Il libro si compone di frammenti in poesia (versi liberi) e prosa (prose liriche). Visioni di paesaggio, sensazioni e ricordi si fondono in un'originale atmosfera, nel tipico linguaggio, allucinato e febbrile, dell'autore.
Campana è stato salutato da vari critici come il padre della lirica moderna italiana, precursore di Ungaretti e degli ermetici. Altri invece limitano il suo ruolo a quello di un semplice, pur se originale, continuatore allo svecchiamento della lingua poetica tradizionale, introducendo nella nostra letteratura le decisive novità del Simbolismo francese (di Rimbaud soprattutto) e fornendo un modello per gli sviluppi successivi.
L'orfismo
Il titolo Canti orfici (1914) allude esplicitamente all'orfismo, una dottrina filosofica e religiosa dell'antichità greca. Essa si richiamava a Orfeo, il mitico poeta cantore dotato del prodigioso potere di ammaliare animali, uomini e dei; con la sua arte Orfeo aveva addirittura riportato alla vita, dall'Alde, l'amata Euridice (seppure per un tempo limitato).
Tutti i poeti che si richiamano all'orfismo attribuiscono un significato magico ed evocativo alla parola poetica; la poesia è vista come fonte di salvezza, capace di riportare alla luce un'anima immortale, ma che va risvegliata, proprio come Euridice fu strappata alle tenebre.
La poesia dunque non è decorazione, ma ha una missione suprema.
Tali presupposti animano appunto i Canti orfici di Campana, un libro in cui dominano i colori (l'oro, l'azzurro) che esprimono il bisogno di luce, e in cui ritroviamo le tematiche della notte infera e della liberazione. Dopo il francese Arthur Rimbaud (autore di Una stagione all'inferno) e Dino Campana, una linea di poesia orfica è presente in tutta la poesia novecentesca.
La troviamo per esempio nella raccolta del giovane Ungaretti, Il porto sepolto, che canta la salvezza, una liberazione che orficamente è vista risiedere fin dall'inizio in noi.