Il caso Svevo alla scoperta di un grande scrittore misconosciuto
Svevo scrisse il suo terzo romanzo tra il 1919 e il 1922. Sperando di ottenere una risonanza maggiore rispetto ai primi due, decise di rivolgersi a un editore di qualche prestigio. Dopo alcuni tentativi infruttuosi presso altri editori, fu infine Cappelli di Bologna che accettò di pubblicare il libro, dietro compenso da parte dell'autore. Il romanzo uscì nell'aprile del 1923: erano trascorsi ben 25 anni dalla stampa di Senilità.
Inizialmente l'opera passò inosservata presso critici e lettori; ma nel giro di qualche anno divenne nota e apprezzata. Maturarono in tal modo le condizioni perché l'opera fosse conosciuta e apprezzata e perché il suo autore si guadagnasse quel posto centrale nella storia del romanzo novecentesco (italiano ed europeo) che oggi, concordemente, la critica gli assegna.
Zeno, un uomo malato in un mondo malato
Così, nel Profilo autobiografico del 1928, Svevo raffigura il protagonista del suo terzo romanzo:
Zeno è evidentemente un fratello di Emilio e di Alfonso. Si distingue da loro per la sua età più avanzata e anche perché è ricco. Potrebbe fare a meno della lotta per la vita e stare in riposo a contemplare la lotta degli altri. Ma si sente infelicissimo di non poter parteciparvi. E' forse ancora più abulico degli altri due.
Passa continuamente dai propositi più eroici alle disfatte più sorprendenti. Sposa ed anche ama quando non vorrebbe. Passa la sua vita a fumare l'ultima sigaretta. Non lavora quando dovrebbe e lavora quando farebbe meglio ad astenersene. Adora il padre e gli fa la vita e la morte infelicissima. Rasenta una caricatura, questa rappresentazione; e infatti il Cremieux lo metteva accanto a Charlot, perché veramente Zeno inciampa nelle cose. Ma è il destino di tutti gli uomini d'ingannare se stessi sulla natura delle proprie preferenze per attenuare il dolore dei disinganni che la vita apporta a tutti. Zeno si crede un malato eccezionale di una malattia a percorso lungo. E il romanzo è la storia della sua vita e delle sue cure.
Il punto di partenza del terzo romanzo sveviano è il tema della malattia: Zeno si sente malato e perciò intraprende una cura psicoanalitica per guarire. La cura consiste nel portare alla luce della coscienza tutti gli atti della propria vita: perciò, su consiglio dello psicanalista, Zeno decide di scrivere un diario strettamente privato. Esso sarà però pubblicato, per vendetta, da quello stesso medico.
Curandosi e scrivendo, Zeno scopre di essere effettivamente malato:
Svevo scrisse il suo terzo romanzo tra il 1919 e il 1922. Sperando di ottenere una risonanza maggiore rispetto ai primi due, decise di rivolgersi a un editore di qualche prestigio. Dopo alcuni tentativi infruttuosi presso altri editori, fu infine Cappelli di Bologna che accettò di pubblicare il libro, dietro compenso da parte dell'autore. Il romanzo uscì nell'aprile del 1923: erano trascorsi ben 25 anni dalla stampa di Senilità.
Inizialmente l'opera passò inosservata presso critici e lettori; ma nel giro di qualche anno divenne nota e apprezzata. Maturarono in tal modo le condizioni perché l'opera fosse conosciuta e apprezzata e perché il suo autore si guadagnasse quel posto centrale nella storia del romanzo novecentesco (italiano ed europeo) che oggi, concordemente, la critica gli assegna.
Zeno, un uomo malato in un mondo malato
Così, nel Profilo autobiografico del 1928, Svevo raffigura il protagonista del suo terzo romanzo:
Zeno è evidentemente un fratello di Emilio e di Alfonso. Si distingue da loro per la sua età più avanzata e anche perché è ricco. Potrebbe fare a meno della lotta per la vita e stare in riposo a contemplare la lotta degli altri. Ma si sente infelicissimo di non poter parteciparvi. E' forse ancora più abulico degli altri due.
Passa continuamente dai propositi più eroici alle disfatte più sorprendenti. Sposa ed anche ama quando non vorrebbe. Passa la sua vita a fumare l'ultima sigaretta. Non lavora quando dovrebbe e lavora quando farebbe meglio ad astenersene. Adora il padre e gli fa la vita e la morte infelicissima. Rasenta una caricatura, questa rappresentazione; e infatti il Cremieux lo metteva accanto a Charlot, perché veramente Zeno inciampa nelle cose. Ma è il destino di tutti gli uomini d'ingannare se stessi sulla natura delle proprie preferenze per attenuare il dolore dei disinganni che la vita apporta a tutti. Zeno si crede un malato eccezionale di una malattia a percorso lungo. E il romanzo è la storia della sua vita e delle sue cure.
Il punto di partenza del terzo romanzo sveviano è il tema della malattia: Zeno si sente malato e perciò intraprende una cura psicoanalitica per guarire. La cura consiste nel portare alla luce della coscienza tutti gli atti della propria vita: perciò, su consiglio dello psicanalista, Zeno decide di scrivere un diario strettamente privato. Esso sarà però pubblicato, per vendetta, da quello stesso medico.
Curandosi e scrivendo, Zeno scopre di essere effettivamente malato:
- non è mai riuscito a smettere di fumare;
- non ha mai terminato gli studi;
- non ha mai seriamente lavorato: più volte, dopo la morte del padre, ha tentato, maldestramente, di darsi agli affari, ma Olivi, l'amministratore delle due proprietà, lo ha ogni volta dissuaso, per il suo bene ;
- lo stesso matrimonio di Zeno è stato deciso da altri: dopo essere stato rifiutato dalla bella Ada, egli non è poi stato capace di dire di no Ad Augusta, la sorella di lei;
- per sentirsi più legato alla moglie, che afferma di amare, non ha trovato di meglio che intrecciare una relazione extraconiugale con la giovane cantante Carla.
- Zeno si sente malato anche fisicamente: soffre di mille piccoli sintomi (primo tra tutti, una leggera zoppia), tutte manifestazione della sua cattiva coscienza.
Per tutto ciò egli è perennemente in cerca di figure sane (il padre, la moglie, il signor Malfenti) che gli diano sicurezza.
L'ossatura del romanzo è dunque il contrasto, già vivo in Una vita e in Senilità, fra normalità e malattia. Il fatto nuovo è che a soccombere, adesso, sono i normali. Infatti Zeno si salva da una situazione fallimentare grazie a un evento imprevedibile (e da lui avversato) come la Prima guerra mondiale. Per diverse circostanze, la guerra gli reca l'inattesa fortuna economica e soprattutto una consapevolezza (una coscienza) nuova e decisiva: non è lui a essere malato, ma è la vita stessa a essere inquinata alle radici. Zeno si accorge che i cosiddetti sani, coloro che appaiono bene inseriti nella vita, per esempio il cognato Guido Speier e la cognata Ada, sono in realtà individui conformisti e ottusi, come Guido, o malati, come Ada. Quest'ultima, dice Zeno, soffre del cosiddetto morbo di Basedow, cioè di uno spreco di energia vitale: Ada non ha mai imparato a prendere la vita come viene; si appassiona troppo, ne soffre e alla fine viene travolta. Invece Zeno ha conquistato un distacco che gli permette di sorridere di tutto e di tutti, in primo luogo di se stesso; il suo sguardo straniato, diverso, obliquo, gli fa vedere la banalità altrui, dei borghesi soddisfatti, e l'assoluta relatività delle scelte e della volontà.
Il ruolo della psicoanalisi
Per raccontare la storia di Zeno, Svevo ricorre al cosiddetto narratore interno: è Zeno stesso a raccontare la propria storia, persuaso a ciò dallo psicanalista che lo ha in cura. In tal modo la psicoanalisi fa il proprio ingresso per la prima volta nella narrativa italiana, ponendosi addirittura quale motore della vicenda e ispirando direttamente molti episodi del romanzo. Per esempio, a un certo punto Zeno incorre in uno degli atti mancati diagnosticati da Freud come luogo di emersione del rimosso: Zeno segue infatti per errore il funerale di uno sconosciuto, anziché seguire il funerale del cognato Guido; ciò avviene perché egli odiava Guido, anche se non lo confesserebbe mai.
Un altro tema chiaramente psicoanalitico è il rapporto conflittuale fra padre saggio e figlio inetto (un tema che la psicoanalisi riporta al cosiddetto complesso di Edipo). Un po' in tutto il romanzo Zeno appare circondato da figure paterne, ed è un ulteriore motivo prettamente freudiano applicato alla letteratura: di volta in volta il padre (che avendo intuito tutta l'inettitudine del figlio, lo disprezzava), il suocere, l'amministratore, il medico e l'analista diventano per lui interlocutori del figlio, lo dici severi. Sono tutte figure in apparenza positive, ma in realtà il protagonista odia questi personaggi, o perlomeno è in continuo conflitto con loro. Alla fine però Zeno si prenderà grazie a circostanze fortuite, la rivincita su coloro che l'hanno sempre stimato poco. In tale conflitto affiora anche una componente sociale: Svevo vuole smascherare le ipocrisie e le falsità del mondo borghese; la famiglia in sostanza non è un ambiente più puro di una banca. Anche questo è un motivo profondamente freudiano, visto che fu proprio Freud a insistere su questi temi.
Ambiguità e contraddizioni di Zeno
- E' malato ma la malattia di cui soffre è la vita.
- Si cura dal dottor S. ma non crede nella psicoanalisi.
- E' inetto ma alla fine ha successo negli affari.
- Ama suo padre ma contemporaneamente lo odia.
- Sposa la donna che non vorrebbe ma il suo matrimonio si rivela accettabilmente felice.
- Ama la moglie ma ha una relazione extraconiugale.
- Odia il cognato rivale Guido ma lo aiuta negli affari.
- Vuole smettere di fumare ma fuma sempre l'ultima sigaretta.
- Ritrae con curiosità e interesse la vita ma non prende nulla sul serio.
- Smaschera le menzogne della società borghese ma vi si adagia placidamente.
L'ambiguità e la testimonianza della crisi
Vecchio; nevrotico; gaffeur ma lungimirante; appartenente a una ricca famiglia borghese ma inetto negli affari; capace però di risollevare le finanze della cognata, forse solo per ripicca; dispettoso e mentitore; sempre ironico e perplesso, Zeno è un personaggio supremamente sfuggente, ambiguo.
Da malato, ama il proprio stato di malato e quasi quasi si rifugia in tale condizione, perché malgrado gli autoinganni con cui continuamente maschera le proprie pulsioni intuisce che essa può dargli una percezione più autentica, o meno distorta, della realtà.
La conclusione del romanzo pare segnare una svolta: Zeno si dice guarito e lo dichiara con orgoglio al dottor S.; ad averlo guarito, afferma, non è la psicoanalisi, ma il commercio, ovvero l'attività pratica, incarnata nel successo (inaspettato per lui stesso) negli affari. Il protagonista dunque non è più un inetto? Ha davvero vinto la malattia? Non proprio. Più semplicemente, ha imparato a convivere con essa. Rispetto ad Alfonso Nitti (Una vita) e ad Emilio Brentani (Senilità) una cosa l'ha guadagnata: ora la sua inettitudine non si rovescia più in tragedia (suicidio), come accadeva in Una vita, né si traduce in inadattabilità al mondo (autoesilio), come in Senilità. Rimasto l'unico superstite dopo una vera e propria strage di rivali (il padre, il cognato Guido, lo stesso dottor S.), Zeno può accettare con maggiore serenità la vita e la sua originalità (la vita, egli ama ripetere, è originale), incluso il fatto che a dargli successo negli affari sono state circostanze imprevedibili, legate all'evento tragico (e da lui non auspicato) della Prima guerra mondiale.
In sostanze, Zeno rimane un inetto, anche se è più maturo rispetto al passato. Rievocare la propria vita lo ha reso più lucido e più consapevole. Grazie alla terapia psicoanalitica, alla quale si è volentieri sottoposto, ha imparato a guardarsi dentro, e in tal modo:
- ha capito quanto sia difficile conoscere l'universo umano dei sentimenti e della volontà;
- conosce le menzogne di cui si ammanta la salute borghese, con la sua ottusità e il conformismo, con i suoi alibi e le mistificazioni (che Zeno identifica nell'amore, nella famiglia, nelle leggi, nella religione);
- è consapevole di avere lui stesso sempre agito per motivi irrazionali e inconoscibili, ogni volta diversi da quelli che egli adduce davanti agli altri.
In tal modo Zeno diviene il testimone, forse inconsapevole e forse no, della crisi di certezze che investiva tutta la società del primo Novecento e che traduceva nell'impossibilità di conoscere non solo la realtà esterna, ma anche e principalmente se stessi. Lo vediamo dall'apocalittica conclusione del romanzo, che si congeda dai lettori con la viisone di una società violenta, incamminata verso la propria distruzione. L'umanità si è allontanata dalle sue origini, si è complicata la vita e l'ha resa terribilmente innaturale e violenta; e adesso, così pronostica Zeno/Svevo, la fine è dietro l'angolo.
La sperimentazione narrativa
Inattendibile come personaggio, Zeno lo è anche come narratore (lo dice il dottor S. e lo conferma lo stesso protagonista nel capitolo Psico-analisi). Tutto, nel romanzo, affiora dal punto di vista soggettivo di Zeno e noi non possiamo essere certi che egli dica la verità, se cioè davvero sia l'unico sano (consapevole della natura umana) in un mondo di malati (ottusi e mediocri borghesi). Non abbiamo più il superpersonaggio del narratore che smentisce sistematicamente le prospettive anomale dei personaggi Alfonso o Emilio: esiste un solo punto di vista, Zeno, ed è inaffidabile; cosicché tutto, nel romanzo, diviene inattendibile, ambiguo e sfaccettato.
Nel romanzo Svevo utilizza una particolare tecnica narrativa in fieri: l'opera cioè prende forma poco per volta, crescendo su se stessa. L'io narrante descrive eventi che gli sono capitati quando era molto più giovane: c'è dunque lo Zeno di oggi, che scrive nel presente, e c'è lo Zeno di ieri, che riprende vita dal proprio passato. In tal modo il narratore, mentre racconta, contemporaneamente giudica il proprio vissuto, passando dalla memoria all'intelligenza critica. Nasce da qui l'ironia di Zeno, quel distacco, cioè, verso la vita, propria e di tutti, che è ciò che lo salva dall'assurdità del vivere.
Non è tutto: Zeno, con il suo stile parlato e svagato, rievoca i fatti non in modo lineare, bensì con moltissime interferenze. Ripercorre più volte i medesimi anni di vita, a seconda del nucleo tematico cui essi si riferiscono (il fumo, il matrimonio, il rapporto con Guido ecc.); ricorre di continuo alla retrospezione (che informa il lettore su ciò che precede una determinata situazione) e alla prolessi narrativa (che informa sugli eventi futuri). In mano a Zeno, il passato si frantuma, perdendo compattezza e consequenzialità: è ciò che lo stesso Svevo ha chiamato il tempo misto. Perciò, per ricostruire la sequenza cronologica delle diverse vicende, chi legge deve ristrutturare l'ordine narrativo, al di là di come esso riaffiora nella coscienza del protagonista.
Non si deve pensare però a una struttura caotica: situazioni e allusioni s'intrecciano e si collegano armonicamente lungo tutto il libro, dando vita a una narrazione coerente e unitaria, In complesso, queste novità di struttura consegnano l'autore della Coscienza di Zeno alla stagione sperimentale del grande romanzo europeo, il romanzo di Proust, Joyce, Mann, Musil, Kafka.