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I Canti Orfici - Dino Campana

Campana consegnò nel 1913 a Papini e Soffici, perché fosse esaminato in vista di una pubblicazione integrale, il quadernetto autografo dei suoi Canti Orfici, con il titolo di Il più lungo giorno. Quel manoscritto fu però smarrito da Soffici durante un trasloco. Campana ricostruì e riscrisse a memoria l'opera, che fu pubblicata a sue spese nel 1914, a Marradi, suo paese natale, dal tipografo Ravagli. Nel 1971, anno del ritrovamento del quaderno perduto, ci si è resi conto delle divergenze fra le due redazioni.
Il libro si compone di frammenti in poesia (versi liberi) e prosa (prose liriche). Visioni di paesaggio, sensazioni e ricordi si fondono in un'originale atmosfera, nel tipico linguaggio, allucinato e febbrile, dell'autore.
Campana è stato salutato da vari critici come il padre della lirica moderna italiana, precursore di Ungaretti e degli ermetici. Altri invece limitano il suo ruolo a quello di un semplice, pur se originale, continuatore allo svecchiamento della lingua poetica tradizionale, introducendo nella nostra letteratura le decisive novità del Simbolismo francese (di Rimbaud soprattutto) e fornendo un modello per gli sviluppi successivi.


L'orfismo
Il titolo Canti orfici (1914) allude esplicitamente all'orfismo, una dottrina filosofica e religiosa dell'antichità greca. Essa si richiamava a Orfeo, il mitico poeta cantore dotato del prodigioso potere di ammaliare animali, uomini e dei; con la sua arte Orfeo aveva addirittura riportato alla vita, dall'Alde, l'amata Euridice (seppure per un tempo limitato).
Tutti i poeti che si richiamano all'orfismo attribuiscono un significato magico ed evocativo alla parola poetica; la poesia è vista come fonte di salvezza, capace di riportare alla luce un'anima immortale, ma che va risvegliata, proprio come Euridice fu strappata alle tenebre.
La poesia dunque non è decorazione, ma ha una missione suprema.
Tali presupposti animano appunto i Canti orfici di Campana, un libro in cui dominano i colori (l'oro, l'azzurro) che esprimono il bisogno di luce, e in cui ritroviamo le tematiche della notte infera e della liberazione. Dopo il francese Arthur Rimbaud (autore di Una stagione all'inferno) e Dino Campana, una linea di poesia orfica è presente in tutta la poesia novecentesca.
La troviamo per esempio nella raccolta del giovane Ungaretti, Il porto sepolto, che canta la salvezza, una liberazione che orficamente è vista risiedere fin dall'inizio in noi.



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