Autore: Giovanni Testori (1923-93), scrittore italiano.
Opera: Il dio di Roserio (1954), racconto lungo.
Commento
Il milanese Giovanni Testori, critico d'arte, romanziere e drammaturgo di grande originalità, non seguì mai le corse da inviato di un giornale: dunque non ebbe la necessità di fornire ai lettori un resoconto, più o meno fedele, della gara. Anche per questo, nel suo racconto lungo Il dio di Roserio, Testori sviluppa un'inedita modalità di rappresentazione della corsa ciclistica, cercando di rappresentare proprio attraverso la corsa un uomo e la sua interiorità. Come scrive Elio Vittorini nel risvolto di copertina dell'edizione einaudiana del 1957, il dio di Roserio è un corridore ciclistico, dio a giudizio delle siepi di folla che glielo gridano. Il romanzo racconta com'egli si senta, appunto, un dio, e come freghi da dio, mandandolo a finir male, un gregario che si dimenticava di essere un gregario, e come poi si mangi, sempre da dio, il rimorso d'averlo fregato.
Ma soprattutto ci racconta, nel particolare aspetto delle corse ciclistiche e dei loro ambienti, che grande carica di vitalità animale abbiano ancora gli uomini.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1954 e appartiene agli esordi di Testori, maturati nel segno del neorealismo.
Analisi del testo di una parte principale della sua opera
Cadono tutte le esigenze oggettive della cronaca ciclistica. Il romanzo di Testori è un'opera d'invenzione: un romanzo psicologico, il cui unico protagonista è il dio di Roserio. Il protagonista è corridore semiprofessionista che, sudando nelle corse di provincia, trova un compenso psicologico alle frustrazioni economiche e sentimentali che deve subire nel suo povero ambiente nativo.
Il protagonista pedala e intanto pensa, per così dire, a voce alta, secondo la tipica modalità letteraria chiamata monologo interiore. La descrizione della corsa si sviluppa così dall'interno del gesto sportivo stesso: lo scrittore si sforza di assumere esattamente il punto di vista del suo personaggio, curvo sul manubrio mentre è lanciato sulla strada. La pagina cresce assecondando le occhiate rapide del ciclista, le sue percezioni olfattive, le sue impressioni e riflessioni.
La capacità mimetica della scrittura di Testori, la sua capacità di accelerare e rallentare il ritmo a seconda delle esigenze della pedalata e della strada, risalta soprattutto nell'ultimo capoverso, dedicato a un momento di spericolata discesa. Il lettore è chiamato ad assumere il punto di vista del ciclista reclinato, deformato dalla velocità, con le torri che si schiacciano nell'acqua e bruciano nella visione rapidissima.
Opera: Il dio di Roserio (1954), racconto lungo.
Commento
Il milanese Giovanni Testori, critico d'arte, romanziere e drammaturgo di grande originalità, non seguì mai le corse da inviato di un giornale: dunque non ebbe la necessità di fornire ai lettori un resoconto, più o meno fedele, della gara. Anche per questo, nel suo racconto lungo Il dio di Roserio, Testori sviluppa un'inedita modalità di rappresentazione della corsa ciclistica, cercando di rappresentare proprio attraverso la corsa un uomo e la sua interiorità. Come scrive Elio Vittorini nel risvolto di copertina dell'edizione einaudiana del 1957, il dio di Roserio è un corridore ciclistico, dio a giudizio delle siepi di folla che glielo gridano. Il romanzo racconta com'egli si senta, appunto, un dio, e come freghi da dio, mandandolo a finir male, un gregario che si dimenticava di essere un gregario, e come poi si mangi, sempre da dio, il rimorso d'averlo fregato.
Ma soprattutto ci racconta, nel particolare aspetto delle corse ciclistiche e dei loro ambienti, che grande carica di vitalità animale abbiano ancora gli uomini.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1954 e appartiene agli esordi di Testori, maturati nel segno del neorealismo.
Analisi del testo di una parte principale della sua opera
Cadono tutte le esigenze oggettive della cronaca ciclistica. Il romanzo di Testori è un'opera d'invenzione: un romanzo psicologico, il cui unico protagonista è il dio di Roserio. Il protagonista è corridore semiprofessionista che, sudando nelle corse di provincia, trova un compenso psicologico alle frustrazioni economiche e sentimentali che deve subire nel suo povero ambiente nativo.
Il protagonista pedala e intanto pensa, per così dire, a voce alta, secondo la tipica modalità letteraria chiamata monologo interiore. La descrizione della corsa si sviluppa così dall'interno del gesto sportivo stesso: lo scrittore si sforza di assumere esattamente il punto di vista del suo personaggio, curvo sul manubrio mentre è lanciato sulla strada. La pagina cresce assecondando le occhiate rapide del ciclista, le sue percezioni olfattive, le sue impressioni e riflessioni.
La capacità mimetica della scrittura di Testori, la sua capacità di accelerare e rallentare il ritmo a seconda delle esigenze della pedalata e della strada, risalta soprattutto nell'ultimo capoverso, dedicato a un momento di spericolata discesa. Il lettore è chiamato ad assumere il punto di vista del ciclista reclinato, deformato dalla velocità, con le torri che si schiacciano nell'acqua e bruciano nella visione rapidissima.