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Opere di Italo Svevo

Gli esordi
Come scrittore Svevo esordisce intorno al 1880. I suoi scritti sono pensati per il teatro: Svevo è un appassionato frequentatore dei teatri cittadini e comincia dunque con il comporre abbozzi di commedie, oltre ad articoli di critica per il giornale irredentista L'indipendente. Oltre alla passione per il teatro Svevo coltiva quella per la musica: suona in un quartetto come violinista dilettante Legge i grandi romanzieri europei, tedeschi e russi.
Sul finire del decennio pubblica i racconti Una lotta (1888) e L'assassinio di via Belpoggio (1890). In essi Svevo rappresenta, rispettivamente, un tema tratto da Darwin (la lotta per la vita) e uno Schopenhauer (la debolezza della volontà):
  • Una lotta rappresenta la vittorie che l'uomo energico e sportivo riporta sul letterato galante, nella competizione per la bella Rosina;
  • L'assassinio di via Belpoggio raffigura le conseguenze psicologiche di un omicidio (il colpevole, perseguitato dal rimorso, deve infine confessare il delitto).
In questi stessi anni, tra il 1887 e il 1889, scrive anche il romanzo Una vita, pubblicato nel 1892.

Una vita: la sua autobiografia e critica
Una vita racconta con un intreccio piuttosto lineare, la sconfitta esistenziale del Alfonso Nitti, un giovane impiegato di banca che coltiva sogni letterari. Alfonso abbandona il paese d'origine e si stabilisce a Trieste, ma qui emerge la grande distanza che intercorre tra i suoi sogni e la dura realtà quotidiana. La sconfitta, per lui, è così dolorosa e bruciante da indurlo a suicidarsi.
Il romanzo rielabora abbastanza da vicino alcuni elementi della biografia sveviana: l'ambiente triestino, la professione (bancaria) di Alfonso e il rapporto del protagonista con Annetta, che s'ispira al legame fra Ettore Schmitz e la moglie Livia Veneziani (a partire dalla marcata differenza di ceto sociale e d'età). Fin d'ora, dunque, Svevo appare impegnato a studiare e rappresentare la propria esperienza in forma romanzesca. Pur mantenendo in apparenza un impianto tradizionale, il narratore interviene spesso (talora con ironia) per commentare le contorsioni psichiche del suo protagonista e non esita a interferire con il lettore, guidandolo a interpretare i pensieri di Alfonso, svelando le maschere, le menzogne, gli alibi, gli inganni con cui il personaggio, invano, tenta di difendersi da una realtà che lo delude profondamente.

Il tema dell'inettitudine
Sul piano narrativo Una vita appare un racconto ancora tradizionale, vicino al realismo, anche se a tratti emerge già l'evocazione sveviana al romanzo analitico, centrato sullo studio della psicologia dei personaggi. L'aspetto più interessante, però. riguarda per ora il significato complessivo dell'opera:
Una vita verte infatti su una vicenda di fallimento. Dunque all'eroe, che trionfa nel romanzo ottocentesco, Svevo sostituisce la figura dell'inetto (dal latino in-aptus, inadatto, inopportuno, quindi sciocco), la cui immaturità psicologica è il vero filo conduttore del racconto. Non a caso il titolo originariamente pensato dall'autore per il romanzo era Un inetto.
Infatti Alfonso Nitti non fallisce non semplicemente per gli ostacoli che una società ostile gli dissemina sul cammino, bensì per la sua profonda inettitudine. Alfonso è nato così: non riesce mai ad accordare il mondo della realtà con i sentimenti, le aspirazioni, le energie della sua vita interiore. Forse soffrirebbe meno se si accontentasse della sua cultura umanistica, della contemplazione, come Schopenhauer suggeriva. Invece è ambizioso: rifiuta lo studio severo e la solitudine, per coltivare piuttosto il proposito, superficiale e velleitario, di affermarsi tanto nella vita come nell'arte. Sogna a occhi aperti: desidera amori, dominio, successo. La vita crudele gli sbatterà la porta in faccia e solo allora Alfonso dovrà tragicamente ammettere che i suoi sogni erano del tutto irrealizzabili. A quel punto si suicida: un gesto inutile, ma che Alfonso mette in alto come prendersi una rivincita nei confronti di Annetta (che si è fidanzata con un altro) e dell'ambiente circostante.

Senilità
Il secondo romanzo sveviano, Senilità, fu pubblicato nel 1898. L'autore prosegue sulla via di una trama esile e poco originale, ma utilissima all'analisi psicologica del protagonista, Emilio Brentani. E' lui il personaggio senile del titolo, è lui ancora giovane d'età, l'uomo vecchio che rinuncia a vivere per osservare la vita dal di fuori, conservando nel ricordo ciò che ha vissuto.
Come già in Una vita, anche in Senilità il tema di fondo è la sconfitta del protagonista. Infatti, nel primo romanzo Alfonso Nitti, sognatore, ricco di pseudoideali che tali, però, non sono (l'onore, la superiorità culturale), urtava contro una società spregiudicata e opportunista, ma più forte di lui (come Annetta); non poteva, perciò, che soccombere. Anche Emilio Brentani, nel secondo romanzo, è uno sconfitto: è un letterato solitario, introverso e malinconico, che s'illude troppo facilmente, rimanendo estraneo alla realtà. Più che vivere, si guarda vivere. E' un sognatore, un teorista, dice Svevo. Arriva così ad attribuire qualità del tutto astratte e immaginarie a una persona volgare, sfacciata e bugiarda come Angiolina. Finché può, Emilio nasconde a se stesso i tradimenti di Angiolina; ma dovrà infine ammettere la verità e, quindi,  la propria sconfitta.
La differenza più rilevante di Senilità rispetto a Una vita è la conclusione del romanzo: Emilio infatti non si suicida, ma sopravvive al proprio fallimento sentimentale. Ci riesce allontanando il dolore patito nel ricordo, trasfigurando nella memoria l'immagine di Angiolina: come se fosse un simbolo, un ideale assoluto di bellezza, di sanità, di purezza.

Salute, malattia e romanzo psicologico
L'elemento più interessante e moderno dei primi due romanzi sveviani, come si è visto, è l'inettitudine, una malattia che colpisce entrambi i protagonisti. Alfonso, appena morta sua madre, si ammala gravemente; in Senilità, Angiolina (detta Giolona dall'amico Balli) è sanissima, mentre Emilio vive la sua avventura come una malattia. Anche la sorella del protagonista, Amalia, è una malata cronica.
Sia in Una vita sia in Senilità la malattia (cioè l'inettitudine) dei protagonisti viene contrapposta alla salute degli altri, i normali. In entrambi i romanzi questi ultimi vengono incarnati dalla figura di un rivale, l'antagonista. In Una vita a rivestire tale ruolo è il cugino di Annetta, Macario, un giovane spregiudicato e brillante; in Senilità il rivale è invece l'amico di Emilio, lo scultore Balli. Sia Macario sia Balli sono dei vincenti nella lotta per la vita: hanno il successo e l'amore, e soprattutto non soffrono di alcuna scissione interiore, cioè, di alcuna malattia.
Ritroveremo nella Coscienza di Zeno i temi della malattia e della salute, insieme al conflitto con l'antagonista. Là questi motivi verranno trattati con maggiore problematicità; ma già Senilità si propone come un moderno romanzo d'indagine psicologica, il primo della nostra letteratura. L'autore, infatti racconta l'intera vicenda attraverso il filtro della memoria di Emilio e del suo punto di vista tutto soggettivo e deformante. E' questo punto di vista, onnipresente, del personaggio a fungere da chiave di lettura (o di riflessione) di ogni avvenimenti: il lettore non può mai verificare la realtà dei fatti né inquadrare la vicenda in un tempo cronologico e oggettivo. Perciò, narrando, Svevo dedica ampio spazio a sogni, immagini mentali, allucinazioni e fantasie.

La coscienza di Zeno
Dopo il duplice insuccesso di Una vita e Senilità, Svevo accantonò per più di vent'anni la scrittura, per dedicarsi completamente agli affari di famiglia. In realtà continuò a scrivere alcuni racconti e commedie, ma tenendo quelle pagine nel cassetto, senza velleità di pubblicazione. Fu un periodo di apparente inattività letteraria, ma in realtà esso costituisce l'insieme di esperienze letterarie che confluiranno nelle prove della maturità.
A suggerire il ritorno alla scrittura intesa come produzione letteraria fu il ridursi dell'attività commerciale dovuto alla Grande guerra. Ma il desiderio di scrivere tornò anche come reazione al grande male del conflitto, e nel 1923 fu pubblicato il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno.
Rispetto ai primi due romanzi erano trascorsi circa venticinque anni e Svevo aveva maturato tante nuove esperienze: innanzitutto una posizione sociale più favorevole (da piccolo impiegato di banca a industriale), poi il confronto letterario con Joyce e la conoscenza della psicoanalisi. Rispetto a prima anche la forma del romanzo non poteva più essere quella che era: benché ritornino nella Coscienza molti temi cari all'autore, l'opera si presenta come un romanzo sperimentale, dall'impianto e dalla struttura assai diversi dai libri precedenti. Tra questi, un ruolo primario spettava alla psicoanalisi. Essa diviene addirittura il motore narrativo del romanzo, che infatti nasce come diario personale su consiglio del dottor S., medico psicoanalista che ha in cura Zeno. Inoltre, intorno alla psicoanalisi ruotano molte situazioni narrative: per esempio, invece di seguire il carro funebre del cognato Guido, Zeno sbaglia funerale, commettendo così un tipico lapsus (errore inconscio) freudiano, che rivela l'odio inconfessabile che il protagonista nutre per il cognato-rivale. Diversa anche la fortuna dell'opera: questa volta anche se faticosamente, il libro ottenne successo. ormai una parte del pubblico era finalmente in grado di recepire il nuovo linguaggio e le nuove problematiche proposte dall'autore triestino.

La diversità di Zeno
Rispetto a Una vita e senilità, il terzo romanzo ribalta la prospettiva generale del racconto: si passa dalla malattia alla salute, almeno parziale; si giunge dall'inettitudine alla lotta e al successo. Se Alfonso ed Emilio erano personaggi bloccati dalla propria inettitudine, abulici e passivi (al punto da giungere l'uno al suicidio, l'altro a guardare tristemente la sorella che muore), Zeno invece si riscatta dalla propria inferiorità (zoppica leggermente, non ha abilità negli affari, non conquista la donna che ama ecc.). Egli guarda a tutto ciò con indifferenza, ed è questa la risorsa che gli serve per vincere, o quantomeno per sopravvivere. A suicidarsi, stavolta, è Guido Speier, il rivale di Zeno, colui che al lettore era parso il lottatore, il vincente.
Le differenze di Zeno rispetto ad Alfonso ed Emilio sono evidenti, anche sul piano sociale: i protagonisti dei primi due romanzi erano intellettuali piccoli borghesi, i quali non sapevano concretizzare le proprie ambizioni e ne vivevano schiacciati; Zeno proviene invece dall'alta borghesia imprenditoriale triestina (in lui si riflette la superiore posizione sociale guadagnata dallo stesso Svevo grazie al matrimonio con Lidia Veneziani) ed è libero da preoccupazioni economiche, tanto che può vivere di rendita grazie al patrimonio ereditato dal padre. Può dunque trascurare i bisogni pratici, la vita attiva, per fissare l'attenzione esclusivamente sui meccanismi che regolano la vita interiore degli individui e ne governano, segretamente, i comportamenti. In tal modo, con il suo distacco contemplativo, si conquisterà una conoscenza disincantata e profonda della realtà umana.
Distacco significa anche uso sapiente dell'ironia, che è, assieme alla psicoanalisi, l'impalcatura su cui cresce l'intero romanzo. E' infatti l'ironia il sentimento attraverso cui il protagonista Zeno rivive la propria esistenza e la vita intera, rinunciando a prendere sul serio se stesso, gli ideali comuni, le regole sociali. L'ironia sveviana è molto simile all'umorismo di Pirandello: l'uno e l'altro esprimono un bisogno di distanza critica sia dalla vita sia dalla letteratura, e al tempo stesso diventano l'unica arma attraverso cui difendersi dalla tragedia del vivere.

L'ultimo Svevo: i racconti e i frammenti del quarto romanzo
Dopo la pubblicazione della Coscienza di Zeno, l'ultima fase dell'attività sveviana è segnata dai racconti(alcuni incompiuti) e dagli abbozzi preparatori del quarto romanzo, oltre alla tarda commedia La rigenerazione.
Tra i racconti spiccano Corto viaggio sentimentale (1924-25), La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1926) e Una burla riuscita (1926). I temi trattati sono ancora quelli della vecchiaia (con tutte le sue contraddizioni), della malattia e della letteratura, assieme all'analisi dei propri desideri e mistificazioni; ritorna anche l'ironia con cui Svevo caratterizza i suoi personaggi, mentitori e doppi, sempre desiderosi di affermare la propria innocenza.
Intanto l'autore lavora anche a una lunga serie di frammenti, che avrebbero probabilmente dovuto fondersi nel cosiddetto quarto romanzo (il cui titolo era forse Il vecchione o Il vegliardo). L'autore ne dà ripetutamente notizia ai suoi amici francesi: Mi sono messo a fare un altro romanzo, una continuazione di Zeno. Tempo fa in un momento di buon umore Zeno vegliardo stese una prefazione delle sue nuove memorie.
I titoli di questi frammenti, alcuni piuttosto estesi, sono Un contratto, Le confessioni del vegliardo, Umbertino, Il mio ozio e il vecchione. Furono tutti scritti rapidamente da Svevo, con correzioni e varianti, negli ultimi mesi di vita, fra l'aprile e il maggio del 1928. Essi si riallacciano all'ottavo e ultimo capitolo della Coscienza e abbozzano un ritratto della psicologa di Zeno diventato ormai anziano.
Non più costretto a narrare su invito del dottor S., egli ci presenta ora nuove avventure (per esempio una scappatella extraconiugale con una sigaraia) e riflessioni, assieme ai ritratti di familiari che già conosciamo (la moglie) e nuovi (il nipotino Umbertino).
malgrado le ripetizioni e le incongruenze proprie di un testo non portato a termine, ne risulta un complesso narrativo molto interessante. Svevo assume come tema privilegiato la condizione alienata del vecchio nel mondo contemporaneo, nella civiltà del produttivismo, dell'efficienza e del successo. Il suo scopo è riscattare dall'emarginazione il vegliardo Zeno, mettendo a fuoco, mediante le sue memorie, tutte le qualità e virtù del suo ultimo tempo di vita, consegnato alla meditazione, al ricordo e al raccoglimento che conducono alla saggezza estrema. Intanto prende corpo un ritratto perfido e demistificante della famiglia borghese, lo stesso che già affiorava dalle pagine della Coscienza.

Gli scritti teatrali e la commedia La rigenerazione
Fin dalla giovinezza Svevo aveva coltivato, accanto alla narrativa, la scrittura teatrale. Le prime commedie risalgono al 1880-90 (Le teorie del conte Alberto, Le ire di Giuliano ecc.). Seguirono poi le commedie nate nella fase del silenzio sveviano, fra Senilità e La coscienza di Zeno: ricordiamo Terzetto spezzato e l'Atto unico in dialetto triestino. Infine, a ridosso del suo terzo romanzo, Svevo scrisse l'incompiuta commedia Con la penna d'oro e La rigenerazione.
Quest'ultima commedia, del 1927-28, è considerato il capolavoro drammaturgico di Svevo, l'unico suo testo teatrale in cui la propensione all'analisi psicologica e al ritratto di vita interiore non cozzano contro le esigenze di azioni e sintesi tipiche della scrittura scenica. Protagonista della Rigenerazione è un vecchio che s'illude di poter ringiovanire con un'operazione chirurgica, poiché a suo dire, in questa epoca non è permesso di essere vecchi. Le sue riflessioni sulla scena costituiscono una sintesi dei motivi più originali dell'ultima produzione letteraria di Svevo.



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