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Storia del nazismo dettagliata


Hitler e il Partito nazista (febbraio 1920)
In un clima arroventato dai disordini sociali e dalla grave situazione economica, si costituì a Monaco, nel gennaio del 1919, il Partito dei lavoratori tedeschi, di estrema destra, al quale nell’autunno dello stesso anno aderì un imbianchino ed ex caporale di origine austriaca, Adolf Hitler (1889-1945). Grazie alla sua intraprendenza e alle sue capacità oratorie, nel febbraio del 1920 Hitler dette vita a un nuovo movimento politico denominato nazionalsocialista e contraddistinto dal simbolo delle camicie brune e dal segno della croce uncinata o svastica sul braccio. Nell’agosto dello stesso anno il movimento si trasformò in Partito nazionalsocialista dei lavoratori, più comunemente noto nella sua forma abbreviata di Partito nazista.

Il fallito putsh di Monaco (1923)
I suoi iscritti mantennero i simboli del precedente movimento e si distinsero ben presto, seguendo l’esempio dello squadrismo fascista, per i loro metodi terroristici e per l’uso sistematico della violenza contro i militanti della sinistra, in particolare contro gli spartachisti con l’obiettivo di creare in Germania un regime autoritario e anticomunista. A tale scopo Hitler creò, insieme all’ex ufficiale dell’esercito Ernst Rohm, una struttura paramilitare particolarmente feroce, le cosiddette SA, alla testa delle quali Hitler tentò nel 1923 un colpo di Stato contro il governo bavarese. Il putsh di Monaco però fallì miseramente e Hitler fu arrestato e condannato a cinque anni di carcere; durante la prigionia egli decise di cambiare strategia prefiggendosi come obbiettivo futuro la conquista legale del potere.

La stabilizzazione dell’Economia tedesca
Nel frattempo la situazione della Germania stava lentamente migliorando, grazie all’apertura nel 1922 di relazioni diplomatiche e commerciali con l’Unione Sovietica e soprattutto all’intervento diretto degli Stati Uniti nell’economia tedesca attraverso il piano Dawes. Tale piano permise la ripresa dei meccanismi produttivi e consentì la diffusione sui mercati di merci tedesche altamente competitive, grazie anche ai bassi costi di produzione e all’inflazione. In tal modo la Germania fu nuovamente in condizioni di pagare le riparazioni di guerra alle potenze vincitrici europee, a loro volta debitrici nei confronti degli Stati Uniti.

La riconciliazione Franco-Tedesca e lo spirito di Locarno
Nello stesso tempo anche la politica internazionale cominciava a volgere in senso positivo, soprattutto per merito degli Stati Uniti, ma anche per un’inversione di tendenza da parte francese determinata dal nuovo ministro degli Esteri Aristide Briand (1862-1932). Nell’ottobre 1925 Francia e Germania, con la garanzia dell’Inghilterra e dell’Italia, firmarono nella città di Locarno un patto in base al quale diventavano definitivi alcuni punti fondamentali stabiliti dal trattato di Versailles. I Tedeschi in particolare riconobbero la cessione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena e s’impegnarono a non modificare con le armi la nuova situazione politica. In questo modo la Germania rassicurò le altre potenze europee sulla propria affidabilità e l’hanno successivo fu ammessa alla Società delle nazioni (1926), segno inconfondibile di un concreta riconciliazione intervenuta tra vincitori e vinti (si parò allora di spirito di Locarno.

Il patto Briand Kellog
Un ulteriore passo verso la distensione dei rapporti internazionali fu fatto nell’agosto 1928, quando venne firmato il patto Briand-Kellog, così detto dai nomi del ministro francese Briand, che vi aveva contribuito in modo determinante, e del segretario di Stato americano Frank Kellog, e sottoscritto dai rappresentanti di ben sessanta Stati, tra i quali l’Inghilterra, la Germania, il Belgio, l’Italia, l’Unione Sovietica e il Giappone. Tale patto rifiutava ufficialmente la guerra come mezzo per risolvere contese fra Stato e Stato e stabiliva l’appoggio incondizionato ai Paesi aggrediti in violazione degli accordi della Società delle Nazioni o del trattato di Locarno. Purtroppo il patto Briand Kellog era destinato a restare un atto di buona volontà, visto che la sua formulazione non prevedeva di imporre le decisioni collettive dei firmatari a chi si fosse rifiutato di riconoscerle.

Il piano Young riduce i risarcimenti tedeschi
La nuova situazione internazionale favorì una sempre più rapida ripresa dell’economia tedesca. Nel 1929 il finanziere americano Owen D. Young (1874-1962), presidente della Commissione internazionale per le riparazioni di guerra, intraprese una nuova iniziativa a favore della Germania, il cosiddetto piano Young, che riduceva notevolmente la portata dei risarcimenti dovuti da Tedeschi, ma soprattutto permetteva loro di scagionarne le rate in sessant'anni; stabiliva inoltre la fine dell'occupazione della Renania da parte delle truppe franco-belghe, prevista dal trattato di Versailles.

Le conseguenze economiche e sociali della crisi del '29 in Germania
Questo nuovo modo di intendere i rapporti fra popoli non doveva però durare a lungo. Nel 1929 la grande depressione seguita al crollo sulla Borsa di Wall Street si abbatté sulla Germania: il ritiro dei capitali stranieri (in larga parte di provenienza americana), il conseguente arresto delle attività industriali, i fallimenti e la disoccupazione colpirono tutti, con conseguenze drammatiche soprattutto per i ceti medio-bassi. Rinacquero così fra le masse quegli impulsi di irrazionalità esasperata, che trovarono nuovo sfogo nella ripresa politica ed economica del nazionalismo più esacerbato.
D'altra parte anche gli ambienti aristocratici e borghesi, trovandosi a dover fronteggiare un nuovo periodo di scioperi e proteste sindacali per i licenziamenti legati alla crisi economica, iniziarono ad abbracciare posizioni di estrema destra.

Appoggio degli industriali e dell'esercito alla politica autoritaria di Hitler
In tale clima infuocato il nazionasocialismo di Adolf Hitler, uscito anzitempo dal carcere dopo aver scontato soltanto un anno della pena prevista per il fallito colpo di Stato del 1923, finì per prevalere sui partiti moderati di Weimar. Hitler riuscì infatti ad assicurarsi l'appoggio della grande industria e dell'alta finanza, dimostratesi ben disposte a fornirgli cospicui mezzi economici nella speranza di veder sorgere un regime autoritario, capace di garantire una maggiore tranquillità e una sicura protezione dei loro interessi, eliminando ogni forma di protesta sociale. Anche l'esercito, strettamente legato alla tradizione del militarismo prussiano, fu favorevole a una svolta autoritaria. D'altra parte Hitler si presentava ai milioni di combattenti delusi come il paladino del prestigio della nazione offeso dagli alleati a Versailles: a essi prometteva d riscattare il Paese dalla sconfitta subita restituendogli l'antica potenza.

Il successo nazista alle elezioni del settembre 1930 e del marzo 1932
Se per tutti gli anni Venti il nazismo aveva ottenuto un modesto seguito, già nel settembre 1930, grazie al crescente consenso e servendosi della violenza per ottenere il silenzio degli oppositori, conseguì un significativo successo elettorale, diventando il secondo partito del Paese con il 18,3% dei voti, anche se tale percentuale non gli garantiva ancora la maggioranza per governare. Due anni dopo, nel marzo 1932, Hitler si presentò addirittura come candidato alle elezioni presidenziali tedesche, ma non ebbe fortuna a causa dello straordinario ascendente goduto dall'avversario e già presidente della repubblica dal 1925, il vecchio maresciallo Paul Ludwing Hindenburg, esponente dei citi militaristi e conservatori e sostenuto anche dai cattolici e dai socialdemocratici, questi ultimi fermamente decisi a scongiurare il pericolo nazista.

Il presidente Hindnrburg affida il cancellierato a Hitler 
Come già era avvenuto per il fascismo italiano, anche le forze della destra tedesca pensavano che fosse facile strumentalizzare il forte ascendente del nazismo sulle masse, per poi riportarlo alla normalità. Dopo il successo ottenuto dal Partito nazista nelle due successive elezioni, tenutesi rispettivamente nel luglio e nel novembre 1932 a causa dell'impossibilità di costruire una solida compagine governativa, il presidente Hindenburg, su cui pesarono le pressioni degli industriali e dagli agrari, prese l'iniziativa di compiere una decisa svolta a destra. Infatti, facendosi forte del risultato delle elezioni, chiamò a formare il nuovo governo lo stesso Hitler, nominandolo cancelliere. Era il 30 gennaio 1933.

L'incendio del Reichstag (27 febbraio 1933)
A neppure un mese di distanza dalla nomina di Hitler a cancelliere, la sera del 27 febbraio, giunse improvvisa la notizia che il Reichstag, sede del Parlamento, era stato incendiato. Subito dopo si sparse la voce che l'incendio fosse frutto di un complotto comunista per impadronirsi del potere. Ebbe inizio così una vera e propria caccia all'uomo, che provocò in poche ore la morte di decine e decine di membri dell'opposizione e la reclusione di altri 4500. Fu proprio in seguito a questa gigantesca macchinazione che i nazisti riuscirono a dare inizio a una politica fondata sul terrore, infliggendo un colpo decisivo alla democrazia grazie a un decreto straordinario emanato il 28 febbraio, in base al quale venivano drasticamente limitate le libertà politiche e civili e posti sotto controllo la stampa e i partiti politici.

Dalle nuove elezioni al partito unico nazista
Così il Paese muoveva a grandi passi verso la dittatura con la passiva accondiscendenza del presidente Hindenburg, che sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni per il 5 marzo 1933, al fine di dare alla Germania un Reichstag meglio rispondente alla svolta storica determinata dall'ascesa del nazismo al potere. Facendo leva sulla maggioranza parlamentare raggiunta, sia pure insieme ai conservatori con le elezioni del 5 marzo, Hitler si affrettò a far votare una legge-delega (23 marzo) apparentemente finalizzata a porre fine ai disagi del popolo e dello Stato, ma nella realtà destinata a concedere per quattro anni i pieni poteri al suo governo, che ne approfittò per instaurare un regime totalitario. In breve furono messi al bando tutti i partiti esistenti (5 luglio), primo fra tutti quello comunista che fu dichiarato fuori legge, e fu vietata la formazione di nuovi movimenti politici (14 luglio), riconoscendo ufficialmente come partito unico quello nazista.

La politica del terrore
Attraverso queste leggi, Hitler, che già dal luglio 1921 aveva assunto il titolo di Fuhrer, cioè di duce, condottiero dei suoi seguaci, ebbe dunque via libera per iniziare la più spietata delle dittature, eliminando con brutalità inaudita qualsiasi forma di opposizione. Fu abolita ogni libertà di associazione e di espressione e furono soppressi, oltre ai partiti, anche i liberi sindacati. Tale regime di terrore fu messo in atto con freddezza e ferocia attraverso la polizia politica o Gestapo, e le SS, squadre armate utilizzate anche come guardia personale di Hitler e guidate da Heinrich Himmler (1900-1945). Fin dal 1933 furono inoltre organizzati dalle SA dei campi di concentramento dove rinchiudere gli avversari e gli oppositori, mentre per casi di tradimento fu creata una Suprema corte popolare. In quest'opera di distruzione della libertà e della democrazia il nuovo cancelliere incontrò la resistenza spesso eroica di minoranze borghesi e proletarie, ma non quella di tutto il popolo, ancora non abituato alla democrazia parlamentare in quanto rimasto troppo a lungo sotto il duro regime del Kaiser Guglielmo II.

L'opposizione interna: La notte dei lunghi coltelli (30 giugno 1934)
Nella sua scalata al potere, Hitler si trovò ad affrontare anche un'opposizione interna al partito, rappresentata da alcune frange delle SA di Ernst Rohm, ostili alle gerarchie militari e all'esercito regolare  e avverse agli stretti rapporti che si erano creati tra nazismo e capitalismo. Il Fuhrer al contrario era sempre più impegnato a guadagnare l'appoggio dell'esercito per assicurarsi la successione a Hindenburg: ecco perché per uscire da tale situazione procedette a una radicale epurazione del partito, accusando Rohm e il suo Stato maggiore di un immaginario complotto contro il governo e ordinandone la soppressione fisica. Ebbe luogo così il 30 giugno 1934 la notte dei lunghi coltelli, durante la quale Rohm e i suoi collaboratori vennero uccisi dalle fedelissime SS mentre dormivano in un albergo.

La nascita del Terzo Reich (1934)
Da allora Hitler non ebbe oppositori di sorta, né ebbe più difficoltà a stringere quell'unione indissolubile con l'esercito, sulla quale da sempre aveva fatto affidamento. Così alla morte di Hindenburg, nell'agosto del 1934, Hitler ottenne il potere assoluto, riunendo illegalmente nelle proprie mani le due cariche supreme dello Stato, quelle cioè da cancelliere supremo e di presidente del Terzo Reich. La Germania venne trasformata da Stato federale in Stato unitario con una serie di leggi emesse fra il 1933 e il 1934, che prevedevano lo scioglimento di Parlamenti, governi e organi giudiziari dei vari Stati tedeschi (Lander), le cui competenze vennero affidate a funzionari di sicura fede nazista.

Il culto della personalità di Hitler e l'azione della propaganda
Il passaggio venne condotto con l'unanime plauso della popolazione, per cui le elezioni divennero da allora una vera e propria farsa. Puramente formali divennero anche le riunioni del Reichstag, ridotto a un'assemblea delegata ad approvare passivamente i decreti governativi o ad ascoltare con grandi ovazioni i discorsi di un capo che aveva sempre ragione e che per ogni buon nazista era considerare un dono di Dio e come tale al di sopra di qualsiasi giudizio e della stessa legge in quanto personificazione di essa (la legge e la volontà del Fuhrer sono tutt'uno!). Ecco perché ben presto il suo nome venne ripetuto in ogni circostanza (Heil Hitler!) come una formula d'obbligo accompagnata dal saluto a braccio teso. A consolidare il regime contribuì notevolmente l'efficace azione di propaganda, affidata a Joseph Goebbels e condotta massicciamente attraverso la stampa, l'editoria e i nuovi mezzi di comunicazione di massa, come la radio e il cinema. La popolazione attiva inoltre fu sottoposta a un rigido inquadramento nelle organizzazioni del Partito nazista, guidato prima di Rudolf Hess e poi da Martin Bormann.

I successi in campo economico
La principale ragione del consenso del popolo tedesco al programma hitleriano deve essere cercata nei buoni risultati ottenuti in campo carismatico fu consacrata infatti dai suoi effettivi successi in politica interna, grazie ai quali egli tra l'altro seppe ricostruire la coscienza dell'identità e dell'orgoglio del popolo tedesco. Hitler era infatti riuscito a risollevare le sorti economiche del Paese mediante una politica fortemente autarchica, i cui punti di forza erano: la presenza imprenditoriale dello Stato nel campo dei lavori pubblici, delle infrastrutture e dell'industria pesante; la concentrazione dei capitali; una rigorosa proibizione dello sciopero; la facile acquisizione sul mercato internazionale di materie prime indispensabili, offerte a condizioni assai convenienti a causa della caduta generale dei prezzi dopo la crisi del 1929. Nello stesso tempo la Germania rinunciava non solo all'importazione delle materie prime non strettamente necessarie o sostituibili con prodotti sintetici, ma anche all'importazione dei prodotti agricoli, mentre il risparmio veniva massicciamente convogliato nell'industrializzazione con risultati eccezionali, che permisero di ridurre il preoccupante fenomeno della disoccupazione, quasi del tutto eliminato già nel 1938.

Razza e ineguaglianza, principi base dell'ideologia nazista
I fondamentali dell'ideologia nazionalsocialista vennero delineati dallo stesso Hitler nella sua opera Mein Kampf (La mia lotta), che egli dettò al suo amico e collaboratore Rudolf Hess durante la prigionia per il fallito putsh di Monaco: pubblicato nel 1925, il testo divenne immediatamente la base del movimento nazista, con il contributo di teorici del partito quali Dietrich Eckart e Alfred Rosemberg. La dottrina politica hitleriana, permeata dall'ambizioso quanto assurdo miraggio di ottenere una palingenesi del mondo con un'efficacia non diversa rispetto a quella avuta dal cristianesimo nell'età antica, era basata su una specie di sentimento mistico, su uno strano miscuglio di aspirazioni nazionalistiche, di principi liberaleggianti e di teorie eugenetiche, che avevano come punto di raccordo due elementi fondamentali: quello della razza, considerata essenza della storia e della società, e quello dell'ineguaglianza, ritenuta legge fondamentale della natura come tale motivo determinante della sottomissione delle masse ai capi e delle razze inferiori a quelle superiori.

La teoria della superiorità della razza ariana
Il nazismo sosteneva infatti la teoria della superiorità assoluta e indiscutibile della cosiddetta razza ariana, alla quale andava attribuito il merito esclusivo del progresso dell'umanità e la cui purezza doveva essere difesa contro ogni pericolo di inquinamento. Dato che secondo Hitler la razza ariana si identificava nella razza germanica, compito principale e fondamentale dello Stato nazista doveva essere quello di dare corso a un intenso processo di purificazione, allo scopo di ricreare un solido gruppo razziale tedesco, destinato a esercitare un incontrastato predominio sulle altre razze impure e inferiori.

L'antisemitismo e le leggi di Norimberga
Più in particolare il razzismo nazista individuò il principale nemico del popolo ebraico, considerato come l'origine di tutti i mali del mondo, compresi quelli della Germania. Secondo Hitler l'ebraismo era una vera e propria malattia, da cui discendevano il liberalismo, la democrazia, il marxismo, tutti pericoli che dovevano essere eliminati. Ne conseguì una politica che mirava a una progressiva e spietata persecuzione degli Ebrei, ritenuti una razza impura, anzi una vera e propria antirazza. In principio vi furono provvedimenti discriminatori tesi a impedire la frequenza scolastica, l'esercizio di libere professioni e di altre particolari attività. La persecuzione divenne poi sistematica con la promulgazione delle leggi di Norimberga (15 settembre 1935): attraverso questi provvedimenti gli Ebrei furono privati della cittadinanza tedesca, fu loro vietato contrarre matrimoni con altri cittadini tedeschi e furono obbligati a esibire sugli abiti la stella gialla di David, in modo da essere ben riconoscibili in pubblico.

La notte dei cristalli (9-10 novembre 1938)
Nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938 come misura di ritorsione in seguito all'uccisione di un funzionario nazista da parte di un ebreo in molte città tedesche vennero devastati negozi appartenenti agli Ebrei, sinagoghe, abitazioni; 36 Ebrei inoltre vennero uccisi e 20.000 arrestati. Poiché furono infrante le vetrine dei negozi e le vetrate delle sinagoghe, quest'azione venne definita notte dei cristalli. Appena due giorni dopo veniva definitivamente stabilita l'esclusione degli Ebrei dal commercio e dalle professioni e la messa fuori delle organizzazioni ebraiche (12 novembre 1938).

Le motivazioni economiche dell'antisemitismo
Il deciso antisemitismo predicato e praticato dal nazismo aveva un fondamento ideologico, anche se in alcuni casi rappresentava piuttosto un pretesto, una copertura delle ragioni sociali ed economiche. Gli Ebrei, infatti, costituivano una comunità molto coesa, dotata di una solida identità e pertanto non integrabile nel progetto totalitario di Hitler. Inoltre occupavano posizioni di rilievo in importanti settori della finanza e potevano quindi ostacolare i piani economici del nazismo.

I condizionamenti della propaganda
Per quanto riguarda aberranti, tali teorie trovarono il consenso di quasi tutto il popolo tedesco e, più tardi, almeno in parte, europeo: il che deve far riflettere sia sulla forza propagandistica dei regimi totalitari, sia sulla propensione umana a individuare un capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni e, in definitiva, a farsi manipolare. Sta di fatto che nel giro di pochi anni la persecuzione antisemita varcò i confini della Germania e nel corso della seconda guerra mondiale culminò nel genocidio di sei milioni di Ebrei, disperati protagonisti e vittime innocenti di una terrificante tragedia.

L'aggressivo espansionismo
Il nazismo ebbe sin dai suoi esordi un carattere decisamente aggressivo anche in politica estera, prima di tutto nei confronti dei Paesi naturalmente tedeschi, come l'Austria e il territorio dei Sudeti in Cecoslovacchia. Non tenendo conto dei trattati internazionali, Hitler riteneva che questi Paesi costituissero uno spazio vitale (Lebensraum) irrinunciabile per la Germania, ma soprattutto considerava l'acquisizione di questi territori come la prima tappa di un processo di espansione che avrebbe portato i Tedeschi ad avere un'unica grande patria germanica (pangermanesimo): era infatti sua ferma convinzione che se una razza dominante necessitava di uno spazio vitale, avesse pienamente il diritto di occuparlo, eliminando o riducendo in schiavitù le razze locali.

L'atteggiamento dell'Europa verso il nazismo
L'europa purtroppo sottovalutò l'avvento del nazismo per diverse ragioni. Da una parte Hitler realizzò il proprio programma con meditata lentezza, anche se con progressione inarrestabile, facendo ricorso alle misure più drastiche solo molto tardi, durante il secondo conflitto mondiale, quando ormai l'attenzione del popolo era concentrata sulle vicende belliche (si pensi all'annientamento degli Ebrei, divenuto totalizzante in tutte le sue manifestazioni più disumane dal 1942 in poi). Inoltre l'avvento di una dittatura non costituiva per l'Europa una novità, visto che analoghi regimi totalitari si erano insediati e consolidati anche in altri Paesi, come in Italia con Mussolini e in Spagna con Primo de Rivera. A ciò bisogna aggiungere che movimenti di indirizzo fascista nacquero ed ebbero seguito anche in alcuni Stati retti da regimi liberali e parlamentari, tra i quali la Francia e la stessa Inghilterra. Infine la grande avversione che da sempre Hitler manifestò verso il comunismo bolscevico gli valse non poche simpatie sia in campo nazionale sia in quello internazionale, ambedue dominati ormai dalla psicosi del pericolo rosso.



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