Scuolissima.com - Logo

Poeti Crepuscolari

Vicino alle esperienze innovative dell'avanguardia fu anche un gruppo di poeti italiani detti crepuscolari. Il termine fu coniato nel 1910, in senso negativo, dal critico Giuseppe Antonio Borgese, il quale, in un articolo dedicato a tre giovani poeti, Marino Moretti, Fausto Martini e Carlo Chiaves, definì crepuscolare la loro poesia. Con essi, secondo Borges, la tradizione poetica italiana andava spegnendosi in un mite e lunghissimo crepuscolo.
Crepuscolari si chiamano alcuni poeti, attivi nel decennio 1905-15 e nuovi per i temi e i moduli espressivi. I maggiori furono:
  • il romano Sergio Corazzini (1886-1907), l'autore del Piccolo libro inutile, morto giovanissimo di tubercolosi;
  • il romagnolo Marino Moretti (1885-1979);
  • soprattutto, il torinese Guido Gozzano (1883-1916), autore dei Colloqui (1911), anch'egli morto prematuramente di tisi.
I crepuscolari cantano le piccole cose, le emozioni quotidiane, la nostalgia per il passato, soffusa però di ironica consapevolezza che esso non può tornare. Insoddisfatti, ma incapaci di ribellione, si compiacciono di evocare tristi pomeriggi domenicali e città di provincia, vecchie abitazioni e giardini in disuso, suono di organetti e corsie d'ospedali. Sembrano chiudersi nella penombra, per giungere a stabilire un nuovo contatto con se stessi. Rovesciano la vecchia funzione del poeta vate, cantore dei destini della nazione; i poeti crepuscolari si rifiutano infatti a una dimensione pubblica, vivono appartati come un triste mendico (Moretti). Fino alla rivoluzionaria dichiarazione di Sergio Corazzini: Perché tu mi dici poeta? Io non sono un poeta. / Io non sono che un piccolo fanciullo che piange (Desolazione del povero poeta sentimentale).
I poeti crepuscolari hanno ereditato da Pascoli l'abbassamento del tono, lo spostamento dei temi e del linguaggio in un piccolo mondo quotidiano. Alla scelta dei temi realistici, intonati alle piccole cose di pessimo gusto, fa dunque seguito lo smorzamento della voce poetica, come avviene in apertura di una poesia di Marino Moretti: Piove. E' mercoledì. Sono a Cesena.

Una definizione riduttiva
I poeti crepuscolari costituiscono, insieme ai futuristi, l'avanguardia letteraria più interessante attiva in Italia durante l'età giolittiana.
L'etichetta di poesia crepuscolare fu coniata con intento dispregiativo dal critico e romanziere Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952). Recensendo sul quotidiano La Stampa del 1° settembre 1910 tre raccolte poetiche uscite in quell'anno ovvero Poesie scritte col lapis di Marino Martini (1885-1979), Poesie provinciali di Fausto Maria Martini (1886-1930) e Sogno e ironia di Carlo Chiaves (1882-1919) - Borgese parlò della loro poesia come di una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne. La metafora del crepuscolo serviva a indicare spazi che si chiudevano, piuttosto che aprirsi al nuovo; i poeti crepuscolari confermavano infatti, secondo Borgese, il generale declino della poesia italiana, la cui ultima voce era stata, a suo avviso, quella di D'Annunzio.

La poetica delle piccole cose
Ciò che caratterizza la poetica crepuscolare sono anzitutto i temi incentrati su piccole cose: Guido Gozzano parla delle buone cose di pessimo gusto, Sergio Corazzini delle povere piccole cose. I poeti crepuscolari ritraggono gli angoli della provincia, fiori appassiti, foglie e piogge d'autunno, interni di abitazione borghesi, orti chiusi e pallidi soli.
Ancora: la farmacia del paese, corsie d'ospedale, stazioni e vecchi edifici abbandonati, i poveri infermi e i convalescenti, suore e conventi, la cappella solitaria, il fanciullo malato. Cantano stati d'animo come la malattia e l'attesa del morire, la malinconia e l'assenza, l'impossibilità di amare, il tedio domenicale.
Tematiche simili erano già presenti in Myriace (1891) di Pascoli sia nel Poema paradisiaco (1893) di D'Annunzio. Esaminiamo i due casi.
  • per quanto riguarda Pascoli, al poeta fanciullo le piccole cose sembrano le sole davvero grandi e poetiche; diventano i segnali del mistero in cui il fanciullino si aggira e che la poesia deve sforzarsi di ricreare. Invece i crepuscolari accettano nella loro poesia le povere piccole cose proprio perché restano piccole e povere: la poesia non le trasforma in sublimi.
  • D'Annunzio, nel poema paradisiaco, canta gli oggetti quotidiani: ma solo perché per lui, incontentabile sperimentatore, essi sono una delle forme possibili di bellezza. Invece i crepuscolari non accarezzano le buone cose di pessimo gusto per la loro bellezza; in mano loro, esse diventano esili simboli della precarietà dell'esistenza, della mancanza di vita e di ideali.

Una silenziosa rivoluzione formale
Oltre ai temi, innovativi sono anche il linguaggio e le forme dei poeti crepuscolari. Il loro è un linguaggio sfumato, chiaroscurale, sospeso tra l'ironico e il sentimentale. Non rinunciano alla liricità, allo stile, o alla letteratura: anzi nei loro testi, specie in quelli di Gozzano, resiste una tessitura di rime, talune alla fine del verso (e quindi ben visibili), altre nascoste nel tessuto dei suoni. Parole umili, domestiche, quasi gergali, si alternano a parole e immagini più colte.
In più, nelle liriche crepuscolari si nota una fitta rete di allusioni e rimandi ad altri testi e poeti: ma è un dialogo che stravolge e parodizza i testi di altri autori, come D'Annunzio o alcuni poeti simbolisti europei (in particolare il belga Maurice Maeterlinck, 1862-1949).

Sintassi e metrica danno vita a un ritmo lento e monotono. Le liriche crepuscolari assumono le forme di una poesia in prosa, talvolta assomigliano a canzonette infantili. E' un altro elemento di grande originalità. Pascoli e D'Annunzio avevano utilizzato metri ancora chiusi, strofe e rime ricorrenti. I crepuscolari (soprattutto Corazzini e Govoni) sono invece tra i primissimi, in Italia, ad adottare in certe occasioni il verso libero (ciascun verso sta a sé, slegato da strofe e da rime, che sarà la conquista principale, sul piano tecnico, della lirica novecentesca.

Gozzano, il maggiore dei crepuscolari, sembra fare eccezione. Infatti è apparentemente ligio alle regole, tanto che adotta misure metriche più regolari. Sembra: perché in lui è forte la volontà di contestazione e di parodia della tradizione. In mano sua la rima può corrompersi fino a incontri impensabili: per esempio, nel poemetto La Signorina Felicità, accade che Nietzsche (il profeta della volontà di potenza) sia fatto rimare con le più prosaiche, banalissime camicie!

Abbassare il tono poetico, o usare una sintassi semplice ed elementare, costituiva, per i crepuscolari, un'ultima occasione per essere originali sul piano letterario: il sublime era stato tutto sfruttato dai poeti precedenti; rimaneva aperta la via di cercare la poesia nei toni bassi, nella non-poesia. Allo stesso criterio risponde, sul piano tematico, il canto delle piccole cose: altro non è rimasto da dire dopo che i sommi poeti della tradizione recente e remota hanno esaurito ogni altra possibilità di canto.


Le due scuole crepuscolari
Non ci fu una sola scuola crepuscolare (termine pure utilizzato da Borgese), bensì due:
  • la prima si radunò a Roma intorno a Sergio Corazzini (1886-1907), e comprendeva Fausto Maria Martini, Alberto Tarchiani e altri;
  • la seconda si formò a Torino intorno a Guido Gozzano (1883-1916) e comprendeva anche Carlo Chiaves e Nino Oxilia.
Significativamente, non vi fu un'attività di poeti crepuscolari a Milano, dove si stava affermando il Futurismo, né a Firenze, sede delle riviste d'avanguardia, come Leonardo, Lacerba, La Voce. Vi erano poi scrittori che svolgevano un'opera di collegamento tra i due gruppi: Corrado Govoni (1884-1965), amico dei romani, era un poeta stimato da entrambi i gruppi; Marino Moretti (1885-1979) e Aldo Palazzeschi (1885-1974) intrecciarono rapporti epistolari sia con Gozzano sia con Corazzini.

I poeti crepuscolari si sostenevano a vicenda; per esempio, Corazzini e Moretti recensirono I cavalli bianchi (1905) di Palazzeschi, Palazzeschi recensì Fraternità (1905) di Moretti ecc.
Rispetto ai futuristi, però, mancò ai crepuscolari un caposcuola e un'organizzazione come Marinetti; essi, inoltre, non avevano una rivista da cui diffondere le loro idee. Anche i loro interventi di poetica teorica furono scarsi e poco incisivi. Ciononostante, costituirono un vero gruppo, abbastanza coeso per alimentare la coscienza di combattere una difficile battaglia contro la tradizione poetica e la letteratura ufficiale.

Due capiscuola: Corazzini e Gozzano
Riconoscere le due scuole serve a spiegare le notevoli differenze tra Corazzini e Gozzano:

  • Corazzini privilegiava il patetico (come Govoni): si dipinge come un piccolo fanciullo che piange, così da muovere la compassione dei lettori;
  • Gozzano privilegiò invece l'ironia (come Moretti). Entrambi presero le mosse dai poeti del Simbolismo europeo, soprattutto dai belgi Maeterlinck e Rodenbach. Ricavarono da queste fonti temi (cose vecchie che sprigionano nostalgia) e stati d'animo (solitudine, abbandono). Anche il giovane Palazzeschi se ne appropriò, ma provando un gusto tutto suo a giocare con questi temi e oggetti poetici. Invece Corazzini prendeva sul serio tali modelli: ne faceva gli emblemi del suo stato d'animo di fanciullo malato, e quindi cantava attraverso di essi la propria infelicità.
Gozzano invece assunse questo materiale tematico con ironia; non prese mai veramente sul serio la tipica malinconia crepuscolare. L'ironia è una barriera difensiva, che il poeta frappone tra sé e il mondo per non doverlo affrontare; infatti anche Gozzano non riesce a vivere normalmente, a rapportarsi con la vita e con gli altri. Egli raffigura tale incapacità di vivere in un personaggio autobiografico, Totò Merumeni, che dà titolo al poemetto omonimo (il titolo proviene da una commedia del latino Terenzio, Heautontimorumenos, il punitore di se stesso, ma il calco linguistico è approssimativo, come si vede: è esempio di come Gozzano spesso parodizzi i poeti del passato). Totò/Gozzano è l'intellettuale partito da D'Annunzio (anche Gozzano ai suoi inizi si presentava esteriormente come un elegante dandy giunto dalla provincia nei salotti dell'alta borghesia  torinese) e che solo dopo avere attraversato D'Annunzio (è un'immagine di Montale) ha potuto trovare la propria reale dimensione. Si accorge, con dolore, di non poter essere D'Annunzio; e tale dolore reagisce con la maschera dell'ironia, del distacco critico.
rinunciando a prendersi sul serio, Gozzano non può compatirsi, come fa Corazzini. Non parla neppure di sé, come Corazzini. per dire io adotta delle maschere narrative, personaggi in cui sdoppiarsi: l'avvocato in La signorina Felicità, l'intellettuale in Totò Merumeni, e così via). La sua poesia, come dice Montale, è quella di un eccezionale narratore o prosatore in versi, come risulta chiaro dal suo capolavoro, il poemetto L'amica di nonna speranza.

Crepuscolari o futuristi?
Intorno al 1910 poteva sembrare che la scuola crepuscolare fosse ormai all'esaurimento, a paragone della ben coinvolgente e rumorosa avanguardia futurista. Noi vogliamo cantare..., Noi vogliamo distruggere... proclamava Marinetti. Le parole in libertà, la distruzione della sintassi, l'immaginazione senza fili garantivano ai futuristi un ben maggiore credito.

Alle origini della poesia contemporanea
Oggi però la critica ha sottolineato la carica innovativa presente nella poesia crepuscolare. In modi meno evidenti e clamorosi rispetto ai futuristi, ma non meno decisivi, essa superava una lunga tradizione e sapeva contemporaneamente, indicare sviluppi decisivi per i poeti dell'età successiva.
Il già citato Montale riconoscerà i propri debiti rispetto a Gozzano, che, come Montale stesso scriverà nel 1951, gli fu maestro nel far cozzare l'aulico con il volgare, cioè nel suggerire significati nuovi dall'accostamento di parole comuni con termini più dotti e ricercati.
In sostanza il crepuscoliano appare, come scrive Stefano Jacomuzzi, una delle componenti fondamentali della poesia italiana contemporanea.



🧞 Continua a leggere su Scuolissima.com
Cerca appunti o informazioni su uno specifico argomento. Il nostro genio li troverà per te.




© Scuolissima.com - appunti di scuola online! © 2012 - 2024, diritti riservati di Andrea Sapuppo
P. IVA 05219230876

Policy Privacy - Cambia Impostazioni Cookies