Scuolissima.com - Logo

Decolonizzazione in Africa

L'Africa, che ancora qualche anno prima della seconda guerra mondiale era un continente praticamente dominato dagli Stati europei (Inghilterra, Francia, Belgio, Italia, Spagna, Portogallo), a eccezione della piccola repubblica della Liberia, conobbe un rapido processo di decolonizzazione dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Agli anni prima della guerra risale invece l'indipendenza dell'Etiopia che, diventata colonia dell'Italia mussoliniana nel 1935, si era ricostituita in impero già nel 1941 in seguito alla resa degli ultimi reparti italiani. Solo nel 1952 era riuscito invece a proclamarsi indipendente il regno unito in Libia.
Nell'aprile 1955, su invito del presidente indonesiano Sukarno, accordatosi con il premier indiano Nehru, lo iugoslavo Tito e l'egiziano Nasser, i delegati di 29 Paesi (23 asiatici e 6 africani) che avevano da poco raggiunto l'indipendenza si riunirono a Bandung, in Indonesia. Dall'incontro emersero due elementi centrali: la determinazione nel portare avanti il processo di decolonizzazione in Asia e in Africa e la volontà di costruire e rafforzare un blocco alternativo per i Paesi di nuova indipendenza, che non li obbligasse a schierarsi con l’una o con l’altra superpotenza. Nacque così il terzo mondo, un’espressione che quando venne coniata stava a indicare appunto un nuovo schieramento, che non apparteneva né al blocco del primo mondo, quello sovietico. Sarà però solo nel 1961, con la conferenza di Belgrado, che verrà esplicitamente proclamato il principio del non allineamento: nella dichiarazione finale si ribadì il rifiuto dell’inevitabilità della guerra (anche nella sua forma fredda) e si riaffermò come unica alternativa possibile l’allargamento del fronte dei non allineati. E’ in questo scenario che vanno lette le vicende della decolonizzazione del continente africano, le cui fasi principali si delineano tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta.

L’indipendenza delle colonia del Nord Africa e la lotta di liberazione in Algeria
Nel 1956 conquistò l’indipendenza il Sudan, ex colonia inglese del Nord Africa. Nello steso anno anche le due ex colonie francesi della Tunisia e del Marocco trasformavano l’autonomia, già da tempo concessa, in vera e propria indipendenza. Più difficile e tormentata fu, invece, la lotta di liberazione in Algeria, che dal 1947 era stata dichiarata parte integrante della Francia: più di un milione di coloni francesi residenti nel Paese erano infatti decisi a difendere le posizioni economiche raggiunte in oltre un secolo di dominazione. Il Paese nordafricano dovette conquistare la propria libertà con una durissima guerra nazionale, protrattasi nelle campagne e nelle città dal 1956 al 1962, contro un esercito di occupazione di 600.000 uomini, che non rinunciò all’uso dei mezzi più spietati per reprimere le legittime aspirazioni della popolazione locale. A partire dal 1954 la lotta per l’indipendenza fu guidata da un Fronte di liberazione internazionale (Fln), che portò avanti azioni terroristiche alle quali seguirono brutali repressioni da parte francese. Nella battaglia di Algeri (1957), uno dei più drammatici episodi di guerriglia urbana, la repressione francese fu durissima e suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale e di quella nazionale. Il governo francese fu pertanto costretto, nonostante le pressioni degli oltranzisti largamente presenti nell’esercito e tra i coloni, a intavolare trattative con gli stessi dirigenti del movimento di liberazione.

De Gaulle e la Quinta Repubblica in Francia
La svolta decisiva della questione algerina fu determinata da una crisi politica che interessò direttamente la Francia. Nel maggio del 1958 ad Algeri i coloni francesi dettero vita a un comitato di salute pubblica, mentre in Francia un grande sciopero organizzato al grido Algeria francese paralizzava il Paese. La partecipazione dei militari alla protesta faceva temere un colpo di Stato e addirittura si profilava la minaccia che paracadutisti provenienti da Algeri potessero raggiungere Parigi. Di fronte a questa situazione il generale De Gaulle venne incaricato dal presidente della repubblica di formare, come primo ministro, un nuovo governo con il compito di ridirigere una nuova Costituzione. De Gaulle accettò e, dopo avere modificato la Costituzione in senso presidenzialista, venne eletto presidente della Quinta Repubblica, che si caratterizzava per un rafforzamento dei poteri sia del presidente sia dell’esecutivo, nella prospettiva di assicurare al Paese quella stabilità di governo che era mancata nel periodo precedente. La nuova Costituzione fu sottoposta a referendum popolare e approvata dall’80% dei cittadini francesi (settembre 1958).

L’indipendenza dell’Algeria
Con l’appoggio di un’opinione pubblica amareggiata dalla disfatta in Indocina e impaziente di vedere conclusa la guerra nel Nord Africa e con essa la serie di scontri sanguinosi che da mesi si susseguivano ad Algeri, il generale si mostrò deciso ad avviare le trattative per giungere a una soluzione del problema algerino. Contrarie a tale disegno erano l’ala estrema dello schieramento colonialista e le forze di destra (che pure avevano appoggiato il ritorno al potere di De Gaulle), le quali tentarono con ogni mezzo di bloccare l’azione del presidente, sostenendo l’attività terroristica dell’Oas (Organisation Armée Sécrète), una struttura paramilitare clandestina che aveva ramificazioni e aderenze un po’ ovunque. Di qui un nuovo spargimento di sangue e un odio sempre più violento tra le parti contendenti, ma anche una più intensa serie di trattative tra De Gaulle e il Fln algerino, guidato da Ahmed Ben Bella. La vicenda si concluse il 5 luglio 1962, quando l’Algeria proclamò la propria indipendenza.

L’Africa subequatoriale e il caso del Kenya
La vasta area dei Paesi africani della fascia del sud dell’equatore cominciò a rendersi indipendente nel marzo del 1957, con la trasformazione della colonia britannica della Costa d’Oro in una libera repubblica, che con il nome di Ghana incorporò anche i territori del Togo ex britannico. Nel 1960, grazie all’azione di forti movimenti nazionalistici, ottennero l’indipendenza la Nigeria e la Somalia britannica (Somaliand), che, unita alla Somalia italiana, dette origine a una grande Somalia; nell’anno seguente la conseguirono la Sierra Leone e il Tanganica: quest’ultimo, unitosi con lo Zanzibar, divenuto libero nel 1963, si trasformò nel 1964 nella repubblica della Tanzania. Molto complicata si presentò, invece, la vicenda della ricca colonia del Kenya, a causa della notevole resistenza opposta dai coloni britannici e della presenza di forze nazionaliste fra loro avversarie, l’Unione indipendentista del Kenya e il movimento estremista dei Mau-Mau, che portarono il Paese a una vera e propria guerra civile. Di qui l’intervento armato dell’Inghilterra, che tentò di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Nel 1963 però, in seguito alla nascita di un nuovo movimento unitario, l’indipendenza poté essere conquistata anche dal Kenya.

L’apartheid nel Sud Africa
Il processo di decolonizzazione vede uno scenario completamente diverso nell'Africa del Sud, dove l’Unione Sudafricana, costituitasi nel 1910, autoproclamò, nel maggio 1961, Repubblica Sudafricana. Il nuovo Stato era retto da una coalizione governativa tra i partiti che rappresentavano la minoranza bianca, che a sua volta controllava la maggioranza nera (80% circa) attraverso una rigida politica di segregazione ed esclusione razziale (aparthied). La politica razzista dell’apartheid aveva come obiettivo la separazione dei bianchi dai neri attraverso tutta una serie di limitazioni moralmente e materialmente avvilenti: dall'esclusione della vita politica al divieto di scelta della propria residenza, dall'impossibilità di liberi spostamenti da una città all'altra al divieto di stringere amicizia e di entrare in rapporto di qualsiasi natura con i bianchi. Nel 1960 anche l’African National Congress, partito nato nel 1912 per difendere i diritti della maggioranza nera, venne messo fuori legge; uno dei suoi leader più prestigiosi, Nelson Mandela, ce si era distinto per le lotte contro la segregazione, fu arrestato del 1962 e condannato all'ergastolo. In seguito alle ferme proteste degli altri Stati membri, la nuova repubblica si staccò dal Commonwealth e continuò nella sua politica razzista malgrado gli ammonimenti e le prese di posizione dell’Onu.

Rhodesia, Zambia e Malawi
La presenza nell’Africa sud-orientale di un regime bianco razzista com’era quello sudafricano, contro il quale peraltro aumentava la protesta del mondo civile, influenzò i movimento nazionalista costituii tosi a sua volta nella ricca regione della Rhodesia del Sud: anche qui la minoranza bianca proclamò unilateralmente l’indipendenza del Paese (1965), dando vita a un nuovo Stato razzista perfettamente allineato con la confinante Repubblica Sudafricana e dal 1980 detto Zimbabwe.
Sorte diversa era però toccata nel frattempo alle altre due parti dell’ampia regione rhodesiana e più precisamente alla Rhodesia del Nord e al Nyasaland, cui la Gran Bretagna concesse l’indipendenza nel 1964 con il nome di repubblica dello Zambia nel primo caso e di Malawi nel secondo.

La difficile indipendenza del Congo (Zaire)
Drammatici avvenimenti seguirono il riconoscimento dell’indipendenza del Congo da parte del Belgio. Trasformato nel 1908 da possesso personale del re belga a colonia, il Congo aveva dovuto accettare per oltre mezzo secolo un pesante sfruttamento delle proprie ricchezze naturali (ferro, rame, uranio e diamanti) senza ottenere in cambio alcun sostengo per la propria evoluzione sul piano politico e civile, e quindi per la formazione di una classe dirigente indegna. Le conseguenze di una simile politica si videro subito dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel 1960. Il capo del governo Patrice Lumumba, leader del Movimento nazionale congolese, che nelle elezioni del 1960 si era aggiudicato la maggioranza dei voti, si trovò a fronteggiare una situazione caotica: la ribellione dell’esercito agli ufficiali, gli indiscriminati massacri ai danni della popolazione bianca, la crescente ingerenza straniera, le ambizioni personali di uomini politici e militari privi di scrupoli, nonché l’intervento altrettante cause scatenanti, che finirono per determinare una spaccatura profonda nel pese e per creare un clima di vera e propria guerra civile. Al fine di sedarla, nel luglio del 1960 Lumumba chiese l'intervento dell’Onu. Di fronte ai modesti risultati ottenuti, egli prese la decisione di rivolgersi all'Unione Sovietica, con un’iniziativa che incontrò l’immediata opposizione del presidente Kasavubu, schieratosi subito dalla parte di Sese Seko Mobutu, un giovane ufficiale dotato di una forte personalità e sostenuto da un ampio consenso popolare. Mobutu, con l’appoggio anche di reparti internazionali legati all'Occidente, riuscì a impadronirsi del potere, mentre Lumuma, che nella logica del bipolarismo destava non poche preoccupazioni nelle democrazie occidentali, timorose di un’espansione dell’influenza sovietica in Africa, fu prima arrestato e poi assassinato. Per risolvere l’intricata situazione occorsero anni di grande impegno a livello politico, diplomatico e militare. La crisi sembrò infatti superata soltanto nel 1965, allorché Mobutu riuscì a imporsi sulle fazioni in lotta e ad assumere la carica di presidente del Congo, detto poi Zair.



🧞 Continua a leggere su Scuolissima.com
Cerca appunti o informazioni su uno specifico argomento. Il nostro genio li troverà per te.




© Scuolissima.com - appunti di scuola online! © 2012 - 2024, diritti riservati di Andrea Sapuppo
P. IVA 05219230876

Policy Privacy - Cambia Impostazioni Cookies