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Illuminismo Italiano

Nonostante la notevole politica di riforme che si svolse in varie parti d’Italia e che costituì certamente l’avvio a una rinnovata civiltà, non si ebbe uno sviluppo della borghesia comparabile a quello degli altri paesi europei.
Questo fatto rese più incerto e limitato, soprattutto per quel che riguarda la divulgazione e la partecipazione popolare, l’Illuminismo italiano che ebbe tuttavia, sul piano teorico, uno sviluppo degno di nota. A partire dalla seconda metà del ‘700, la cultura e la letteratura italiana furono intimamente rinnovate dalla diffusione di idee illuministiche. I nostri scrittori più importanti sentirono il bisogno di riprendere contatto con la cultura europea, di continuare e approfondire il movimento iniziato timidamente con l’Arcadia; compresero che solo inserendosi nel circolo della nuova storia europea, l’Italia avrebbe potuto risollevarsi e partecipare al progresso della civiltà.
Illuminismo significa da noi, in letteratura soprattutto, reazione al vuoto accademico, al culto retorico di una tradizione un tempo gloriosa ma ormai insterilita, significò ricerca di cose, non più soltanto di parole ornate, di una letteratura più seriamente legata alla realtà. Non ci si deve stupire se, nel fervore polemico, i nuovi scrittori polemizzano aspramente con l’Arcadia, che pure aveva espresso l’esigenza di un rinnovamento.
Combattendo contro di essa, gli illuministi intendevano opporsi alla pastorelleria, a una poesia d’evasione che si risolverà in forma frivole, lontana dal nuovo ideale di una letteratura fondata sul serio impegno spirituale, morale e civile. L’Illuminismo da noi, assunse comunque il tono accesamente polemico e rivoluzionario che ebbe in Francia. Senz'altro meno aspra fu la polemica contro la Chiesa, attaccata solamente sul piano giuridico e politico, dei suoi rapporti, cioè con lo stato e non su quello religioso.
I nostri scrittori collaborarono prevalentemente con i sovrani “illuminati” aderendo ad un programma moderato di riforme riguardanti l’agricoltura, il commercio, le strutture giuridiche e sociali. Anche nel campo puramente letterario le correnti più spinte di pensiero e di sensibilità vennero moderate e conciliate col sentimento religioso e col culto della tradizione classica.
Il classicismo continuò ad operare potenzialmente nella nostra letteratura, anche perché le esigenze da esso affermate di ordine, equilibrio e chiarezza espressiva non discordavano dalla nuova cultura razionalistica.
Nella nostra letteratura illuministica, accanto ad un autentico travaglio di pensiero ci fu anche la moda delle nuove idee, dibattute spesso, per snobismo, nei salotti, nei caffè, sulle gazzette. Giornalisti e poligrafi contribuirono, comunque, anch'essi a costituire una rinnovata atmosfera culturale.
Fra questi ultimi ricordiamo anche il veneziano Francesco Algarotti (1712-1764) dapprima letterario di stretta osservanza arcadica, poi viaggiatore in Francia, Inghilterra, Russia, Germania e infine divulgatore, brillante ma poco profondo di nuove idee. Fra le sue numerosissime scritture di vario argomento (lettere, poemi, saggi, dialoghi) ricordiamo il “Newtonianismo” per le donne, garbata opera di divulgazione scientifica, i “Viaggi di Russia”, descrizione arguta e spregiudicata di costume, “Le lettere scientifiche” ed erudite.
Anche la poesia collaborò alla divulgazione scientifica; numerosissimi furono i poemetti didascalici scritti in gran parte in endecasillabi sciolti, basti ricordare l’Invito e Lesbia Cidonia, nel quale Lorenzo Mascheroni (1750-1800) fingeva di guidare un’aristocratica signora a visitare l’orto botanico e i musei dell’università di Pavia. Spirito acuto e profondo e scrittore vivace fu Ferdinando Galiani (1728-1787) di Chieti, che discusse criticamente l’ideologia illuministica, richiamandosi gli aspetti più importanti del pensiero della nostra tradizione. Vasta risonanza in Europa ebbero due suoi trattati di economia, Della moneta, e i Dialogues sur le commerce des bleds.
Le nuove idee si affermavano soprattutto a Napoli e a Milano dove più decisa fu la politica di riforme seguita dai rispettivi governi. Importanza minore ebbero Torino e Firenze, che pure furono anch'essi centri cospicui di discussioni culturali, mentre Venezia, se pur continuò la sua tradizione liberale nei confronti della diffusione delle idee, non partecipò in modo veramente attivo al movimento. Gli illuministi napoletano ebbero un atteggiamento nobilmente speculativo, un entusiasmo fervido e un po’ utopistico, e tentarono anche con maggiore impegno di collegare le nuove idee alla tradizione italiana del pensiero. Quelli lombardi ebbero atteggiamenti più liberi e spregiudicati nei confronti della nostra tradizione, ma soprattutto uno spirito più concreto, pratico e fattivo e collaborarono attivamente alle esperienze di governo illuminato, cioè alle riforme promosse dagli Austriaci.
Fra gli illuministi napoletani esercitò una sorta di ideale e pratico magistero sugli altri l’abate Antonio Genovesi (1713-1769), autore di opere filosofiche e di tipo economico. Ricordiamo inoltre Gaetano Filangieri, autore della Scienza della legislazione, Mario Pagano (1748-1799), autore fra l’altro, di un’opera in cui è evidente l’influsso wichiano, Del civile corso delle nazioni, Vincenzo Russo Melchiorre Delfico.
Il Pagano e il Russo furono fra gli autori della Repubblica Partenopea del ’79, creata quando le armate della Francia rivoluzionaria scesero in Italia, e morirono da eroi giustiziati dai Borboni. Animatore del gruppo milanese fu Pietro Verri, fondatore della Società dei Bisogni (1761), un’accademia dove si commentavano e discutevano e opere degli illuministi inglesi e francesi e de Giornale “Il Caffè” (1764-1766) che affrontava argomenti letterari, economici, scientifici, con spirito polemico e spregiudicato.
Attorno a questo grande giornale gravitano i maggiori Illuministi lombardi, Alessandro Verri, Cesare Beccaria, autore del famoso volumetto “Dei delitti e delle pene”, Giuseppe Colpani, l’istriano Gian Rinaldo Carli.



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