Nonostante la pubblicazione in sole cento copie da distribuire a parenti e amici, L’altrieri divenne subito famoso nella società letteraria milanese, ancora rigorosamente manzoniana. A suscitare scalpore erano anzitutto le scelte linguistiche e stilistiche. Il libro procedeva infatti con una lingua irregolare e uno di stile digressivo, in aperta sfida al manzonismo imperante. Una severa recensione, pubblicata sul periodico conservatore La perseveranza, sottolineò che in Dossi le frasi più ricercate della lingua scritta e i riboboli (termini) fiorentini erano pacificamente appajati ai lombardismi più marcati, e talvolta le crude espressioni del dialetto, li idiotismi (parole della lingua parlata) più evidenti accolti come moneta di buona lega con la semplice aggiunta di una desinenza grammaticale.
Proprio ciò che la cultura ufficiale condannava era l’elemento più originale e innovatore di L’altrieri: ovvero la tecnica modernissima del pastiche, la mescolanza linguistica, valorizzata poi nel Novecento da un altro grande scrittore lombardo, Carlo Emilio Gadda. Dossi aveva ben chiaro il suo obiettivo: come dichiarò in una lettera, mirava a una lingua che non utilizzasse modi di dire strausati, ma modi di dire, parole che, quantunque o appena coniate o tanto vecchie da sembrare novissime, inscatolano quasi perfettamente il mio pensiero. Per quanto riguarda i lettori, aggiungeva, ci faranno l’orecchio, anche se, inevitabilmente, le sue erano scelte d’elite, apprezzabili solo da un ristretto pubblico d’intenditori.