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Corazzini: Desolazione del povero poeta sentimentale

È il componimento più noto di Corazzini e il più significativo della sua poesia.
Anno: 1906.
Temi: la rinuncia a essere poeta per rimanere fanciullo, la malattia come tristezza e inettitudine.
Schema metrico: sequenza lirica dal ritmo di prosa poetica; i versi sono liberi.

Analisi del testo:
Il primo tema in evidenza, nel testo, è la rinuncia a essere poeta, esplicitata già al v. 2: Io non sono un poeta. Siamo davanti a un ribaltamento: la poesia, l'arte non hanno più una funzione d'insegnamento e orientamento presso gli uomini; io non saprei dirti che parole così vane, / Dio mio, così vane, dice Corazzini.
L'artista non è più un genio o un eroe, e neppure un vate-cantore dei destini nazionali, come era accaduto per millenni e ancora fino a Carducci e D'Annunzio. Il poeta si ritira nel suo mondo, si fa piccolo e indifeso, sceglie un suo linguaggio, senza più pretese d'insegnare il Vero e il Bene: è la nuova posizione dell'autonomia (come l'ha chiamata Anceschi) della letteratura.

Un secondo tema concerne la volontà di rimanere fanciullo, come conseguenza della rinuncia al ruolo di poeta. Qui Corazzini si mette in forte contrasto sia rispetto al poeta-superuomo dannunziano, sia rispetto al poeta-fanciullo pascoliano.

  • D'Annunzio, in L'Isotteo-La Chimera, aveva cantato: O poeta, divina è la Parola; / ne la pura Bellezza il ciel ripose / ogni nostra letizia; e il Verso è tutto. Alla Parola di D'Annunzio (la maiuscola indicava appunto la parola poetica), Corazzini oppone il Silenzio (pure in maiuscolo).
  • Il fanciullino di Pascoli, nonostante il preteso candore, nutriva in realtà delle ambizioni; si poneva come il nuovo Adamo che ridà nome e rifà nuove le cose. Invece il fanciullo di Corazzini è colui che sa soltanto morire, cioè affidare alla parola poetica il messaggio supremo della vita che si cancella e scompare, non in senso tragico, ma piangendo, offrendo la propria pena, fornendo agli uomini l'unico possibile modo di solidarietà che è il pianto di fronte alla sorte comune.

In tal modo Corazzini diviene una voce della nuova poesia in umiltà, che rifiuta i titoli e le forme altisonanti, e predilige i toni dimessi e le piccole cose quotidiane (la vita semplice delle cose).

Terzo tema, che ha grande rilievo, è quello della malattia. Il poeta non si definisce semplicemente un fanciullo, ma di più, un individuo malato (Oh, io sono, veramente malato!). La figura dell'uomo inetto e malato è una delle caratterizzazioni più tipiche della letteratura d'inizio Novecento (per esempio in Svevo).

L'elemento meno moderno del testo, invece, è la continua effusione dell'io. Corazzini ripete molte volte il pronome di prima persona e questo è un elemento ancora romantico (il titolo parla infatti di poeta sentimentale) e decadente: lo ritroviamo in Pascoli e in D'Annunzio (in La fiaccola sotto il moggio il personaggio di Simonetto dichiara:
Oh! Oh! Oh! Sono un povero malato... - Oh! Oh! altro non posso che morire...).

Gli autori successivi tenderanno invece a una presa di distanza dal proprio e dall'altrui dolore sia Montale sia Svevo opteranno per l'indifferenza.


Sul piano dello stile, sono tre gli elementi più interessanti:
  • anzitutto il fatto che la lirica si strutturi in forma di dialogo (Perché tu mi dici..., Vedi che io..., Ma tu non mi comprendi...), anche se, siamo davanti a un monologo del poeta tra sé e sé;
  • in secondo luogo la scelta di un verso lungo, così da spezzare la metrica tradizionale e avvicinarsi al ritmo della prosa;
  • infine, Corazzini ricorre frequentemente a metafore del linguaggio religioso: il testo finisce così per avvicinarsi a una sorta di preghiera cantilenante.



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