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Inferno Canto 34: analisi, commento, figure retoriche

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del trentaquattresimo canto dell'Inferno (Canto XXXIV) della Divina Commedia di Dante Alighieri.

In questo canto i due poeti si trovano nella quarta zona di Cocito, chiamata la Giudecca, dove sono puniti i traditori dei benefattori. Personaggio di spicco del canto è Lucifero che infierisce con le sue tre bocche ai dannati Giuda, Bruto e Cassio. Infine escono dall'Inferno arrampicandosi su Lucifero.



Analisi del canto

Il canto di Lucifero
Il viaggio di Dante nell'Inferno è giunto alla fine e qui avviene l'incontro con il Re dell'Inferno Lucifero ('mperador del doloroso regno v. 28), nel punto più basso del suo regno e più lontano da Dio, e più precisamente lo colloca al centro della terra. Il viaggio di Dante nell'aldilà però è tutt'altro che finito, deve ancora attraversare il Purgatorio e infine il Paradiso.

Il canto può essere suddiviso in due parti
  • la prima parte (vv. 1-69): descrizione di questo luogo che è chiamato Giudecca, incontro con Lucifero e descrizione di questo personaggio;
  • la seconda parte (vv. 70-139): la faticosa uscita dall'Inferno, Virgilio che spiega l'origine della struttura terrestre.


La figura di Lucifero
Dalla descrizione che Dante ci fornisce di Lucifero veniamo a sapere che si tratta di un essere gigantesco e mostruoso impossibilitato a muoversi e ad interagire con Dante, che possiede tre teste di diverso colore, sei ali da pipistrello che sbattendole raggela l'Inferno, lacrime che gocciolano dai sei occhi, la bava che è un misto di sangue e altri orridi miscugli che gli scende giù per i menti, le tre bocche occupate dai tre principali traditori secondo la tradizione biblico-classica (Giuda Iscariota, Bruto e Cassio).  

Lucifero è l'antitesi di Dio e fu il primo che si ribello all'Onnipotente. Viene raffigurato come l'opposto della Trinità divina (potenza del padre, amore del Figlio e sapienza dello Spirito Santo) dove le tre teste rappresentano l'odio (la faccia vermiglia), l'ignoranza (la faccia gialla) e l'impotenza (la faccia nera).


Giuda, Bruto e Cassio
Giuda ha tradito Cristo, quindi la Chiesa; Bruto e Cassio hanno tradito Cesare, quindi l'Impero. Nei tre sommi traditori Dante ha voluto colpire coloro che attentarono prima di ogni altro le due istituzioni volute da Dio come guide all'umanità per raggiungere la felicità terrena e quella oltremondana.


L'origine della struttura terrestre
Virgilio risponde alle domande di Dante spiegandogli che vede Lucifero conficcato sottosopra e in poco tempo si è passati dalla sera alla mattina perché adesso non si trova più nell'emisfero boreale, quello della colpa e del peccato, bensì nell'emisfero australe, in quanto sono passati oltre il centro della terra.
Inoltre fornisce una spiegazione riguardo la posizione sottosopra di Lucifero: il demone precipitò all'ingiù dal cielo e la terra si ritrasse per lo sdegno di venire a contatto con la creatura mostruosa e si nascose sotto il mare, raccogliendosi nell’emisfero boreale e formando il vuoto della voragine infernale, mentre in quello australe si formò la montagna del Purgatorio.




Commento

Il vermo reo
Lucifero, il vermo reo, domina la scena del canto XXXIV dell'Inferno, disgustoso, orribile a vedersi. Dante cerca di comunicare al lettore la sensazione di orrore che ha provato alla vista di Lucifero in mezzo al ghiaccio di Cocito; in verità, più che l'orrore emerge la fissità di un ambiente gelido, in cui regna il male nel silenzio angosciante che tutto avvolge. Indirettamente Dante offre una definizione del male: è negazione di vita e vitalità, tanto suggestivo all'apparenza, quanto repellente nella realtà. La ragione ha svelato al poeta l'aspetto oggettivo di Satana, personaggio che ha fatto la storia dell'umanità determinandone per sempre le sorti, quel vermo-serpente che, nel Paradiso terrestre, indusse Eva a mangiare il frutto proibito. Ora, paradossalmente, proprio attraverso il vello di Lucifero si realizza la svolta salvifica di Dante, il passaggio cioè dall'Inferno al Purgatorio. Il male, da strumento di dannazione, si è trasformato in mezzo di salvazione; eppure solo la prospettiva del pellegrino è mutata, in quanto, aiutato dalla ragione, può ormai tranquillamente prendere le distanze da colui che prima era oggetto di attrazione e paura allo stesso tempo. Dante scopre così che Lucifero è semplicemente un vermo reo. L'immagine metaforica del vermo trova riscontro nei testi biblici classici, in particolare nell'Apocalisse, ma risale ancora più indietro nel tempo, all'epoca del mito.
Così, nella Mesopotamia arcaica, Tiamat, il mostro sacro sconfitto da Marduk, il signore della luce, viene descritta a forma di serpente. Tiamat è l'irrazionalità scatenata, l'istinto irrefrenabile che esplode nei giorni di fine dicembre e culmina nella notte del trentuno. Ma il primo di gennaio il serpente viscido, l'orribile vermo reo, viene annientato dal sole, che impone il dominio razionale su cose e persone. Perciò ogni anno Tiamat scatena la rituale guerra dell'istinto e ogni anno viene sconfitta da Marduk. Anche in Dante, Lucifero è la negazione della luce e della razionalità, e si presenta come un mostro dalle dimensioni spropositate: una massa gigantesca in cui si assomma il male del mondo. Di fronte alla nitida presa di coscienza si allontanano lentamente le angosce, il buio mortale, l'atmosfera cupa e tragica dell'Inferno. Dietro a Virgilio, Dante percorre uno stretto cunicolo e, senza accorgersi, si trova da tutt'altra parte. Scomparso il regno del dolore, Lucifero si mostra a Dante conficcato dentro il centro della terra, coi piedi per aria, mentre accanto al poeta scorre un fiumicello. Non c'è più Cocito né l'oscurità di una notte senza tempo: il pellegrino e la sua guida, dopo tanta sofferenza, tornano a riveder le stelle. Esse diventano in Dante il simbolo di un ritrovato equilibrio emotivo, di un'armonia che si schiude a nuove significative esperienze interiori.



Le figure retoriche

Qui di seguito trovate tutte le figure retoriche del trentaquattresimo canto dell'Inferno. Per una migliore comprensione del testo vi consigliamo di leggere la parafrasi del Canto 34 dell'Inferno.


Regis inferni = perifrasi (v. 1). Cioè: "re dell'Inferno". Per indicare Lucifero.

Come quando una grossa nebbia spira, o quando l’emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che ’l vento gira, veder mi parve un tal dificio allotta = similitudine (vv. 4-7). Cioè: "Come quando c'è una nebbia fitta o quando nel nostro emisfero cala la notte, e appare in lontananza un mulino a vento, così allora mi parve di vedere un'enorme costruzione".

Veder mi parve = anastrofe (v. 7). Cioè: "mi parve di vedere".

Trasparien come festuca in vetro = similitudine (v. 12). Cioè: "trasparenti come una pagliuzza nel vetro".

Com’arco, il volto a’ piè rinverte = similitudine (v. 15). Cioè: "come fa l’arco, riversano il viso verso i piedi".

Fortezza t’armi = anastrofe (v. 21). Cioè: "ti armi di coraggio".

Io non mori’ e non rimasi vivo = antitesi (v. 25).

A guisa di maciulla = similitudine (v. 56). Cioè: "come una gramola".

E aggrappossi al pel com’om che sale = similitudine (v. 80). Cioè: "e si aggrappò al pelo come uno che sale".

Ansando com’uom lasso = similitudine (v. 83). Cioè: "ansimando come un uomo affaticato".

E vidili le gambe in sù tenere = anastrofe (v. 90). Cioè: "invece vidi che teneva le gambe per aria".

Mal suolo = anastrofe (v. 99). Cioè: "suolo sconnesso".

Lume disagio = anastrofe (v. 99). Cioè: "poca luce".

Che ’l mondo fóra = anastrofe (v. 108). Cioè: "che buca il mondo".

L’uom che nacque e visse sanza pecca = perifrasi (v. 115). Per indicare Gesù, l'uomo che nacque e visse senza peccato.

Come prim’era = anastrofe (v. 120). Cioè: "come era prima".

A l’emisperio nostro = anastrofe (v. 124). Cioè: "nel nostro emisfero".



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