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D'Annunzio: Canto Novo

Gabriele D'Annunzio aveva esordito come poeta nel 1879, quando era ancora studente al collegio Cicognini di Prato, con un libro di versi, Primo vere, stampato a spese del padre presso un tipografo di Chieti e accolto con grande interesse dai critici. Nel sonnecchiante panorama della poesia contemporanea, il giovane autore aveva saputo individuare l'unico possibile nuovo modello, rappresentato dalle Odi barbare carducciane (1877). Da questo esempio prestigioso il giovane autore aveva desunto la forma più adatta (eleganza letteraria, richiamo ai classici, metri difficili) per dare voce alla sua serpeggiante sensualità.

La sensualità dell'estate mediterranea
Questi tratti esplosero nel secondo libro di versi, Canto novo, stampato nel 1892 dall'editore Angelo Sommaruga (celebre per la rivista La cronaca bizantina, da lui stampata dal 1881 al 1885); una seconda edizione, profondamente rivista, uscì nel 1896. L'opera è la cronaca in versi di una vacanza estiva (quella del 1881), come poi sarà anche il capolavoro poetico dannunziano, ovvero Alcyone: in un certo senso, la poesia dannunziana nasce da un unico motivo ispiratorio, ovvero l'ambiente fisico dell'estate mediterranea. protagonisti sono due giovani amanti (molte liriche sono ispirate da Elda Zucconi: E.Z.) che vivono in simbiosi con la natura, tra le selve abruzzesi e la calda onda marina.

Il motivo fondamentale di Canto novo è proprio la scoperta della natura come corpo e del proprio corpo come natura: il mondo si annulla nell'io, e viceversa, secondo un fondamentale motivo che si ritrova in tutti gli autori del primo Decadentismo. L'io poeta si percepisce come una scintilla di vita nel gran fuoco universale, nel gran corpo vivente e animato della natura; perciò ambisce a fondersi in questa che è, per lui, l'unica possibile divinità.

Una patina classicheggiante per rivestire l'istinto vitale
Da tale sfondo decadente proviene anche l'ambiguo utilizzo di immagini e termini sacrali (scendo nel profondo mistero a congiungermi con gioia / con la Immortale), che tradisce, in realtà, la scomparsa di ogni dimensione metafisica e spirituale. Da qui proviene anche l'eccesso di immagini fisiche, assolutamente lontano dalla classica misura carducciana: al panismo (la natura è tutto) il giovane poeta unisce il vitalismo (la sfrenata gioia di vivere e di godere).
I raffinati metri barbari (cioè il calco in italiano dell'antica metrica greco latina) risultano strutturati più liberamente rispetto al modello di Carducci. Il giovane poeta se ne serve, assieme al prezioso linguaggio tardoromantico e classicistico, per cantare, in ampi giri sintattici, l'immensa gioia di vivere, / d'essere forte, d'essere giovine, / di mordere i frutti terrestri / con saldi e bianchi denti voraci.
Emergono qua e là vibrazioni erotiche: ora l'amata Griselda-Lalla appare in mezzo alla natura come la bella stornellatrice, ora si presenta sotto le forme agilli e scattanti dell'antilope.
Ogni tanto, però, compare una nota diversa, più mesta e sbiadita, come In faccia alla vecchia scristata massiccia muraglia: un inizio che sembra anticipare Meriggiare pallido e assorto di Montale con la sua analoga muraglia.



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