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Tesina su I Trattati di Pace al termine della Prima Guerra Mondiale

Un compito di eccezionale difficoltà era quello che attendeva gli statisti impegnati nella conferenza della pace, i cui lavori si aprirono il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles presso Parigi e si protrassero per oltre un anno e mezzo. Si doveva ridisegnare la carta politica del vecchio continente, ora sconvolta dal crollo contemporaneo di ben quattro imperi (tedesco, austro-ungarico, russo e turco). Si doveva tenere conto di quei principi di democrazia e di giustizia internazionale a cui i governi dell’Intesa si erano esplicitatamente richiamati nell'ultima fase del conflitto. Questi problemi si manifestarono fin dalle prime discussioni fra i capi del governo delle principali potenze vincitrici: l’americano Wilson, il francese Clemenceau, l’inglese Lloyd George e l’italiano Orlando. Il contrasto fra l’ideale di una pace democratica e l’obiettivo di una pace punitiva risultò evidente soprattutto quando furono discusse le condizioni da imporre alla Germania. Il trattato, che fu firmato a Versailles il 28 giugno 1919 fu una vera e propria imposizione (un Diktat). Il trattato imponeva alla Germania, oltre alla restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, di concedere per quindici anni lo sfruttamento del bacino minerario della Saar, di evacuare il Belgio, di cedere alla costituenda repubblica polacca le terre abitate da popolazioni polacche o da popolazioni miste tedesche-polacche e di rinunciare a tutto il suo impero coloniale.
Furono restituite alla Polonia alcune regioni orientali abitate solo in parte da tedeschi: l’alta Slesia, la Posnania più una striscia della Pomerania (il cosiddetto corridoio polacco) che interrompeva la continuità territoriale fra Prussia occidentale e Prussia orientale per consentire alla Polonia di affacciarsi sul Baltico e di accedere al porto di Danzica.
Questa città, abitata in prevalenza da tedeschi, veniva anch'essa tolta alla Germania e trasformata in città libera. La fiermama perse anche le sue colonie, spartite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone.
Ma la parte più pesante del Diktat era costituita dalle clausole economiche e militari. Indicata nel tempo stesso del trattato come responsabile della guerra, la Germania dovette impegnarsi a rifondere ai vincitori, a titolo di riparazione, i danni subiti in conseguenza del conflitto (l’entità delle riparazioni sarebbe stata fissata solo in seguito). Fu inoltre costretta ad abolire il servizio di leva, a rinunciare alla marina da guerra, a ridurre la consistenza del proprio esercito entro il limite di 100.000 uomini e a lasciare smilitarizzata priva cioè di reparti armati e di fortificazioni, l’intera valle del Reno che sarebbe stata presidiata per quindici anni da truppe inglesi, francesi e belghe. Erano condizioni umilianti, inoltre le fu imposto un debito pari a 132 miliardi di marchi d’oro, queste condizioni ferirono profondamente la Germania nel suo orgoglio nazionale.
Questo era l’unico mezzo per impedire alla Germania sempre lo Stato più popoloso, più industrializzato e potenzialmente più continentale, di riprendere la posizione di grande potenza.
L’Austria fu ridotta ad una piccola repubblica e dalle sue rovine nacquero tre nuovi stati: Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia.
Il nuovo assetto balcanico fu completato dall'ingrandimento della Romania e dal forte ridimensionamento dell’impero ottomano che si trasformò in Stato nazionale turco.
Quanto alla Russia, gli Stati vincitori non solo non riconobbero la Repubblica socialista, ma cercarono in ogni modo di abbatterla aiutando i gruppi controrivoluzionari. Furono invece riconosciute e protette, proprio in funzione antisovietica, le nuove repubbliche indipendenti che si erano formate nei territori baltici persi dalla Russia: la Finlandia, Estonia e la Lituania.
L’Europa uscita dalla conferenza di Parigi contava dunque ben otto nuovi Stati sorti dalle rovine dei vecchi imperi. A essi sarebbe aggiunto, nel 1921, lo stato libero d’Irlanda, cui la Gran Bretagna si risolse infine a concedere un regime di semi-indipendenza, anche se con l’esclusione del Nord protestante (Ulster). Il problema che a questo punto si poneva ai vincitori era quello di garantire la sopravvivenza del nuovo assetto territoriale, reso delicato dalla proliferazione degli Stati indipendenti e dalla scomparsa di alcuni fra i pilastri del vecchio equilibrio prebellico. Ad assicurare il rispetto dei trattati e la salvaguardia della pace avrebbe dovuto provvedere la Società delle nazioni, la cui istituzione, già proposte nei quattordici punti di Wilson, fu ufficialmente accettata, sotto la pressione degli Stati Uniti, da tutti i partecipanti alla conferenza di Versailles. Il nuovo organismo sopranazionale (Privo di un’efficiente struttura decisionale e di un reale potere di dissuasione) prevedeva nel suo statuto la rinuncia da parte degli Stati membri alla guerra come strumento di soluzione dei contrasti, il ricorso all'arbitrato  l’adozione di sanzioni economiche nei confronti degli Stati aggressori; ma nasceva minato in partenza da profonde contraddizioni, più grave di tutte l’esclusione iniziale dei Paesi sconfitti della Russia.
Il colpo più duro la Società delle nazioni lo ricevette proprio dagli Stati Uniti, cioè dal paese che avrebbe dovuto costituirne il principale pilastro. Il Senato degli usa respinse infatti, nel marzo 1920, l’adesione al nuovo organismo. La Società delle nazioni, finì così, con l’essere egemonizzata da Gran Bretagna e Francia e non fu in grado di prevenire nessuna delle crisi internazionali che costellarono gli anni fra le due guerre mondiali.



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