Testo Il risveglio del giovin signore di Giuseppe Parini
Già i valletti gentili udír lo squillo
De' penduli metalli a cui da lunge
Moto improvviso la tua destra impresse;
E corser pronti a spalancar gli opposti
Schermi a la luce; e rigidi osservaro
Che con tua pena non osasse Febo
Entrar diretto a saettarte i lumi.
Ergi dunque il bel fianco, e sí ti appoggia
Alli origlier che lenti degradando
All'omero ti fan molle sostegno;
E coll'indice destro lieve lieve
Sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua
Quel che riman de la cimmeria nebbia;
Poi de' labbri formando un picciol arco
Dolce a vedersi tacito sbadiglia.
Ahi se te in sí vezzoso atto mirasse
Il duro capitan quando tra l'arme
Sgangherando la bocca un grido innalza
Lacerator di ben costrutti orecchi,
S'ei te mirasse allor, certo vergogna
Avria di sé piú che Minerva il giorno
Che di flauto sonando al fonte scorse
Il turpe aspetto de le guance enfiate.
Già i valletti gentili udír lo squillo
De' penduli metalli a cui da lunge
Moto improvviso la tua destra impresse;
E corser pronti a spalancar gli opposti
Schermi a la luce; e rigidi osservaro
Che con tua pena non osasse Febo
Entrar diretto a saettarte i lumi.
Ergi dunque il bel fianco, e sí ti appoggia
Alli origlier che lenti degradando
All'omero ti fan molle sostegno;
E coll'indice destro lieve lieve
Sovra gli occhi trascorri, e ne dilegua
Quel che riman de la cimmeria nebbia;
Poi de' labbri formando un picciol arco
Dolce a vedersi tacito sbadiglia.
Ahi se te in sí vezzoso atto mirasse
Il duro capitan quando tra l'arme
Sgangherando la bocca un grido innalza
Lacerator di ben costrutti orecchi,
S'ei te mirasse allor, certo vergogna
Avria di sé piú che Minerva il giorno
Che di flauto sonando al fonte scorse
Il turpe aspetto de le guance enfiate.