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Poesia Dannunziana

Non meno importanti, rispetto ai romanzi, sono le raccolte dannunziane di poesia. D’Annunzio esordi appena sedicenne nel 1879 con i versi di Primo vere (il titolo rimanda alla primavera, cioè alla giovinezza del poeta), accolto da recensioni molto favorevoli. L’anno successivo uscì una seconda edizione (1880), preceduta dalla notizia, diffusa ad arte e poi smentita, della tragica morte dell’autore per una caduta da cavallo: necrologi e rimpianti favorirono un rilevante successo di vendite. La trovata della falsa morte evidenzia la spregiudicatezza del diciassettenne poeta, fin d’allora molto astuto nell’escogitare ogni espediente per conquistarsi i favori del pubblico.
In Primo vere D’Annunzio imitava apertamente il Carducci delle Odi barbare. Più matura la successiva raccolta, Canto novo (1882), dominata dai motivi caratteristici della sua poetica: accesa sensualità, immersione panica nella natura, vibrazione di luci e colori, ricerca di musicalità.
L’interesse per il Decadentismo diviene ancor più visibile con i versi di Intermezzo di rime (1883).
Accanto alla ricerca di musicalità, il libro si segnala per l’accentuato erotismo e per gli atteggiamenti estetizzanti: le vicende biografiche del poeta e le donne da lui amate si trasformano in letteratura.
Nel 1886 uscì poi un nuovo libro di versi: Isaotta Guttadàuro, riproposto, con variazioni, in Isottèo-La Chimera (1890). Il lessico ricercato, i metri insoliti, le sonorità antiche rinviano al raffinato Decadentismo dei parnassiani francesi, al loro motto l’arte per l’arte. In uno sei sonetti dedicati a Giovanni Marradi (1887), D’Annunzio proclama la sua fede nel Decadentismo (e nell’estetismo): O poeta, divina è la parola; / ne la pura bellezza il ciel ripose / ogni nostra delizia; e il Verso è tutto. E’ il medesimo clima del romanzo Il piacere (1889).

Una pausa dei sensi: Il Poema paradisiaco
Qualche anno dopo, nel 1893, D’Annunzio pubblicò una raccolta di versi nuova per linguaggio e tematiche: il Poema paradisiaco. I temi erotici e trasgressivi e il canto della donna femmina sembrano qui a placarsi in un’inedita dimensione della bontà, la stessa sperimentata nei due romanzi del 1891-92, Giovanni Episcopo e L’innocente. Ma in realtà siamo solo davanti a una delle tante facce dello sperimentalismo dannunziano e anche del suo narcisismo. Il poeta immagina di tornare a contatta con le cose dell’infanzia, con la casa e la vecchia madre; dice di ripudiare la precedente sensualità (o vorrebbe farlo). Questo ripiegamento interiore si esprime con toni più smorzati e malinconici, che sembrano presagire la successiva poesia dei crepuscolari. In diversi punti si avverte la tensione a individuare analogie segrete tra le cose, echi più profondi, al di là della consueta fisicità: Vieni, usciamo. Il giardino abbandonato / serba ancora per noi qualche sentiero. / Ti dirò come sia dolce il mistero / che vela certe cose del passato (Consolazione). In versi come questi si rivela quella diffusa musicalità che costituisce l’aspetto più felice della poesia dannunziana.

L’enciclopedia in versi delle Laudi
Esaurita l’esperienza paradisiaca, D’Annunzio compose molte altre liriche, di metri e argomenti diversi, che spaziavano dal mito classico alla vita contemporanea. Maturò quindi il desiderio di raccoglierle in un grande libro di versi, cui affidare la propria pagana visione del mondo, costruita, come nell’antica Grecia, sulla bellezza e la gioia di vivere. Nacque così l’idea delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. Il progetto prevedeva sette libri, ciascuno intitolato a una stella delle Pleiadi:
- I primi tre libri (Maia, Elettra, Alcyone) uscirono nel 1903;
- Il quarto libro, Merope, uscì nel 1912: raccoglieva le Canzoni delle gesta d’oltremare stampate su Corriere della Sera per celebrare la guerra in Libia;
- Un quinto libro, Asterope, fu pubblicato nel 1934, con i Canti della guerra latina, poesie scritte nel 1915-18 in occasione della Prima guerra mondiale.

Il titolo Laudi è ambiguo: richiama le Laudes creatura rum (Lodi delle creature), cioè il Cantico delle creature di san Francesco. Ma questo motivo francescano si degrada in senso anticristiano e terreno: D’Annunzio rifiuta qualsiasi elevazione spirituale; il vero tema delle Laudi è l’istintiva felicità prodotta dalla fusione corporea con la natura ed espressa in una forma di canto ininterrotto.

Natura, nazionalismo e musicalità in Maia, Elettra, Alcyone
I libri più riusciti delle Laudi sono i primi tre: Maia, Elettra, Alcyone, tuti del 1903.

Il primo libro delle Laudi, Maia, è quasi tutto occupato dalla lunghissima Laus vitae (Lode alla vita): un ditirambo, secondo l’antica definizione, di oltre ottomila versi e ispirato a Dioniso, dio della gioia di vivere della natura che sempre fiorisce. Argomento sono le tappe di un viaggio in Grecia: pochi contenuti e molte immagini simboliche si addensano attorno ai luoghi e ai ricordi letterari, ai miti del passato. Interessante, sul piano formale, è la scelta del verso libero, privo di rime e schemi metrici.

Il secondo libro, Elettra, contiene liriche di diverso metro, dedicate a vari eroi, tra cui Verdi, Garibaldi, Victor Hugo, Dante. Il poeta superuomo D’Annunzio si candida qui a poeta vate, sacerdote e custode della nazione. In sottofondo agisce l’ideologia nazionalistica e supermistica; un componimento (Per la morte di un distruttore) è espressamente dedicato a Nietzsche. Il meglio di Elettra è nei 25 componimenti finali, dedicati alle Città del silenzio della provincia italiana (Ferrara, Ravenna, Rimini, Perugia ecc.): città un tempo fiorenti di gloria, oggi malinconicamente colte nella loro decadenza.

Alcyone, terzo libro delle Laudi, è il capolavoro poetico di D’Annunzio. Il tema è l’unione tra l’individuo e la natura, il sensuale abbandono all’incessante movimento della vita cosmica. Alle spalle c’è sempre l’ideologia del superuomo: infatti solo a pochi eletti, superiori a tutti per la loro sensibilità, è concesso perdere se stessi nel fluire degli elementi e raggiungere così i segreti misteri della natura. Il pregio delle liriche di Alcyone è dato dall’intensa musicalità del verso: nella fitta rete di corrispondenze sonore, i suoni contano assai più dei significati, secondo la lezione dei poeti simbolisti francesi.



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