Molteplici furono i generi letterari praticati da D’Annunzio: poesia lirica e poesia epica, romanzo, novelle, teatro, scritti di critica, cronaca giornalistica, prosa d’arte. Ciò potrebbe dare l’impressione di dispersività, ma in realtà tutta la sua opera letteraria s’ispira a uno spiccato sperimentalismo.
Egli infatti seppe accogliere e riproporre gli spunti letterari più diversi, combinando modelli antichi e moderni e rivisitandoli secondo le proprie tecniche letterarie, in più modi; per esempio, nelle Laudi rifece il verso alla letteratura francescana tecentesca, rimanendo peraltro lontanissimo dalla sua semplicità e dal suo spirito religioso; D’Annunzio era poi solito appropriarsi di pagine, idee, spunti altrui: veri e propri furti letterari, più volte rimproveratigli dai suoi critici, ma di cui non si pentì mai, rivendicando invece le ragioni della propria libertà di artista.
Da tale sperimentalismo scaturirono sia la varietà dei modi metrici dannunziani sia la ricchezza delle sue scelte linguistiche, spesso antiche in contesti moderni, (come lo sport e l’aviazione).
Tali manifestazioni rivelano il desiderio del poeta di essere il dominatore della parola (tutte le parole), il manipolatore della tradizione del passato (tutti gli autori, le forme ecc.): è il D’Annunzio onnivoro. La sua espansione), non in profondità (nel senso di un arricchimento conoscitivo).
Un letterato aperto al nuovo
D’Annunzio coltivava dunque molteplici letterari culturali, aperto com’era alle novità (culturali, sociali ecc.) che contrassegnavano la fine dell’Ottocento.
Il decadente: Nei confronti della letteratura contemporanea, egli fu pronto, per rispondere alla sete di novità del pubblico, a far proprie le tendenze più recenti. Manipolando una serie di letture europee, tra cui Wilde e Huysmans, D’Annunzio diede vita con diverse sue opere (azitutto il romanzo Il piacere, ma anche le coeve raccolte poetiche Intermezzo di rima, l’Isottèo-La Chimera e il Poema paradisiaco) a una monumentale enciclopedia del Decadentismo europeo, aggiornatissima e ammirata da chi amava le sempre nuove raffinatezze letterarie.
Il superuomo: Grande importanza rivestì, per la cultura italiana, la divulgazione della filosofia nietzschiana e in particolare del motivo del superuomo (Ubermensch). In verità D'Annunzio lo apprese solo per via indiretta e semplificata, grazie alla mediazione e spettacolarizzazione offerta dal teatro musicale di Richard Wagner (1813-83); a ogni modo ebbe il merito di divulgare uno dei temi più interessanti e attuali della cultura europea di allora.
Il modernista: D'Annunzio, prima ancora dei futuristi, fu il letterato italiano più attento alla modernità. Nella villa della Cappoccina si fece installare il telefono, guidava le prime automobili, frequentava i primi campi d'aviazione e divenne un provetto pilota. A sviluppare questi temi è l'ultimo suo romanzo, Forse che sì forse che no (1910).
Nell'industria culturale: D'Annunzio, con Pirandello, fu il primo scrittore italiano a intuire le grandi possibilità espressive del cinema e a lavorare per la nascente industria cinematografica: collaborò alla realizzazione di diversi film, per lo più tratti dalle sue opere, e in particolare firmò il soggetto e le didascalie di Cabiria (1914), diretto dal regista Giovanni Pastrone. Inoltre fu lui a coniare nel 1917 il nome del primo grande magazzino italiano, La Rinascente di Milano.
L'uomo del cambiamento
Dalla disponibilità al nuovo e dalla febbrile ansia di ricerca nasce anche l'attitudine di D'Annunzio a reinventarsi: mantenendo fede al motto o rinnovarsi, o morire (in Giovanni Episcopo), egli riuscì più volte a rinnovare la propria immagine presso l'opinione pubblica, come pure a rigenerare la propria creatività in forme nuove.
Una prima svolta si ebbe nel 1911, quando, spinto dal bisogno economico, prese a pubblicare sul Corriere della Sera una serie di scritti autobiografici con il titolo Le faville del maglio, ispirate alle rapide annotazioni dei suoi taccuini di diario. Con la loro immediatezza e semplicità di scrittura, tali prose inaugurarono una stagione nuova nella sua arte.
Un ulteriore svolta si ebbe nel 1915, allorché D'Annunzio aderì di slancio alla campagna a favore dell'intervento italiano nella Prima guerra mondiale. Risalgono ad allora gli infiammati discorsi raccolti sotto il titolo Per la grande Italia: il nuovo linguaggio, con cui si appellava direttamente alle masse formulando ripetizioni enfatiche e invettive, costituirà un modello per la successiva oratoria del fascismo. Inoltre, benché ultracinquantenne, il poeta si gettò in prima persona nel conflitto; le sue imprese belliche gli permisero di guadagnare consensi e fama di eroe presso l'opinione pubblica.
Un'ennesima metamorfosi da soldato a uomo di stato risale al 1919-20, allorché D'Annunzio guidò l'occupazione militare di Fiume e fece promulgare la Carta del Carnaro (settembre 1920), una costituzione d'ispirazione democratica e liberale. Di lì a poco il fascismo lo proclamerà uno dei padri della patria; D'Annunzio, ormai vecchio, accettò volentieri questo ruolo, assieme all'imbalsamazione della sua figura al Vittoriale.
L'esteta e le sue squisite sensazioni
D'Annunzio, con la sua via e le sue opere, aspirava a un'esistenza d'eccezione, al vivere inimitabile (l'espressione compare in un titolo del 1924: Il venturiero senza ventura e altri studi del vivere inimitabile) a fare la propria vita come si fa un'opera d'arte (Il piacere). Queste sue pose estetizzanti si tradussero nella prima e più famosa incarnazione dell'esteta dannunziano, ovvero l'Andrea Sperelli protagonista del romanzo Il Piacere (1889). A differenza però del Des Essentes creato nel 1884 dal francese Huysmans, Andrea non nutre intenzioni trasgressive rispetto alla società dell'epoca: D'Annunzio si limitò a tradurre il modello dell'esteta decadente in una chiave lussuosa e mondana, arricchendo il racconto delle vicende di Andrea con la cornice esclusiva ed elegante dell'aristocrazia romana. Ottenne in tal modo grande successo di pubblico.
I privilegi dell'esteta
Estetismo (da aistesis, in greco sensazione), la parola chiave della poetica dannunziana, si esprime in tre forme.
Egli infatti seppe accogliere e riproporre gli spunti letterari più diversi, combinando modelli antichi e moderni e rivisitandoli secondo le proprie tecniche letterarie, in più modi; per esempio, nelle Laudi rifece il verso alla letteratura francescana tecentesca, rimanendo peraltro lontanissimo dalla sua semplicità e dal suo spirito religioso; D’Annunzio era poi solito appropriarsi di pagine, idee, spunti altrui: veri e propri furti letterari, più volte rimproveratigli dai suoi critici, ma di cui non si pentì mai, rivendicando invece le ragioni della propria libertà di artista.
Da tale sperimentalismo scaturirono sia la varietà dei modi metrici dannunziani sia la ricchezza delle sue scelte linguistiche, spesso antiche in contesti moderni, (come lo sport e l’aviazione).
Tali manifestazioni rivelano il desiderio del poeta di essere il dominatore della parola (tutte le parole), il manipolatore della tradizione del passato (tutti gli autori, le forme ecc.): è il D’Annunzio onnivoro. La sua espansione), non in profondità (nel senso di un arricchimento conoscitivo).
Un letterato aperto al nuovo
D’Annunzio coltivava dunque molteplici letterari culturali, aperto com’era alle novità (culturali, sociali ecc.) che contrassegnavano la fine dell’Ottocento.
Il decadente: Nei confronti della letteratura contemporanea, egli fu pronto, per rispondere alla sete di novità del pubblico, a far proprie le tendenze più recenti. Manipolando una serie di letture europee, tra cui Wilde e Huysmans, D’Annunzio diede vita con diverse sue opere (azitutto il romanzo Il piacere, ma anche le coeve raccolte poetiche Intermezzo di rima, l’Isottèo-La Chimera e il Poema paradisiaco) a una monumentale enciclopedia del Decadentismo europeo, aggiornatissima e ammirata da chi amava le sempre nuove raffinatezze letterarie.
Il superuomo: Grande importanza rivestì, per la cultura italiana, la divulgazione della filosofia nietzschiana e in particolare del motivo del superuomo (Ubermensch). In verità D'Annunzio lo apprese solo per via indiretta e semplificata, grazie alla mediazione e spettacolarizzazione offerta dal teatro musicale di Richard Wagner (1813-83); a ogni modo ebbe il merito di divulgare uno dei temi più interessanti e attuali della cultura europea di allora.
Il modernista: D'Annunzio, prima ancora dei futuristi, fu il letterato italiano più attento alla modernità. Nella villa della Cappoccina si fece installare il telefono, guidava le prime automobili, frequentava i primi campi d'aviazione e divenne un provetto pilota. A sviluppare questi temi è l'ultimo suo romanzo, Forse che sì forse che no (1910).
Nell'industria culturale: D'Annunzio, con Pirandello, fu il primo scrittore italiano a intuire le grandi possibilità espressive del cinema e a lavorare per la nascente industria cinematografica: collaborò alla realizzazione di diversi film, per lo più tratti dalle sue opere, e in particolare firmò il soggetto e le didascalie di Cabiria (1914), diretto dal regista Giovanni Pastrone. Inoltre fu lui a coniare nel 1917 il nome del primo grande magazzino italiano, La Rinascente di Milano.
L'uomo del cambiamento
Dalla disponibilità al nuovo e dalla febbrile ansia di ricerca nasce anche l'attitudine di D'Annunzio a reinventarsi: mantenendo fede al motto o rinnovarsi, o morire (in Giovanni Episcopo), egli riuscì più volte a rinnovare la propria immagine presso l'opinione pubblica, come pure a rigenerare la propria creatività in forme nuove.
Una prima svolta si ebbe nel 1911, quando, spinto dal bisogno economico, prese a pubblicare sul Corriere della Sera una serie di scritti autobiografici con il titolo Le faville del maglio, ispirate alle rapide annotazioni dei suoi taccuini di diario. Con la loro immediatezza e semplicità di scrittura, tali prose inaugurarono una stagione nuova nella sua arte.
Un ulteriore svolta si ebbe nel 1915, allorché D'Annunzio aderì di slancio alla campagna a favore dell'intervento italiano nella Prima guerra mondiale. Risalgono ad allora gli infiammati discorsi raccolti sotto il titolo Per la grande Italia: il nuovo linguaggio, con cui si appellava direttamente alle masse formulando ripetizioni enfatiche e invettive, costituirà un modello per la successiva oratoria del fascismo. Inoltre, benché ultracinquantenne, il poeta si gettò in prima persona nel conflitto; le sue imprese belliche gli permisero di guadagnare consensi e fama di eroe presso l'opinione pubblica.
Un'ennesima metamorfosi da soldato a uomo di stato risale al 1919-20, allorché D'Annunzio guidò l'occupazione militare di Fiume e fece promulgare la Carta del Carnaro (settembre 1920), una costituzione d'ispirazione democratica e liberale. Di lì a poco il fascismo lo proclamerà uno dei padri della patria; D'Annunzio, ormai vecchio, accettò volentieri questo ruolo, assieme all'imbalsamazione della sua figura al Vittoriale.
L'esteta e le sue squisite sensazioni
D'Annunzio, con la sua via e le sue opere, aspirava a un'esistenza d'eccezione, al vivere inimitabile (l'espressione compare in un titolo del 1924: Il venturiero senza ventura e altri studi del vivere inimitabile) a fare la propria vita come si fa un'opera d'arte (Il piacere). Queste sue pose estetizzanti si tradussero nella prima e più famosa incarnazione dell'esteta dannunziano, ovvero l'Andrea Sperelli protagonista del romanzo Il Piacere (1889). A differenza però del Des Essentes creato nel 1884 dal francese Huysmans, Andrea non nutre intenzioni trasgressive rispetto alla società dell'epoca: D'Annunzio si limitò a tradurre il modello dell'esteta decadente in una chiave lussuosa e mondana, arricchendo il racconto delle vicende di Andrea con la cornice esclusiva ed elegante dell'aristocrazia romana. Ottenne in tal modo grande successo di pubblico.
I privilegi dell'esteta
Estetismo (da aistesis, in greco sensazione), la parola chiave della poetica dannunziana, si esprime in tre forme.
- Estetismo è in primo luogo culto della sensazione, cioè esaltazione di ciò che ricade nella sfera dei sensi, della corporeità, dell'istinto. Come gli altri scrittori decadenti europei, D'Annunzio tende a degradare quanto era, per i romantici, il sentimento, il desiderio di assoluto, l'apertura al trascendente e all'eterno. In una logica decadente, tutto ciò si riduce e si banalizza: la sensazione diviene l'unico criterio, terreno e paganeggiante, per conoscere la realtà.
- Estetismo, per D'Annunzio, è anche panismo (un termine che significa la natura è tutto, dal nome del dio greco Pan) e vitalismo. Il culto della sensazione tende infatti a collocare la vita dell'uomo dentro la vita della natura, assimilando l'uno e l'altra in una visione metamorfica e panica, Questa esperienza cantata il supremo vitalismo dell'esteta, che è gioia sfrenata, voglia di vivere e di godere.
- Estetismo, infine, è assenza di gerarchie. Per il poeta esteta, avido di tutto (in primo luogo di nuove esperienze), le sensazioni raffinate sono preziose quanto quelle più volgari: la condizione essenziale è che non sian banali. L'esteta si pone al livello stesso delle cose: il mondo di cui si aggira non ha più ordine né gerarchie, pare frantumarsi in una miriade di oggetti (e, quindi, di sensazioni). La realtà non la si può più capire, ma solo assaporare. Da ciò la frammentarietà dell'arte dannunziana, spesso affidata a fugaci impressioni, a suggestioni che assumono cadenza musicali.
Il creatore di immagini
Dall'estetismo dannunziano deriva l'intenzione del poeta di farsi supremo artefice, cioè un artista che crea le proprio opere sottoponendole a una lunga elaborazione tecnica, simile all'attività di un fabbro o di un orafo. Egli stesso si definiva poeta dell'Imaginifico, il creatore di immagini, attraverso suoni ricercati e parole preziose e rare.
L'imaginifico non solo è abile sul piano tecnico-formale, ma sa anche colpire l'immaginazione del pubblico: perciò ripropone in forma aggiornata i miti del passato, quasi fossero degli incantesimi che suggestionano e offrono ai lettori emozioni nove e profonde. Il poeta artefice è quindi poeta mago e, insieme, poeta tribuno, perché è in grado ora di toccare le corde di pochi lettori scelti, ora di utilizzare l'arte per arringare e dominare la folla.
Possiamo dunque capire la piena disponibilità di D'Annunzio a ogni esperienza d'arte: il suo eclettismo e il suo sperimentalismo nascono come effetti della poetica dell'artificio, che dilata all'infinito le forme del linguaggio, esercitando al contempo un costante dominio su di esso.
L'artista e la massa
In una società in pieno processo di industrializzazione, in cui in particolare si stava riducendo l'analfabetismo e sviluppando l'editoria, perdeva importanza la figura tradizionalmente elitaria dello scrittore e si prospettava invece la possibilità di costituire una letteratura di massa. D'Annunzio fu il primo fra i letterati italiani a cogliere tale opportunità. Fu lui a fornire al crescente pubblico borghese, desideroso di nobilitarsi intellettualmente, modello neoaristocratici di vita, incarnati in personaggi d'eccezione, amori raffinati, ambienti falso antichi: è la cornice in cui si svolge il romanzo d'esordio, Il piacere.
I lettori comuni borghesi, non potevano che ammirare, dalla loro posizione subalterna, le forme preziose e inalterabili della poesia dell'Imaginifico, le fotografie stesse del poeta impegnato nella caccia alla volpe o sdraiato su preziosi cuscini servivano ad aggiungere ai suoi scritti un tratto di raffinatezza. La lussuosa residenza della Cappoccina, tra oggetti ornamentali e simboli enigmatici, costituiva l'emblema della vita sfarzosa e gaudente dell'uomo superiore.
Nei primi anni del Novecento il dannunzianesimo divenne un vero fenomeno di costume, anche tra i ceti fino a poco prima esclusi dalla fruizione letteraria. Ufficialmente D'Annunzio proclamava il disprezzo della folla, ma in realtà sapeva bene come lusingarla: appariva nelle cronache giornalistiche, collaborava egli stesso con i giornali alla moda, pubblicava con gli editori più importanti (Treves, Mondadori), scriveva sceneggiature per il cinema. La stessa relazione con Eleonora Duse, o altri episodi scandalistici della sua biografia servivano a divulgare l'immagine del poeta di lusso, che non si limita a descrivere nelle sue pagine gli amori proibiti alle masse, ma li vive nella realtà.
Tale attività di autopromozione interessava diversi aspetti. Per esempio, D'Annunzio era molto attento al libro come oggetto prezioso anche sul piano grafico e tipografico: sceglieva personalmente i caratteri di stampa e i frontespizi, ingaggiava incisori e illustratori, così come Oscar Wilde aveva fatto per la sua Salomé disegnata (1893) da Aubrey Beardsley. Esigeva inoltre che dei suoi libri fossero stampate tirature meno pregiate e di prezzo accessibile: lo scopo era diffondere un modello di vita aristocratica presso i lettori medi, dando loro l'illlusione di far parte di un ristretto club d'intenditori.
I lettori comuni borghesi, non potevano che ammirare, dalla loro posizione subalterna, le forme preziose e inalterabili della poesia dell'Imaginifico, le fotografie stesse del poeta impegnato nella caccia alla volpe o sdraiato su preziosi cuscini servivano ad aggiungere ai suoi scritti un tratto di raffinatezza. La lussuosa residenza della Cappoccina, tra oggetti ornamentali e simboli enigmatici, costituiva l'emblema della vita sfarzosa e gaudente dell'uomo superiore.
Nei primi anni del Novecento il dannunzianesimo divenne un vero fenomeno di costume, anche tra i ceti fino a poco prima esclusi dalla fruizione letteraria. Ufficialmente D'Annunzio proclamava il disprezzo della folla, ma in realtà sapeva bene come lusingarla: appariva nelle cronache giornalistiche, collaborava egli stesso con i giornali alla moda, pubblicava con gli editori più importanti (Treves, Mondadori), scriveva sceneggiature per il cinema. La stessa relazione con Eleonora Duse, o altri episodi scandalistici della sua biografia servivano a divulgare l'immagine del poeta di lusso, che non si limita a descrivere nelle sue pagine gli amori proibiti alle masse, ma li vive nella realtà.
Tale attività di autopromozione interessava diversi aspetti. Per esempio, D'Annunzio era molto attento al libro come oggetto prezioso anche sul piano grafico e tipografico: sceglieva personalmente i caratteri di stampa e i frontespizi, ingaggiava incisori e illustratori, così come Oscar Wilde aveva fatto per la sua Salomé disegnata (1893) da Aubrey Beardsley. Esigeva inoltre che dei suoi libri fossero stampate tirature meno pregiate e di prezzo accessibile: lo scopo era diffondere un modello di vita aristocratica presso i lettori medi, dando loro l'illlusione di far parte di un ristretto club d'intenditori.