di Ludovico Ariosto
Spiegazione:
Nel poema aristotelico il magico ha funzione di accentuare l'imprevisto della realtà di imprimere nella vicenda un nuovo e più intenso ritmo avventuroso e fantastico. E' una magia che non ha nulla di cupo, di sovrannaturale o irrazionale, ma è ricondotta alle leggi della natura e della psicologia umana. Il castello di Atlante nel quale i cavalieri si aggirano come smemorati, senza avere gli occhi se non per quel miraggio che costantemente e vanamente inseguono, l'apparire di questo miraggio come immagine vana e sfuggente, in una continua vicenda d'illusione e delusione, la mescolanza indifferenziata di realtà e sogno, nella quale l'incantesimo magico altro non è che quello stesso che noi ci creiamo, nel gioco delle vane passioni. Tutti questi motivi fanno dell'episodio come un emblema del poema intero.
L'uomo qui appare com'è nella vita: schiavo di un mondo di parvenze, nate dal suo stesso animo quando abbandona la strada additata dalla ragione della saggezza. Orlando vede Angelica che invoca il suo aiuto, non quella vera che giunge poi anch'essa al castello, resa sicura dagli incanti del suo anello fatato, e guarda senza essere vista i cavalieri erranti dietro i loro vani desideri, ma il fantasma di lei creato, piuttosto che da Atlante del suo stesso tenero e patetico amore.
Così avviene che gli altri hanno magari vicino ciò che cercano, ma non lo scorgono se non nella proiezione fantastica del loro desiderio. poi d'improvviso il sogno sfuma, si direbbe nella realtà. La vera Angelica appare, i cavalieri combattono per lei presente e viva ma ancora l'anello incantato la fa sparire, visione sospesa eternamente tra reale e irreale. Ritornano dopo la pausa trasognata del castello, il movimento, la vita e l'avventura.
