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Becchin'amor! Che vuo', falso tradito? - Cecco Angiolieri

Testo, parafrasi, analisi e commento della poesia "Becchin'amor! Che vuo', falso tradito?" di Cecco Angiolieri.
Il dialogo di Cecco continua (riferito a Becchina mia!): ha tutta l'aria d'un dispetto recitato e cantato, d'una arietta rapida e insinuante; è teatro, perché appare un disegno, ancora lieve, appena abbozzato, dei caratteri, e il tono suscita il gesto: le implorazioni, i rifiuti, le promesse e gli inganni sono animati.


Testo:

– Becchin'amor! – Che vuo', falso tradito?
– Che mi perdoni. – Tu non ne se' degno.
– Merzé, per Deo! – Tu vien' molto gecchito.
– E verrò sempre. – Che sarammi pegno?

– La buona fé. – Tu ne se' mal fornito.
– No inver' di te. – Non calmar, ch'i' ne vegno.
– In che fallai? – Tu sa' ch'i' l'abbo udito.
– Dimmel', amor. – Va', che ti vegn'un segno!

– Vuo' pur ch'i' muoia? – Anzi mi par mill'anni.
– Tu non di' ben. – Tu m'insegnerai.
– Ed i' morrò. – Omè che tu m'inganni!

– Die tel perdoni. – E che, non te ne vai?
– Or potess'io! – Tègnoti per li panni?
– Tu tieni 'l cuore. – E terrò co' tuo' guai.


Parafrasi

- Becchina, amore! - Cosa vuoi falso traditore?
- Che mi perdoni. - Non ne sei degno.
- Pietà, per Dio! - Tene vieni molto umile, ora.
- E' vero sempre così. - Cosa me ne renderà certa?

- La mia buona fede. - Tu ne sei mal fornito.
- Non nei tuoi riguardi. - Non tentare di calmarmi, perché mi riaccosti a te.
- In che cosa ho sbagliato? Sai bene che l'ho sentito dire [del tuo tradimento].
- Dimmelo, amore. - Vai, che ti venga un colpo!

- Vuoi che io muoia? - Fosse vero!
- Tu non parli bene. - Verrò a imparare da te.
- E io morirò. - Ahimé, mi inganni ancora!

- Dio ti perdoni. - E che, non te ne vai?
- Ah, se lo potessi! - Ti tengo forse per il vestito?
- Tu tieni il mio cuore. - E lo terrò con tuo malanno.


Analisi del testo


Livello metrico
Sonetto con rime alternate sia nelle quartine che nelle terzine. Lo schema è ABAB, ABAB; CDC, DCD. L’alternanza delle rime accentua quel ritmo incalzante che si addice alla struttura del sonetto, interamente costruito sul rapido succedersi delle due voci di Cecco e Becchina.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Il lessico unisce parole di origine provenzale, che richiamano il tema della tradizionale subordinazione dell’amante alla donna («Merzé» e «gecchito», v. 3; «pegno», v. 4) a espressioni popolaresche, quasi volgari («che ti vegn’un segno», v. 8; «mi par mill’anni», v. 9; «Tègnoti per li panni?», v. 13); queste ultime sono pronunciate sempre da Becchina, con effetto di desublimazione e capovolgimento della tradizionale “gentilezza” e perfezione morale della donna. La sintassi è, per forza di cose, semplicissima: ogni periodo occupa mezzo verso. Anche l’elaborazione retorica del testo appare piuttosto elementare: sono presenti poche metafore, solitamente di origine popolaresca.

Livello tematico
Il sonetto è una parodia del contrasto, un genere basato sul dialogo o disputa tra due figure, reali o allegoriche, utilizzato spesso nella tradizione cortese. Il testo ha natura sostanzialmente teatrale e segue lo svolgersi di un’azione. Si parte da due posizioni che appaiono inconciliabili (Cecco chiede perdono, Becchina lo nega); la situazione di partenza si protrae quasi per tutta la lunghezza del sonetto; solo la battuta finale di Becchina (corrispondente all’ultimo emistichio) determinerà un cambiamento della situazione, una riconciliazione di cui, però, sarà la donna a dettare le condizioni.
I due personaggi sono individuati da tratti ben precisi. Cecco si umilia con un atteggiamento che, anche grazie alla scelta lessicale, richiama parodisticamente la sottomissione dell’amante tipica della lirica cortese. Ma quando la donna gli rimprovera la sua furfanteria (v. 5), egli non la nega affatto (come avrebbe certo fatto un cavaliere, che viveva l’amore come esperienza di raffinamento morale), ma si limita a proclamare – senza peraltro convincere nessuno – che la propria disonestà non si esercita nei confronti di Becchina (v. 6). Nelle terzine Cecco rinuncia alla difesa della propria innocenza e cerca di placare la donna facendo leva sul patetico («Vuo’ pur ch’i’ muoia?», v. 9; «Ed i’ morrò», v. 11) e sul rimprovero per l’inflessibilità di lei («Die tel perdoni», v. 12).
Becchina, da parte sua, è una donna che si nega non per troppa nobiltà, ma per indole dispettosa e gusto sadico. I suoi rimproveri all’amante sono intessuti di battute popolaresche; quando Cecco cerca di impietosirla, essa si irrigidisce augurandogli addirittura, per due volte, una rapida morte (v. 9 e v. 11). La battuta finale, però, riconduce l’atteggiamento della donna alla dimensione del suo minuscolo egoismo. Becchina finirà per perdonare Cecco. E non perché si sia convinta della sua innocenza: questa donna gode, invece, della propria crudeltà; e, per continuare a esercitarla, non può seriamente desiderare la morte, e nemmeno l’allontanamento dell’innamorato sottomesso. Becchina accetta quindi di “tenere” con sé il cuore dell’uomo; ma beffardamente aggiunge che continuerà a farlo con danno di lui.


Commento

Il sonetto è uno dei più significativi per illustrare l’immagine della donna di Cecco, che non a caso si chiama Becchina e che incarna l’immagine opposta a quella della donna angelicata. In particolare è interessante il rapporto con lei. Continue risse, offese reciproche e l’uso di un linguaggio plebeo e grottesco. Il poeta tenta di farle una corte priva di vero sentimento, e lei risponde con insulti e maledizioni. E’ una vicenda sentimentale superficiale e buffonesca, in cui l’unica cosa che interessa al poeta è di ridere e far ridere, sia pure con amarezza.



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