L'infanzia e l'educazione
Franz Kafka nasce a Praga nel 1883: il padre Hermann era un commerciante di origine ebraica mentre la madre Julie Löwy era una donna colta e dal carattere docile. Il padre aveva un aspetto imponente e autoritario nelle maniere, domina prepotentemente la fragile personalità del figlio, che sogna spesso di fuggire da casa. L'incoerenza e la brutalità della sua educazione sono tali da farlo sentire responsabile anche di azioni che non ha commesso.
La lettera al padre
I disagi psicologici derivanti da questo rapporto conflittuale saranno documentati in una famosa lettera-confessione del 1919, la Lettera al padre, dalla quale emergono, in tutta la loro drammaticità, la debolezza del giovane, le accuse di parassitismo che gli sono rivolte, l'estremo bisogno di affetto e di comunicazione, la sua inettitudine al matrimonio e gli affari, i due pilastri su cui si reggeva la società piccolo e medio borghese dell'epoca. Si tratta di un'accurata autoanalisi, ma nello stesso tempo di una testimonianza storica che rappresenta la crisi di un mondo impietoso e falsamente moralista.
Dopo aver superato l'esame di maturità, nel 1901, s’iscrive all'Università tedesca di Praga, dove si laureerà, nel 1906, in Giurisprudenza, lavorando poi dopo un breve periodo presso la corte di giustizia, in un istituto di assicurazioni. Legge i classici della letteratura tedesca e francese, oltre ai filosofi greci.
Il Diario
A partire dal 1910, datano le pagine del "Diario", espressione di un forte desiderio di narrarsi, di trascrivere sulla pagina i progetti mancati e i desideri insoddisfatti. Si interessa di spiritismo e della cultura ebraica. Nel 1912, conosce la dirigente di una ditta di Berlino, Felice Bauer, che lo attrae per le sue qualità di donna volitiva, pratica e sicura; ma il padre si oppone decisamente al matrimonio.
Il verdetto e le tematiche psicanalitiche
Il 1912, è anche l'anno della stesura delle sue prime opere. Fra queste "Il verdetto", racconto scritto in una sola notte, in cui si trova la conclusione antiedipica di un conflitto padre - figlio: il padre condanna il figlio a morte per annegamento, e questi esegue amorevolmente la sentenza. In questa acuta e sofferta trasposizione di tematiche psicanalitiche dalla vita alla letteratura, l'autore avverte come insopprimibile il senso di colpa causatagli dall'autorità paterna, fino a considerare se stesso, metaforicamente, come uno spregevole insetto.
La metamorfosi, l'alienazione, regressione e inversione
Così il protagonista del racconto lungo "La metamorfosi" (1916), Gregor Samsa, si sveglia un giorno una mattina trasformato in un enorme scarafaggio e, senza meraviglia della sua nuova quanto strana condizione, inizia una vita parassita fra le mura domestiche, lasciandosi alla fine morire di fame.
Kafka utilizza, come sfondo, lo stesso ambiente in cui vive la propria famiglia, estendendo poi la sua critica alla società del XX secolo, i cui valori dominanti, sono il successo e il guadagno. Emerge prepotentemente anche la forte rivalità del protagonista nei confronti del padre, esponente di quel mondo borghese ipocrita e perbenista rispetto al quale lo scrittore si sente irrimediabilmente diverso. L'alienazione dell'individuo del suo io più vero e profondo, emerge dall'analisi cruda del sistema capitalistico.
Il motivo della metamorfosi, rappresenta la regressione al mondo delle paure infantili, per l'incapacità di affrontare una realtà adulta. Ne scaturisce di rintanarsi e di chiudersi in un mondo tutto personale, nel quale ritrovare un impossibile segreto e la negata serenità, ossia l’identità del soggetto per sempre perduta.
Di grande interesse, infine, è la particolare tecnica narrativa usata dall'autore, cioè la tecnica dell'inversione, in cui risultano capovolti i piani narrativi del reale e dell'irreale.
Kafka, presenta come realmente accaduti degli avvenimenti impossibili, mentre la realtà perde, per il protagonista, ogni consistenza e significato.
Il disperso (Amerika)
L'altro importante lavoro, avviato nel 1912 ma rimasto incompiuto, è Il disperso, pubblicato postumo nel 1927 con il titolo di Amerika. Si tratta di una sorta di enciclopedia di generi diversi intrecciati fra loro: dal romanzo realistico a quelli di appendice, del genere avventuroso alla favola.
Il protagonista Karl Rossmann, persona ingenua e piena di ideali, si rifiuta di crescere mentalmente e si rifugia nella sua infanzia inviolata; egli rispecchia il punto di vista dell'autore, sebbene la narrazione si svolge in terza persona (stile tipico kafkiano per proiettare le proprie angosce e i fantasmi interiori).
Il processo
Nel 1914 Kafka scrive un altro capolavoro, Il processo, che contiene anch'esso una forte carica autobiografica.
Il funzionario di banca Josef K. viene arrestato mentre è ancora a letto e portato in tribunale senza che gli venga spiegata l'imputazione; pur essendo senza colpa, subisce passivamente l'interrogatorio, trasformandolo in una sorta di autoaccusa e di confessione volontaria. Ancora una volta lo scrittore è interessato alle non-reazioni degli uomini, più che alle cose o agli avvertimenti. Alla fine il protagonista verrà condannato senza ragioni e giustiziato da due persone qualsiasi, che lo accompagnano in un luogo appartato e gli immergono un coltello nel cuore. Ai motivi della privazione dell'identità, dell'impotenza e della colpa, si aggiunge la satirica rappresentazione del provincialismo e della burocrazia di una società che si impadronisce dell'individuo fino a distruggerlo. La dimensione dell'assurdo, che nella Metamorfosi si esprimeva attraverso un caso del tutto eccezionale e inverosimile, si estende qui all'intera esistenza, diffondendo anche le sue manifestazioni più normali e comuni. Proprio perché è appena percettibile, indeterminata e priva di senso, l'angoscia diventa così uno stato d'animo assoluto, opprimente e incombente.
Gli ultimi anni
Al medesimo anno risale la stesura di alcuni fra i racconti più suggestivi, come Nella colonia penale, La costruzione della muraglia cinese e Il canto delle sirene. Segue un periodo di pausa letteraria, in cui Kafka prende finalmente la decisione di staccarsi dalla famiglia per vivere da solo. Nel 1918 soggiorna presso la sorella Ottla, alla quale era legato da un affetto particolare.
Rientrato a Praga, attraversa una profonda crisi religiosa, che lo conduce alla fede in un Dio personale e alla negazione del dogma del peccato originale. A questi ripensamenti non sono estranee le sofferenze dei reduci e la difficile situazione del dopoguerra.
Aveva intanto avvertito i primi sintomi della tubercolosi, che, dopo diversi ricoveri in sanatorio, lo renderà alla fine incapace di parlare, conducendolo alla morte nel 1924.
Le sue opere furono pubblicate quasi tutte postume dall'amico Max Brod, nonostante la volontà dell'autore di vederle distrutte.
Il castello
Negli ultimi anni aveva lavorato al romanzo Il castello, rimasto incompiuto. Il protagonista, designato con la sola lettera K., vorrebbe chiedere al signore di un castello il permesso di esercitare il proprio mestiere di agrimensore, ma uno stuolo di burocrati e di funzionari gli impedisce ogni volta di essere ricevuto, mentre è guardato con sospetto e ostilità dagli abitanti del villaggio.
Solo una persona si offre di aiutarlo, ma egli è addormentato, non la sente. Qui si interrompe il racconto, che avrebbe dovuto concludersi con la scena in cui, mentre sta morendo, il protagonista viene finalmente accettato e accolto da tutti. Proiezione dell'impotenza e delle frustrazioni dell'individuo, che si trova ovunque alienato e disperatamente solo, il romanzo esprime anche una tormentosa ansia di conoscenza, simbolo di una ricerca della verità assoluta che non è dato tuttavia conoscere.
Anche qui, come in altre opere di Kafka, non compare per esteso il nome del protagonista, quasi a voler significare la perdita che l'individuo contemporaneo ha subìto della propria identità (anche se l'uso dell'iniziale K. riconduce alla figura dell'autore stesso).
L'assurdo kafkiano (l'aggettivo ormai comunemente usato) rappresenta la manifestazione più tragica e cupamente grandiosa della letteratura della crisi dei primi anni del Novecento, che, dopo aver distrutto le attese esistenziali e le illusioni del singolo, scuote alle radici le presunzioni e le menzogne di un'intera civiltà, mostrandone l'irreversibile declino.