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Relazione di Italiano sul Cinquecento

L’Italia si trova in una situazione di disgregazione politico-militare, diventa terra di scontri e di conquiste per le grandi nazioni europee: la Francia e la Spagna che proprio in questo periodo raggiungono la loro massima espansione, sul piano dell’organizzazione statale e della forza militare.
Se crea così una profonda frattura fra il prestigio culturale raggiunto dalla civiltà delle corti italiane nel primo ‘500 e la debolezza delle loro strutture socio-politiche. La difficoltà delle maggiori signorie italiane, sempre più stretti in un gioco arduo e rischioso di alleanze, si accompagna la crisi degli stati minori.
La civiltà di corte affermatasi nel secolo precedente, continua a vivere un’esistenza fastosa, proteggendo gli scrittori e circondandosi di splendide testimonianze artistiche; ma le corti, come organismi politici, risultano sempre più indebolite prive di un potere effettivo. In questo ambito si colloca anche la debolezza militare degli stati italiani, che mancano di eserciti propri e sono quindi costretti a servirsi di milizie straniere.
Le grandi spese che i cittadini più facoltosi si sostengono sono una delle condizioni necessarie per mantenere gli sfarzosi costumi di vita delle corti, esse permettono ai signori di proteggere gli intellettuali, alimentando l’intensa fioritura delle lettere e delle arti che caratterizza la cultura italiana del primo ‘500. Ad aggravare questa decadenza politico-militare, contribuisce notevolmente la portata delle scoperte geografiche che comportano lo spostamento dell’asse economico dal Mediterraneo all'Atlantico, e le conseguenze che ne derivano finiscono per indebolire ulteriormente l’economia italiana, allontanando gli stati marinari (Venezia e Firenze) dalle nuove rotte del commercio internazionale. L’Italia dunque si trova in uno stato di inferiorità politico-militare, ma sul piano culturale e artistico avrà la forza di egemonizzare l’Europa, ciò non sarebbe stato possibile senza l’influsso petrarchesco.
Nella letteratura la fase in atto si caratterizza per un’innovazione sul piano linguistico in quanto ci sono ancora aspetti del latino che si contrappongono al volgare. La scelta del latino come strumento delle comunicazioni letterarie aveva consentito di esprimere una esigenza di universalità e di unità culturale. Il ritorno al volgare aveva comunque fatto tesoro di questa esperienza maturando la convinzione che l’uso letterario di una lingua italiana era legittimo solo in quanto se ne fosse riconosciuto l’alto grado di elaborazione formale e l’eccellenza della tradizione cui si ispirava in una parola la pari dignità nei confronti del latino. Questa concezione viene ereditata dalla cultura cinquecentesca, almeno nella sua linea dominante. Essa è all'origine del classicismo rinascimentale e dei canoni eleganza, armonia e equilibrio; misura ordine, proporzione; che ne contraddistinguono la formulazione. Ma una poetica del classicismo è possibile solo se si ispira a dei modelli ideali e universalmente riconosciuti quali erano stati per latinità Cicerone e Virgilio.
Un’operazione analoga era necessaria compiere per la letteratura italiana, proprio per poter legittimare la nozione stessa di classico, e il canone dell’imitazione che ne doveva derivare. Se ne fa promotore Pietro Bembo, che nelle Prose della volgar lingua, propone alle imitazioni degli scrittori il nome di Petrarca e Boccaccio, considerati come i modelli di stile per eccellenza e maestri di letteratura più vicini agli ideali della sensibilità e del gusto contemporaneo.
In questo contesto nascono dei generi letterari che venivano riproposti nei secoli successivi. Il regolismo coinvolge e comporta l’adesione da parte degli intellettuali; questa sorta di formalismo esplode negli anni della controriforma cattolica. Se non c’è l’arte e dunque non c’è ispirazione c’è solo la tecnica, si forma così la regola delle imitazioni, si crea una concezione di classicismo, fatta di esteticità che nasce dalla consapevolezza che l’arte classica ha raggiunto la perfezione formale e ai poeti non resta che rifarsi a queste descrizioni. Per i classici la loro attività diventa mimesi dell’arte classica, ovvero mimesi della mimesi, tenendo conto che i classici imitavano la natura.
Il classicismo è la consapevolezza che un insieme tra forma e sostanza, può essere perenne o superficiale. Il classicismo perenne è la consapevolezza che il classicismo ha raggiunto il massimo della perfezione, c’è un adesione ad un pathos che l’arte classica riesce a suscitare nell'animo dell’artista, dunque questo è un mondo capace di suscitare vita. Il classicismo superficiale (o romanticismo classico) o senza vita, in essa la funzione dell’arte è quella di interpretazione del mondo per ritrovarvi miti e valori che sono scomparsi ma comunque vivono nell'uomo, dunque attraverso il mondo classico si cerca di ritrovare se stessi.
Essa viene considerata come una misura di civiltà, entro la quale si elaborano i contenuti e i valori della letteratura e dell’arte. Il perfetto uomo di corte, come sintesi delle più alte qualità sociali e intellettuali è il cortigiano cortese e cortigiano, sono due termini che non devono essere confusi. Il termine “cortese” sottolinea un sistema di rapporti ideali e trasfigurati, il termine “cortigiano” indica anche uno status, una condizione sociale, che riguarda il ruolo dell’intellettuale, inserito organicamente nell’ambito della corte, con precisi compiti e funzioni. Vediamo dunque che nemmeno all’interno delle signorie c’è unità, perché nonostante ci sia il signore, la società all’interno della signoria risulta divisa in vassalli, valvassori e valvassini.



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