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Il Principe e il pensiero politico del Machiavelli


Un'idea nuova della politica
Il Machiavelli afferma di voler andare dietro, nella sua meditazione, alla realtà effettuale ossia di voler partire dall'osservazione realistica e spregiudicata dei rapporti politici concreti, non da concezioni morali e religiose, come avevano fatto i trattatisti precedenti, soprattutto medioevali. Con ciò egli impianta un ragionamento induttivo e cioè scientifico in senso moderno, che rifiuta di fondarsi sul metodo induttivo, di partire cioè da principi intellettuali o fideistici sui quali ordinare, giustificare, la realtà contingente, valida in quanto riducibile a quei principi. Egli si affida alla lezione delle cose, osservate nel loro concreto accadere, da cui si sforza di ricavare leggi universali e costanti concretamente sperimentali. Così ad esempio mentre i teorici medioevali sostenevano l'origine divina del potere politico il Machiavelli guardando alla storia coeva, lo vede nascere dall'egoismo individuale e trovare la propria giustificazione nel successo. Nasce in tal modo una scienza politica autonoma, che ricerca, cioè in sé stessa, non nella morale o nella religione, i propri principi, le proprie finalità, le proprie giustificazioni; una scienza che riguarda l'agire pratico dell'uomo nella comunità, la ricerca di ordinamenti congruenti nella vita associata. Tale scienza tuttavia non può non presuppone l'idea generale dell'uomo e del significato della sua vita, che il Machiavelli assume nella loro dimensione puramente terrena, in armonia con la concezione che ispira la civiltà rinascimentale.
Egli ha una concezione naturalistica dell'uomo; nel senso che la vede come entità naturale che non muta per variar di tempi e situazioni, soggetto, dunque alle leggi inderogabili della natura, capaci di razionalità e di vigore costruttivo, ma più spesso preda di passioni, egoismo, inettitudine e viltà che tenderebbero a sovvertire ogni possibilità di convivenza civile. Di qui la necessità di un'azione energica e spregiudicata, da parte di individui eccezionali che stabiliscono nella società un ordine contro il caos delle contrastanti passioni e degli egoismi individuali, vincendone la sfrenata e disordinata violenza con un'ordinata struttura statale.

La storia, dunque, si svolge all'insegna del rischio e della violenza, d'un continuo sorgere di Stati; la politica diviene il complesso di norme, la tecnica che consente di dominare la realtà, che assorbe, nel contempo, in sé la moralità, in quanto appare come una norma necessaria di comportamento, se si vuole assicurare nello stato, la pace o la convivenza o in una parola, la civiltà.
Il Machiavelli prescinde da ogni concezione provvidenzialistica e tende a vedere la storia come costruzione integralmente umana, ma all'azione dell'uomo vede contrapporsi quella della fortuna, una volontà inesplicabile.
La presenta ora come un destino irrazionale e insolubile, come il complesso delle circostanze, la situazione storica in cui l'uomo si trova ad agire. In genere, essa costituisce un ostacolo al libero svolgersi dell'azione individuale, è l'imponderabile, che coincide col limite stesso della natura dell'individuo, incapace di mutare di adire alle situazioni sempre nuove, al cangiante succedersi degli eventi. Con questa presenza misteriosa che minaccia di distruggere la stessa libertà, la possibilità di azione autonoma e costruttiva, il Machiavelli, pur consapevole delle gravità del problema e incapace di risolvere filosoficamente, riafferma agonisticamente la sua fede nella capacità costruttiva dell'uomo. Alla fortuna l'individuo oppone la virtù, che è intelligenza e capacità d'azione energetica, risoluta, intesa a conferire alla realtà un'impronta razionale, umana.
La virtù si manifesta nei rapporti della vita collettiva, nella politica, che è l'azione umana per eccellenza, alla quale va subordinato ogni altro interesse della religione alla morale, al vantaggio immediato del singolo. L'interesse supremo è per il Machiavelli, la difesa dell'ordine e della sopravvivenza dello stato, che coincide con la patria, con la civiltà d'un popolo. Anche in quest'ultima concezione si ritrova, il limite individualistico della teoria machiavelliana. Lo stato, appare come una creazione d'un individuo eccezionale: "d'un principe" capace di ordinare una massa informe di farne un popolo con un ordinamento civile e statale. La sua teoria dello stato presuppone tali eroi fondatori, necessari a stabilire un principio di vita associata, mediante l'uso di una volontà superiore a quella degli egoismi individuali. Solo in secondo tempo può subentrare un principe legislatore e lo stato incamminarsi verso una costituzione repubblicana, cui va la maggior simpatia dell'autore. Ma anche la repubblica vagheggiata dal Machiavelli ha pur sempre un carattere aristocratico, è fondata su leggi imposte dai prudenti, cioè da un ristretto numero di uomini intelligenti e virtuosi. Siamo ben lontani dai concetti moderni di nazione e di democrazia, senza contare che, secondo quello che è forse la formulazione più naturale del pensiero del Nostro, affidata ai discorsi, c'è una sorta di duello naturale nella vita d'ogni stato, per cui esso passa dal momento violento della fondazione, al 1° imporsi della legge, a un progredire verso una forma repubblicana di più ampia partecipazione dei cittadini al governo; ma per degenerare poi nella demagogia, nella licenza, e di qui nell'anarchia, che rende necessaria una rifondazione dello stato, e così via. In tal modo il Machiavelli esprime un'immagine conflittuale dell'uomo nella storia, dove alla volontà razionalmente motivata si oppongono sempre.
La resistenza sorda degli egoismi e delle passioni, col loro peso insopprimibile di irrazionalità e di disordine, in un continuo scontro drammatico con gli altri e con le cose (la fortuna) in un rischio totale che caratterizza la posizione dell'uomo in una vicenda terrena non più illimitata o redenta dalla luce d'una superiore provvidenzialità.

Il principe e il problema morale
Nel complesso dei rapporti politici il Machiavelli ha scoperto e messo in luce, con analisi acuta e spregiudicata, soprattutto il momento della forza, dello stato come potenza secondo ciò che gli suggeriva la storia del suo tempo, nel quale, in Europa, si stavano formando le grandi monarchie assolute che in sé accentravano ogni potere politico. Anche nelle variazioni tra i vari stati la forza e non il diritto, dominava sovrana. La realtà effettuale mostrava al Machiavelli che anche la violenza e il male potevano essere necessità, e che l’uomo politico doveva in certi casi, usarli risolutamente, ed egli con la logica, coerente e spregiudicata, ne teorizza nel Principe l’impiego, li accetta come mezzi per il consolidamento e la difesa dello stato.
Il Principe è stato visto come un libro perverso e il suo autore è stato accusato di cinismo, iniquità e immoralità. Erroneamente si è sintetizzato il suo pensiero nella massima “il fine giustifica i mezzi”, che costituirebbe la giustificazione e l’esaltazione di ogni violenza dittatoriale. La verità è ben diversa in primo luogo, il male non è visto dal Machiavelli come caratteristica immutabile e fatale della natura umana, ma come conseguenza della posizione estremamente rischiosa dell’uomo nella storia, continuamente in lotta contro le forze che insidiano la sua sopravvivenza della violenza degli altri alla fortuna cieca ed ostile.
In secondo luogo la violenza e il male non devono essere nell'uomo politico, sfogo di basse passioni, ma una dura dolorosa necessità che egli assume per la difesa di quello stato che è, indispensabile per un’umana, e civile convivenza. Comunque il Machiavelli, si rassegna al male con intima, drammatica sofferenza, secondo il Croce, la nostalgia dell’autore per un mondo di uomini nobili e puri. Si tenga presente che il libro nasce in uno dei momenti più tragici della storia dell’Italia, quando questa era corsa e straziata da eserciti stranieri, preda della loro cupidigia. Quelle massime gelide e desolate sono state dedotte dalla realtà di violenza, di tradimenti, di sangue che il Machiavelli vedeva intorno in un momento in cui tutta una civiltà e i suoi ideali più alti apparivano in una crisi spaventosa e le sole realtà inoppugnabili erano la guerra e il diritto del più forte. Con l’animo straziato dalla rovina della patria, egli sente il bisogno di fissare gli occhi nella realtà qual è, spogliandola d’ogni parvenza illusoria, per incitare a compiere un’azione estrema che salvi Firenze e l’Italia dalla presente desolazione.

Il Principe e l’Italia
Nell'esortazione a non lasciarsi abbattere dalla sventura ma ad agire per liberare l’Italia dai barbari stanno il significato profondo e la ragione del principe, esame critico e sofferto dalla recente storia italiana e al tempo stesso, generoso incitamento alla riscossa. Il Machiavelli comprende che la politica particolaristica perseguita nel ‘400 ha reso l’Italia debole, disunita e preda delle forti monarchia di Francia e Spagna. L’unico rimedio è quello di fondare anche in Italia un forte stato unitario, capace di opporsi alla violenza straniera. Egli intende incitare un individuo forte e risoluto a compiere questo miracolo, come fecero al loro tempo i grandi fondatori e organizzatori dei popoli (Mosè, Ciro, Romolo) che stabilirono uno stato e una patria dove prima era un volgo disperso e senza nome.
E’ chiaramente consapevole dell’estrema difficoltà dell’impresa, e la propone come un’azione straordinaria, una sfida lanciata alla fortuna in un momento in cui ogni possibilità di agire è ormai ridotta al minimo come una speranza che nasce in margine alla disperazione. Era però una soluzione chiaramente utopistica. Mancavano infatti tutti i fondamenti necessari per la costituzione di un forte stato italiano unitario: soprattutto la coesione, la coscienza diffusa, di un interesse comune e della dignità nazionale, il sentimento vivo: almeno nelle classi dirigenti, dell’utilità e dell’indipendenza dello straniero. Senza questi presupposti l’azione di un individuo per quanto capace ed energetico, non poteva essere se non effimera. Tuttavia, l’utopia del Principe, sorta nel momento del crollo dell’indipendenza italiana, resterà nei secoli del selvaggio come una voce di speranza che si prolungherà fino alle soglie del Risorgimento.

Lo stile del Machiavelli
Il Machiavelli non è soltanto teorico originale e profondo ma anche un grande scrittore. Lo vediamo soprattutto nel Principe, proprio perché è un’opera di passione e fantasia, nata dall'angoscia e da un’eroica speranza e non mira soltanto ad una dimostrazione logica distaccata ma anche e soprattutto a persuadere all'azione magnanima. Senza contare che l’entusiasmo per la scoperta di una nuova scienza conferisce a tutto il trattato un carattere di affermazione polemica. Un dialogo sembra il Principe, con gli uomini e la fortuna, pervaso dall'ansia e dall'ardore drammatico dell’azione. Il periodare rapido e conciso esprime la tensione lucida e implacabile consequenziaria di un ragionamento che vuol penetrare con decisione e coraggio totale nella realtà. Il linguaggio energetico e colorito sa’ fondere come il pensiero, l’adesione piena alla realtà effettuale con l’esempio degli antichi è insieme classico e popolaresco e non rifugge dai modi del parlato, dalle sue espressioni vivaci e immaginose. Il discorso procede spesso per antitesi con una conseguente tensione che sembra esprimere quella continua lotta fra virtù e fortuna, quel sentimento drammatico della scelta e dell’azione umana, che è caratteristica fondamentale della concezione Machiavelliana della politica e della vita.



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