscile (rallarga).
Tu sei ormai arrivato al Purgatorio:
vedi laggiù il pendio (balzo) che lo circonda;
vedi l’ingresso laggiù dove il balzo sembra interrotto (digiunto).
Poco fa (Dianzi), nei primi albori che precedono il sorgere del sole,
quando la tua anima dormiva in te disteso
sui fiori che adornano la valletta laggiù,
venne una donna e disse: ‘Io sono Lucia:
permettetemi di prendere costui che dorme,
così potrò aiutarlo a continuare il suo cammino’.
Sordello e le altre nobili anime (genti forme) rimasero;
Lucia ti prese (tolse) e appena si fece giorno,
se ne venne su; e io seguii i suoi passi.
Ti depose qui, ma prima i suoi begli occhi
mi indicarono quella fessura nel balzo;
poi lei e il tuo sonno se ne andarono insieme (ad una)».
Come un uomo che si rassicura (raccerta) dopo un’incertezza,
e che trasforma il suo timore in fiducia (conforto),
dopo che gli si è svelata la vera realtà,
così mi trasformai io; e non appena la mia guida
mi vide senza alcun timore (cura),
si diresse su per la roccia (balzo); e io dietro a lui verso l’alto.
O lettore, considera con attenzione come io porti più in alto
il mio soggetto, e perciò non meravigliarti
se io lo rafforzo (rincalzo) con più elevato stile.
Noi ci avvicinammo (appressammo) e ci trovammo in un luogo tale che,
dove prima mi pareva di vedere una spaccatura (rotto),
proprio come una fenditura (fesso) che divide un muro,
vidi una porta, e sotto di essa tre gradini
di colore diverso per raggiungerla
e un portinaio che per il momento non pronunciava parola (motto).
E quando fissai con attenzione (più e più) l’occhio su lui (v’),
lo vidi sedere sul gradino più alto (sovrano),
così splendente in volto che non riuscii a guardarlo (soffersi);
e teneva in mano una spada sguainata (nuda),
che rimandava a noi i raggi del suo splendore
così che spesso tentavo invano di volgere lo sguardo a lui.
«Dite, dal luogo dove siete (costinci): che cosa volete?»
egli cominciò a dire: «dov’è la guida (scorta)?
Badate che la vostra salita non vi rechi danno (nòi)».
«Una donna venuta dal cielo, esperta (accorta) di queste cose»,
gli rispose il mio maestro, «proprio poco fa ci disse:
‘Andate là: questa è la porta’».
«Ed ella faccia progredire (avanzi) i vostri passi nella via del bene»,
riprese il cortese portinaio:
«Venite dunque davanti ai nostri gradini».
Ci portammo là; e il primo scalino (scaglion primaio)
era di marmo bianco così nitido (pulito) e lucente,
che io mi specchiai in esso come appaio (paio) in realtà.
Il secondo era scuro più del color perso (un colore formato dalle tinte di porpora e di nero),
fatto di una pietra poco compatta ruvida e arida,
incrinata sia per lungo che per traverso.
Il terzo, che si posa con la sua massa compatta (s’ammassiccia)
sopra il secondo, mi sembrava porfido,
di un rosso così acceso come il sangue che sprizza (spiccia) fuori da una vena.
Sopra questo gradino teneva entrambi i piedi l’angelo di Dio,
il quale sedeva sulla soglia della porta,
che mi sembrava dura come il diamante.
La mia guida trasse su per i tre gradini (gradi) me,
che lo seguivo di buona voglia, dicendo:
«Chiedi con umiltà, che apra la serratura della porta (serrame)».
Devotamente mi gettai ai piedi dell’angelo;
gli chiesi misericordia e che mi aprisse la porta;
ma prima mi battei tre volte il petto.
Con la punta della spada mi incise
sulla fronte sette P e disse: «Quando sarai dentro,
fa’ in modo di lavarti queste ferite».
La cenere o la terra che si scava (si cavi) da un terreno arido (secca)
sarebbe (fora) di un colore simile al vestito dell’angelo;
e da sotto a quella tonaca tirò fuori due chiavi.
Una era d’oro e l’altra d’argento;
prima con la bianca e poi con la gialla agì (fece) sulla porta,
per aprirla, in modo da accontentarmi.
«Ogni volta che una di queste chiavi sbaglia (falla),
in quanto non si gira nel senso giusto nella toppa»
ci disse l’angelo, «questo varco (calla) non si apre.
Una è più preziosa (cara); ma l’altra
ha bisogno di molta esperienza e intelligenza (d’arte e d’ingegno)
prima che possa aprire, perché essa è quella che scioglie (digroppa) il nodo (dei peccati).
Le ho avute da san Pietro; e mi disse che mi sbagliassi
piuttosto nell’aprirla che nel tenerla chiusa,
purché la gente si inginocchi ai miei piedi».
Poi spinse il battente della porta sacra,
dicendo: «Entrate; ma vi avverto (facciovi accorti)
che chi si guarda (si guata) indietro deve tornare fuori».
E quando i battenti (spigoli) di quella porta (regge) sacra,
che sono di metallo sonante e robusto,
girarono (fuor … distorti) sui cardini,
non stridette (rugghiò) così, né si mostrò così dura (acra)
la rupe Tarpea, quando fu estromesso il valoroso Metello,
che la custodiva, per cui poi rimase impoverita (macra).
Mi rivolsi attento al primo forte rumore (tuono)
e mi sembrò di udire cantato da voci mescolate
a una dolce musica il ‘Te Deum laudamus’.
Ciò che io udivo mi riproduceva fedelmente (a punto)
la stessa impressione (imagine) che di solito si riceve (qual prender si suole)
quando si assiste a un canto accompagnato dagli organi,
per cui le parole ora si comprendono, ora no.



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