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Si sono angostioso e pien di doglia - Guido Guinizzelli

Parafrasi, analisi del testo e commento di "Si sono angostioso e pien di doglia", un sonetto il cui autore è Guido Guinizzelli.

Testo:

Sì sono angostioso e pien di doglia
e di molti sospiri e di rancura,
che non posso saver quel che mi voglia
e qual poss’esser mai la mia ventura.

Disnaturato son come la foglia
quand’è caduta de la sua verdura,
e tanto più che m’è secca la scoglia
e la radice de la sua natura:

sì ch’eo non credo mai poter gioire,
né convertir – la mia disconfortanza
in allegranza – di nessun conforto;

soletto come tortula voi’ gire,
solo partir – mia vita in disperanza,
per arroganza – di così gran torto.



Parafrasi

Sono tanto angustiato  e addolorato, e pieno di sospiri e di tormenti, che non posso sapere ciò che voglio né quale sarà mai il mio destino; sono strappato alla mia natura come la foglia caduta dal suo ramo; tanto più che in me si è seccato il terreno e la radice della mia natura: cosicché io non credo che potrò mai essere felice per nessuna consolazione, né mai riuscirò a mutare il mio dolore in allegria; voglio andarmene tutto solo come una tortorella; trascorrere la mia vita in disperazione, per disdegno di un così grave torto.



Analisi del testo

Il poeta bolognese Guido Guinizzelli è considerato il precursore e, secondo la definizione usata sia da Cavalcanti sia da Dante, il “padre” dello Stil Novo, in quanto morto nel 1276, cioè quattro anni prima della data in cui si fa tradizionalmente nascere la corrente stilnovista.

Si sono angoscioso e pien di doglia descrive il tormento del poeta privato dell’amore. La prima sequenza, coincidente con la prima quartina, è di carattere descrittivo: il poeta racconta la sua situazione e il suo stato interiore. Nella seconda quartina, invece, si paragona, attraverso una similitudine, a una foglia caduta dall’albero, comunicandoci lo stato di aridità in cui si trova da quando è stato distaccato dall’amore che fungeva per lui da linfa vitale. Nella prima terzina il poeta ribadisce come il suo stato di profonda sofferenza sia una situazione immutabile, in quanto Guinizzelli è incapace di ritrovare la felicità di una volta e nell’ultima terzina esprime la sua decisione di aderire al suo destino inevitabile, rimanendo per sempre solo come fanno le tortore quando perdono il compagno.

Questo testo è un classico sonetto formato da quattordici versi endecasillabi organizzati con lo schema di rime ABAB ABAB CDE CDE. In rima si possono notare parole come “doglie”, “rancura”, “disconfortanza”, “disperanza” e “torto”, tutte appartenenti all’area semantica del tormento, accostate a termini come “foglia”, “verdura”, “scoglia” e “natura”, appartenenti al campo naturale. Evidente è, infine, un’antitesi fra le due parole derivate “disconfortanza” e “conforto”.
Il rapporto fra sintassi e verso in questo testo è perfettamente coincidente, dal momento che non sono presenti enjambements e ogni strofa finisce con un punto, determinando un effetto di armonia e di dolcezza, nonostante la malinconia disperata che traspare da ogni affermazione.
Al primo verso di ogni quartina («Sì son angoscioso» del v.1 e «Disnaturato son» del v.5) si trovano due anastrofi che hanno la funzione di mettere in evidenza le parole chiave della strofa: la quantità insopportabile di dolore nel primo caso e la condizione di lacerazione della natura nel secondo. Al v.1 inizia una enumerazione per polisindeto che si conclude al v.2 («...e pien di doglia, e di molti sospiri e di rancura») comunicando al lettore un senso di pesantezza e di accumulo di emozioni negative.
In tutta la prima quartina è presente l’allitterazione dei suoni “S” (“sì sono”, “sospiri”, “posso saver”, “poss’esser” solo nella prima strofa), e “R” (“rancura”, “ventura”, verdura”, “poter gioire né convertir”, “tortula”., ecc.) che trasmettono in maniera più profonda rispettivamente i sospiri e il tormento di Guinizzelli.
Nella seconda quartina ai vv. 5-6 si legge «Disnaturato son come la foglia quand’è caduta de la sua verdura», una similitudine che compara la situazione di fragilità del poeta a una foglia caduta dall’albero. In questa quartina è diffusa un’allitterazione della “S” («secca la scoglia») accostata a suoni fruscianti come “F” e “V” che danno l’idea del movimento della foglia mentre cade.
Ai vv. 10-11 è presente una rima al mezzo (in antitesi concettuale) fra “disconfortanza” e “allegranza”. Quest’ultima parola viene, però, immediatamente negata, a testimonianza del fatto che il poeta è convinto di non poter mai più provare sensazioni positive. Lo stesso procedimento si trova anche nell’ultima terzina, dove “di speranza” rima al mezzo con l’“arroganza” del destino che l’ha voluto gettare nella condizione innaturale di un uomo privato dell’amore. In questa strofa si trova un’altra similitudine («soletto come una tortula voi’gire»), nella quale il poeta si paragona a una tortora, animale che i bestiari medievali ritenevano fedele fino alla morte a un solo compagno.
Questa poesia di Guinizzelli può essere accostata alla poesia “Tu m’hai si piena di dolor la mente” di Cavalcanti: specialmente ha molto in comune all’immagine dei vv. 9-11 («I’ vo come colui ch’è fuor di vita, che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia fatto di rame o di pietra o di legno»), dove il toscano dice di essere «fuori di vita», cioè nella stessa condizione arida e priva di gioia di Guinizzelli. Come il poeta bolognese si paragona a una foglia staccata dal suo albero, così Cavalcanti si sente come un automa fatto di legno, di pietra o di rame. Entrambi i poeti, quindi, usano delle similitudini di ambito naturalistico in accezione negativa per descrivere la loro visione tragica dell’amore.


Commento

I lamenti d'amore si trovano in molti componimenti dei Siciliani; ma qui contenuto intellettuale e sentimento appaiono mutati. Angoscia e dolore fanno sentire il poeta «snaturato» come foglia staccata dal ramo, e più ancora come albero dalla scorza e dalle radici secche. Così egli non spera che il suo sconforto possa, un giorno, mutarsi in allegria; anzi lo accetta e dice che vuole andarsene solo.
I richiami naturalistici sono, nel Guinizzelli, un modo di vedere e di sentire: nel Cavalcanti riveleranno una più tormentata e profonda volontà di ricerca.



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