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Tema su Gabriele D'Annunzio

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Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863, terzo di cinque figli, da famiglia borghese; il padre aveva affiancato e poi sostituito al proprio cognome, Rapagnetta, quello del ricco zio Antonio D’Annunzio, dal quale era stato adottato e dal quale aveva ereditato beni sufficienti per vivere di rendita. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, dove si distingue sia per la precocità dell’ingegno sia per l’acceso individualismo e l’insofferenza per la vita del collegio.
A sedici anni (1879) pubblica i suoi primi versi, raccolti in Primo vere; il libro piace ai critici, e fin da qual momento D’Annunzio dichiara di desiderare un vivere inimitabile e di volersi fare un nome grande.
Nel 1881 si trasferisce a Roma, dove frequenta solo sporadicamente la facoltà di Lettere e preferisce invece prendere parte alla vita mondana della capitale, raccontata nelle brillanti cronache scritte per La Tribuna, il Capitan Fracassa, la Cronaca Bizantina. Nel 1882 pubblica i versi di Canto novo e i racconti di Terra vergine, due opere dai contenuti fortemente sensuali.
Nel 1883 sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese, con la quale avrò tre figli. Allaccia però al lusso sfrenato, espressione di un’esistenza che vuole diversa da quella dei comuni borghesi.
Nella villa dell’amico pittore Francesco Michetti, a Francavilla, scrive il romanzo Il piacere (1889), che inaugura in Italia il Decadentismo.
Pressato dai creditori si trasferisce, dal 1891, a Napoli, dove intreccia una relazione con la principessa siciliana Maria Gravina Anguissola, da cui nasce la figlia Renata.
Nei versi di Isottèo-La Chimera, del 1890, D’Annunzio offre un’interpretazione in chiave erotica e sensuale della poesia dei decadenti francesi, mentre nel 1892-93 si accosta al pensiero di Nietzshe.
Sempre nel 1894 inizia l’amicizia con la grande attrice Eleonora Duse, che si concluderà nel 1904-05. L’anno successivo pubblica a puntate, sull’elegante rivista Il Convito, il romanzo Le vertigini delle rocce, ispirato al mito nietzschiano del superuomo. Nell’estate del 1895 compie un viaggio in Grecia, alle fonti della classicità, da lui però rivissuta in chiave decadente, come culla di sfrenato vitalismo.
Nel 1897 D’Annunzio viene eletto deputato per l’estrema destra nel collegio di Ortona presso Pescara, con lo slogan di deputato della Bellezza.
Nel 1898 si trasferisce a Settingnano (Firenze), nella villa ribattezzata La Cappoccina, vicino alla Duse. Così scriverà, rievocando quegli anni: Io ritrovava senza sforzo i consumi e i gusti d’un signore del Rinascimento, fra cani, cavalli e belli arredi. Sempre nel 1898 va in scena a Parigi, interpretata da Sarah Bernhardt, la tragedia La città morta, prima di una serie di opere teatrali con cui D’Annunzio sogna di riportare in vita l’antico teatro greco.
E’ un periodo di febbrile attività letteraria: collabora con il Marzocco, la rivista dell’estetismo fiorentino, e scrive altre opere teatrali; nel 1900 termina il romanzo Il fuoco e comincia le Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi in versi, di cui fa parte la raccolta Alcyone. Il dannunzianesimo (cioè l’imitazione di D’Annunzio nel modo di scrivere e di vivere) diviene una moda culturale.
Nel 1900 passa con disinvoltura ai banchi parlamentari dell’estrema sinistra, proclamando: Vado verso la vita; nelle elezioni di quell’anno non è più rieletto nelle liste socialiste.
Le grandi spese imposte dal suo bisogno del superfluo e i debiti causano il sequestro della Cappoccina (1909). D’Annunzio si ritira allora in volontario esilio in Francia (1910-15): prima a Parigi poi va a risiedere ad Arcachon, sull’Atlantico. Da qui invia al Corriere della Sera diretto da Luigi Albertini le prose d’arte intitolate Le faville del maglio, che inauguravano la produzione autobiografica e di memoria: rispetto ai romanzi decadenti, è un D’Annunzio nuovo e più intimo.
Gli Studenti dell’Università di Bologna lo sollecitano a succedere a Pascoli (scomparso nel 1912) sulla cattedra di Letteratura italiana, ma lui declina l’invito: Vi ringrazio […] ma io amo assai più le aperte spiagge che le chiuse scuole dalle quali vi auguro di liberarvi.
Scoppiata la guerra di Libia, escono sul Corriere della Sera (1911-12) le Canzoni delle gesta d’oltremare, che lo consacrano a nuovo vate dell’Italia in armi.
Nel maggio 1915, su invito del governo italiano, torna in Italia, anche perché la situazione dei suoi debiti in Francia si è fatta insostenibile. Pronuncia discorsi esaltati a favore della partecipazione italiana alla guerra, a fianco della Francia che è già scesa in campo contro la Germania.
Nonostante l’età, nello stesso 1915 si arruola come volontario e prende parte ai combattimenti, compiendo imprese coraggiose, che hanno sempre anche il valore del bel gesto, in cui cioè si legano indissolubilmente eroismo ed estetismo. Si batte come fante, aviere, marinaio, meritandosi una medaglia d’oro e cinque d’argento. Durante i tre mesi di convalescenza per la perdita di un occhio in un incidente di volo, riesce a scrivere sui castighi (liste di carta), preparatigli dalla figlia Sirenetta (Renata), i frammenti del Notturno, un’opera con cui rinnova profondamente il proprio linguaggio. Rimessosi in salute, partecipa alla battaglia dell’Isonzo (1916), vola su Cattaro e nel febbraio del 1918 con i Mais (motosiluranti) compie la beffa di Buccari, forzando il blocco della flotta austriaca ed entrando nel golfo del Fiume. Nell’agosto del 1918 vola su Vienna per lanciare manifestini tricolori sulla città.
Finita la guerra, nel 1919, si dichiara profondamente deluso dal trattato di pace, Organizzata una legione di volontari, in nome dell’Italia, malgrado l’opposizione del governo, occupa con un colpo di mano la città istriana di Fiume. Qui il Comandante, come da tutti D’Annunzio viene chiamato, istituisce un vero e proprio stato di cui si dichiara il dittatore. La cosiddetta Reggenza del Carnaro dura più d’un anno, fino al Natale di sangue, come D’Annunzio stesso la definirà, del 1920, allorché viene sloggiato con la forza dall’esercito senza opporre resistenza.
A quel punto (1921) D’Annunzio si ritira nella casa museo che egli stesso chiama Vittoriale degli italiani, la villa di Cargnacco (contrada di Gardone Riviera), sul lago di Garda, dove tiene desto il proprio mito con le ultime opere e gli stravizi senili. La marcia fascista su Roma del 1922 lo coglie di sorpresa; una forte diffidenza lo divide ormai da Mussolini, anche se proprio D’Annunzio ha anticipato molti aspetti del fascismo con i suoi comportamenti (l’impresa su Fiume), l’deologia nazionalista, l’oratoria capace di infiammare le folle. Il regime fascista a parole lo esalta, nei fatti lo tiene in disparte. L’unica opera di rilievo sono le prose del cosiddetto Libro segreto (1935); interessante perché controcorrente rispetto alle simpatie del regime, anche una satira antihitleriana. Al Vittoriale si spegne il 1° marzo 1938.



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