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Opere di Giovanni Pascoli

Nella casa di Pascoli a Castelvecchio di Barga (oggi Castelvecchio Pascoli, in provincia di Lucca) sono ancora conservati per i visitatori i tre tavoli da lavoro del poeta: il primo riservato alla poesia in italiano, il secondo alla poesia in latino e il terzo agli studi su Dante. I tre tavoli costituiscono il simbolo della ricca sperimentazione di questo autore, che ricercò più strade simultaneamente. Pascoli non conobbe cioè un’evoluzione progressiva nel tempo: non passava ad altra esperienza dopo la conclusione della precedente, ma ne coltivava diverse e tutte contemporaneamente. Il poeta il prosatore e il critico; il poeta in latino e il poeta in italiano; il poeta campagnolo e il poeta nazionalista: queste le tante facce di un unico artista che lavorava su più tavoli nello stesso tempo.


Myricae
Pascoli esordì nel 1891 con la raccolta Myricae (cioè, dal latino, tamerici, alberi diffusi nella macchia mediterranea). Fin dal titolo, dunque, presentò la propria poesia come un’arte fatta di cose semplici e umili: infatti nel libro si succedono quadretti sempre in pochi versi che delineano immagini della vita della campagna (Lavandare, Arano, Novembre); in alcuni casi brevi memorie della propria terra e dell’infanzia (Romagna, X agosto).
Complessivamente Myricae recava una vera rivoluzione per la poesia italiana, sia per i temi (soggetti umili e dimessi, sviluppi brevi) sia per lo stile, in cui hanno gran parte già l’uso dell’analogia, del simbolo e la suggestione esercitata dai suoni. Molte di queste novità di uno sguardo piccolo sulla realtà, lo sguardo appunto del poeta fanciullo, opposto alla figura del poeta-maestro, del poeta vate, alla maniera di Carducci.

I Poemetti
Pochi anni dopo, nel 1897, furono stampati i Poemetti, destinati a crescere nel tempo; in seguito saranno divisi in due parti, Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909). Anche in questo caso protagonista è la vita della campagna: il fanciullino che è in Pascoli cerca in ogni cosa (e preferibilmente nella natura) elementi di poesia ingenua e spontanea. La novità è data dal metro e dallo sviluppo narrativo: Pascoli si cimenta con i Poemetti in componimenti decisamente più lunghi e costruiti rispetto a Myriace; per essi ricorre alla terzina, sul modello di Dante.
Un’ampia parte di questi componimenti costituisce una sorta di storia romanzata di una famiglia toscana, osservata attraverso i vari momenti della vita contadina. Nel lungo poemetto Italy, dedicato a una famiglia di contadini della Lucchesia emigrati in America e successivamente tornati in Italia, risalta invece la sperimentazione del linguaggio, inedito impasto di toscano e di italoamericano.

I Canti di Castelvecchio
Al 1903 risale la pubblicazione dei Canti di Castelvecchio. Il titolo richiama la dimora in Garfagnana nella quale Pascoli volle ricostruire, con la sorella Maria, il nido degli affetti familiari. A predominare sono ancora i temi tratti dalla vita della campagna, cui si mescolano liriche ispirate dai ricordi dell’infanzia vissuta a San Mauro e dai familiari scomparsi. Il paesaggio toscano della valle del Serchio finisce così per sovrapporsi, nel ricordo e nel simbolo, a quello romagnolo, in cui Pascoli era cresciuto. I Canti di Castelvecchio costituiscono il libro più maturo di Pascoli: l’opera mostra un uso sistematico del simbolismo e dell’analogia, gli strumenti poetici più idonei a cogliere il mistero di cui il poeta si sente circondato.

Poemi conviviali
Oltre ai temi campestri, dimessi, di Myriace e dei Canti di Castelvecchio, la poesia di Pascoli praticò anche un’altra tonalità, più ariosa, impegnata a descrivere, narrare, insegnare. Era la linea (di sapore classicista) che, già avviata con i Poemetti più ampi e ambiziosi, si realizzò pienamente prima con i Poemi conviviali (1904), e poi con il volume di Odi e Inni (1906), i cui testi s’incentrano su personaggi contemporanei o moderni, resi illustri da gesta di valore e scoperte scientifiche.
I poemi conviviali sono venti coltissimi poemetti scritti in endecasillabi (sciolti o raccolti in strofette) in cui Pascoli imita il tono degli antichi carmina, le solenni poesie recitate, in onore degli eroi leggendari o di personaggi illustri, durante i banchetti. Pascoli canta perciò figure dei peoti, Omero ecc.).
La serie dei Poemi conviviali costituisce una specie di storia poetica dell’umanità alla luce del mito classico; tuttavia, neppure in questa raccolta Pascoli rinuncia alle tematiche a lui più care, come la presenza del mistero intorno a noi. Diversamente dal classicismo di Carducci, che è rimpianto e nostalgia della virtù d’un tempo, il classicismo pascoliano si sofferma su un mondo pieno d’inquietudine e anche di dolore e di fallimento: nel linguaggio prezioso e raffinato del classicismo, Pascoli trasferisce le inquietudini della propria anima moderna.

L’ultimo Pascoli
Le ultime raccolte (Odi e Inni del 1906; Le canzoni di re Enzio del 1908-09, rimaste incompiute; Poemi italici del 1911; Poemi del Risorgimento, usciti postumi nel 1913) rappresentano una forte involuzione e un chiaro abbandono della poetica del fanciullino: Pascoli si presenta come il nuovo poeta-vate della nazione, successore di Carducci. Canta temi storici, personaggi resi illustri da scoperte geografiche o scientifiche o da gesta di valore, celebra il Risorgimento o le virtù civili, in un linguaggio ancora sperimentale, ma che applicato a quegli argomenti appare molto artificioso e, quindi, poeticamente poco credibile.

Poesie in latino
Pascoli fu autore anche di un centinaio di poesie latine, i Carmina, più volte premiate al concorso di poesia latina di Amsterdam a partire dal 1892. Sono noti, in particolare, i poemetti Veianus (1891), Gladiatore (1892), Fanum Apollinis (Il tempio di Apollo, 1904), Thallusa (1911). Risalta anche in questi testi la consueta ricerca di novità: sia linguistica (il latino usato non è quello classico, di Cicerone o Virgilio, ma il latino successivo dei secoli della decadenza), sia tematica (protagonisti sono per lo più le figure di umili e oppressi).

Prose
Pascoli scrisse anche prose, diverse per contenuto e valore. Prima del Fanciullino (1897), lo scritto principale sulla propria poetica, nel 1896 aveva pubblicato un’altra importante opera di teoria poetica, Il sabato, incentrata sulle qualità sensoriali della poesia: Vedere e udire: altro non deve fare il poeta. Inoltre, negli anni in cui fu professore universitario (dal 1906) scrisse anche studi di critica letteraria: si soffermò su Leopardi (nel discorso La ginestra, letto per il centinaio leopardiano del 1898 e incentrato sul motivo della bontà), e soprattutto su Dante, un poeta che amò moltissimo. Per illustrare il tessuto simbolico della Divina Commedia (un’operazione, a quell’epoca, di grande novità), scrisse tre libri: Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La mirabile visione (1901).
A uso delle scuole compilò due antologie di poesia latina, Lyra romana (1895) ed Epos (1897), e due di letteratura italiana, Sul limitare (1899) e Fior da fiore (1900).
Salutato negli ultimi anni come maestro di vita civile, Pascoli tenne diversi discorsi ufficiali: tra questi, in occasione della guerra in Libia (1911), l’orazione di stampo nazionalistico La grande proletaria si è mossa, in cui il nido familiare sembra allargarsi all’intera nazione. Il poet auspica la collaborazione di tutte le classi sociali in vista di un’espansione coloniale che dia respiro alla richiesta di lavoro e sani la piaga dell’emigrazione.



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