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Capitolo 21 de I Promessi Sposi - Analisi e Commento

Spiegazione, analisi e commento degli avvenimenti del ventunesimo capitolo (cap. XXI) del celebre romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.


La struttura

La prima parte del capitolo si incentra sulla figura di Lucia e sulla notte angosciosa nel castello; la seconda parte, simmetrica alla prima, rappresenta un'altra veglia altrettanto tormentata, quella dell'innominato. Le sequenze dedicate ai due personaggi sono presentate come simultanee da un punto di vista temporale, senza stacco, grazie alla consueta abilità del narratore-regista: «Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare altrettanto, e non poté mai».
Nella struttura complessiva del romanzo, il capitolo si inserisce come il secondo della "storia di Lucia", l'altra grande macrosequenza (capp. XX-XXVI) che corrisponde a quella di Renzo a Milano (capp. XI-XVII): la giovane, come il suo promesso, dovrà superare una prova difficile, dalla quale uscirà umanamente arricchita e maturata.



I personaggi i nuclei tematici


Lucia e l'innominato: il bene e il male a contrasto
L'episodio di Lucia al castello dell'innominato consente al Manzoni di sviluppare in profondità, attraverso una serie di analogie e di differenze, uno dei temi fondamentali dell'opera: il contrasto tra il bene e il male che è alla base del guazzabuglio del cuore umano. Lucia viene presentata come un personaggio antitetico a quelli che la circondano e nei quali suscita reazioni di vario genere: ingigantisce i fantasmi e le inquietudini del signore del castello; genera nel Nibbio disagio e compassione, inspiegabili in un uomo come lui; evidenzia la meschinità e lo squallore morale della vecchia mandata a soccorrerla. Lucia entra nel dramma dell'innominato attraverso l'inspiegabile turbamento provocato nel Nibbio che non riesce a illustrarne i motivi al suo padrone. In seguito, ella fa esplodere la sofferenza interiore che, fin dall'incontro con don Rodrigo, covava nell'animo del suo carceriere.

L'antitesi tra Lucia e l'innominato è duplice:
  1. Lucia, ricca di forza morale e religiosa, è il simbolo dell'innocenza e della fede vissuta nel quotidiano, realizzata senza clamori o gesti straordinari; il potente signore, da parte sua, incarna le forze del male, il rifiuto ostinato della grazia divina, ma, a differenza di altri malvagi del romanzo, ha fierezza e dignità, non disgiunta da una certa tensione verso la giustizia;
  2. Il ruolo di Lucia è quello della vittima perseguitata. È la situazione tipica del romanzo nero: l'eroina infelice tiranneggiata dal malvagio, rapita e portata in un luogo isolato. Tuttavia, se Manzoni recupera la componente avventurosa di questo genere letterario, le attribuisce un significato ben più ampio, facendo emergere tematiche morali e religiose completamente assenti nel genere gotico che prevalentemente punta sull'intreccio e sui colpi di scena, piuttosto che su complesse analisi psicologiche.
  3. I ruoli sono destinati a capovolgersi: la vittima agisce in modo benefico sull'oppressore e, contribuendo alla sua salvezza spirituale, fa di lui lo strumento della propria salvezza fisica.



L'incontro tra Lucia e l'innominato
L'incontro tra Lucia e l'innominato ribadisce inizialmente i rapporti di forza tra i due: lei debole e oppressa; lui potente e oppressore. Il timore della giovane si manifesta nell'atteggiamento. All'opposto, il signore manifesta la sua sicurezza di uomo abituato ad essere ubbidito. Tuttavia, assistiamo ad un graduale processo di trasformazione: l'una riprende lentamente l'autocontrollo ed esprime con una certa fermezza la propria disperazione; l'altro, esitante di fronte a quella persona umile e disarmata, tenta per un momento di ritrovare dentro di sé l'uomo antico. Anche il tono di voce è inconsueto. Il mutamento nella coscienza del rapitore di Lucia avviene grazie alle parole di quest'ultima. Abbiamo già visto nel romanzo, soprattutto leggendo le avventure di Renzo a Milano, quale potente strumento di oppressione e di falsificazione della realtà possa essere la parola. Qui, invece, opera la parola sincera, autentica, che nasce dalla fede e la cui sola forza è quella di richiamarsi alla presenza di Dio. Il terrore di Lucia e la sua richiesta di giustizia, l'insistenza con cui supplica di essere liberata, agiscono per vie misteriose in un animo già turbato e gli prospettano la possibilità di redimersi. Senza che la giovane possa saperlo, le sue parole rievocano quei pensieri sulla morte e sul significato della vita che tanto avevano ossessionato l'innominato.
Il signore si congeda infine dalla prigioniera con una frase che, nella sua apparente banalità, rivela la delicatezza del suo animo impietosito e già mutato, ma che non può rinunciare alle sue contraddizioni. La conversione del personaggio non ha infatti nulla di miracolistico o di improvviso; l'uomo vecchio di tanto in tanto riaffiora, per esempio quando egli si rivolge con asprezza alla vecchia.


La vecchia
La scena che vede protagonista la vecchia si inserisce dopo il dialogo e prima della descrizione della notte di Lucia e dell'innominato. La scelta risponde all'esigenza di abbassare il tono di un episodio che sta diventando patetico, troppo commovente. La vecchia conferma quei difetti del carattere, quelle passioni cui il narratore aveva accennato nel capitolo precedente: la stizza e la pigrizia, alle quali si aggiunge l'ingordigia. Servile e sempre timorosa delle possibili reazioni del padrone, assiste Lucia perché così le è stato comandato, ma senza autentica compassione, gelosa dell'attrattiva che le giovani riescono ad esercitare e preoccupata soltanto delle proprie comodità. Il suo monologo (parla più a se stessa che non a Lucia, la quale risponde a malapena) rappresenta una pausa della narrazione e prepara il dramma dei protagonisti.


La notte di Lucia e dell'innominato
La veglia di Lucia è seguita dal narratore nei suoi diversi momenti:
  1. uno stato di alterazione psichica e fisica in cui si mescolano realtà e allucinazione;
  2. una conseguente caduta nell'angoscia, come in una specie di abisso, dopo un temporaneo recupero della lucidità mentale; la tensione emotiva è così forte da trasformarsi nel desiderio di morire.


Ritroviamo le stesse fasi in quella dell'innominato:
  1. non riesce ad addormentarsi; il ricordo del passato lo assale, gettandolo nella disperazione. L'esame delle scelleratezze commesse lo inchioda ad una terribile responsabilità, portandolo al culmine della crisi;
  2. anch'egli, come Lucia, vorrebbe morire, tentato dall'idea di un suicidio che metta fine ad una vita divenuta insopportabile.


Infine, nel momento della massima tensione, l'esperienza interiore dei due personaggi diverge:
  1. Lucia si affida alla preghiera che fa rinascere in lei la speranza; l'offerta a Dio della propria sofferenza, il voto che la induce a sacrificare quello che aveva di più caro, si spiegano con la fiducia della giovane nella Provvidenza, e incrollabile nonostante la desolazione del suo stato d'animo: il gesto non dev'essere interpretato come segno di una religiosità rozza e superstiziosa, ma come l'ulteriore dimostrazione di una fede che è soprattutto colloquio, comunicazione con Dio. Così ella ottiene consolazione e pace;
  2. l'innominato, privo della fede, vive un profondo travaglio, perché la conquista dell'uomo nuovo deve passare attraverso un doloroso esame di coscienza, condotto con implacabile rigore fino a contemplare la possibilità di una vita oltre la morte e, di conseguenza, del giudizio divino. La prostrazione è così intensa che si manifesta persino fisicamente.

Nell'ultima fase, ciascuno dei due personaggi trova conforto al pensiero dell'altro: a Lucia viene in mente la promessa di libertà che il potente sconosciuto le aveva fatto; quest'ultimo, invece, si ricorda delle parole della giovane, la quale gli appare come colei che dispensa grazie e consolazioni. La lotta interiore non si è ancora conclusa e già spunta l'alba. Il momento della giornata assume un valore simbolico: analogamente a quanto era accaduto a Renzo dopo la fuga notturna verso l'Adda, la luce e i suoni sono la nota dominante che si accorda con la nuova condizione dell'innominato, uscito dalle tenebre del male.
La conversione del personaggio non è ancora completa: la grazia divina ha reso più determinata la sua volontà, ma solo dopo il colloquio con il cardinale Federigo Borromeo egli prenderà coscienza del cambiamento che si è prodotto in lui.



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