di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Riassunto:
L’opera è suddivisa in otto parti, corrispondenti ad altrettanti episodi compiuti. La cornice storica si avvia dalla spedizione dei Mille di Garibaldi (1860), causa della caduta dei Borboni e dell’ingresso della Sicilia nell’Italia unita. Perno del racconto è il nobile siciliano don Fabrizio Corbera principe di Salina: è lui il gattopardo del titolo (nello stemma di famiglia campeggia, appunto, un gattopardo rappante). La sua figura fu ispirata dal bisnonno paterno dello scrittore, Giulio di Lampedusa, nobile e astronomo.
Don Fabrizio è ancora ricco e potente, benché il suo patrimonio sia intaccato da amministratori disonesti. Trascorre le sue giornate tra studi di astronomia, vita di società e dialoghi con il gesuita padre Pirrone, il cappellano di famiglia. Vive con la moglie Maria Stella, i sei figli (compreso l’inetto Paolo, il primogenito) e il nipote Tancredi Falconieri. Quest’ultimo, furbo e intraprendente, è il figlio della sorella, ma il principe lo ama più di tutti: è l’unico al quale riconosce la tempra Salina. Don Fabrizio non vuole occuparsi di politica: intuisce che l’arrivo dei garibaldini prelude a grandi cambiamenti; sa che la sua classe sociale sarà scalzata dal nuovo ceto borghese, arrivista e affamato di potere e di terre. Però non sa, né vuole, opporsi a questi cambiamenti. Quando Tancredi lo informa che si arruolerà nei garibaldini (Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi dice) il principe è addirittura contento: intuisce che il nipote farà strada, perché saprà intendersi con i nuovi potenti. Durante un soggiorno dei Salina nella residenza estiva di Donnafugata, Tancredi s’innamora di Angelica, figlia di don Calogero Sedara, un contadino arricchito. A don Calogero e ad Angelica quelle nozze nobili forniranno il prestigio sociale che desideranno; Tancredi invece, è nobile ma povero, perché la sua famiglia d’origine è rovinata. Entrambi i giovani hanno fatto i loro calcoli, che però restano in secondo piano, nobilitati dal loro innamoramento sincero e sensuale. A Don Fabrizio quelle nozze paiono il segno dello stravolgimento di un mondo; fino a poco prima le avrebbe respinte, ma ora le benedice.
Annessa la Sicilia al Regno d’Italia, un emissario piemontese viene a proporgli il saggio di senatore: ma il principe rifiuta, indicando per quelle carica proprio Sedara (che la otterà 10 anni più tardi). Scettico e distaccato, don Fabrizio assiste al passaggio dei poteri, simboleggiato nella partecipazione comune dei Salina e dei Sedara a un gran ballo in casa di nobili palermitani. Nell’estate del 1883 il principe muore: ha accanto Tancredi, divenuto deputato, e i figli, spenti e appassiti. Un ultimo episodio, ambientato nel 1910, mostra le tre sorelle Salina, ormai anziane e rimaste nubili, dilapidare gli ultimi scampoli di ricchezza e di prestigio collezionando false reliquie religiose. Dopo una visita del cardinale di Palermo alla loro cappella privata, quegli inutili oggetti finiranno nei rifiuti. La narrazione è dominata da un funebre senso della morte e dall’acuto scetticismo su ogni speranza di rinnovamento. L’attenzione, dal piano storico o realistico, si sposta via via al livello del simbolo: la decadenza della nobiltà siciliana e il fallimento del Risorgimento diventano metafora di una più generale condizione umana. Essa s’incarna nel vecchio principe, ormai rinchiuso nella cura sterile della propria persona e in un mondo immobile e fuori del tempo: egli sa, con distaccata e amara consapevolezza, che gli stessi mali di ieri torneranno, inalterati, domani. La storia è immodificabile, tutta la realtà appare irrazionale, inconsistente. Fu tale spirito reazionario e passivo a essere rimproverato dai critici marxisti. Oggi però la critica legge nella figura dell’aristocratico Salina un desiderio di libertà e ‘indipendenza, anche dai compromessi della politica, che suona come messaggio paradossalmente rivoluzionario.
1° Parte “Il Gattopardo” < Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi>
Alla notizia dello sbarco in Sicilia di Garibaldi, Tancredi decide di unirsi ai nuovi venuti. Non lo fa per spirito patriottico o per l’entusiasmo di un rinnovamento sociale e politico, ma per il fine esattamente contrario, ovvero per impedire qualsiasi vero cambiamento. La difesa del proprio privilegio sociale è cio che accomuna istintivamente zio e nipote. Il colloquio mette a confronto i due personaggi. Poche ma essenziali battute servono a Tancredi per motivare la propria decisione. Don Fabrizio ha opinioni diverse, ma non reagisce davanti alle intenzioni del nipote (partire per rifugiarsi in montagna e partecipare alla lotta a fianco dei garibaldini). Anzi, sembra quasi lasciarsi sedurre da lui: accetta impertinenze e provocazioni. Il principe sembra delegargli il bisogno di agire e anche quelle emozioni che, a lui, sono impedite dalle sue astratte e capricciose regole morali e intellettuali. L’ironia e la tonalità dominante del brano. Il narratore la orienta di volta in volta, a seconda dei diversi punti di vista. Ora, per voce di Tancredi, è il principe a essere oggetto della sfrontata impertinenza del nipote (zione, ruderi libertini, sussidi la rivoluzione).
Ora invece è don Fabrizio stesso a dare sfogo al sarcasmo: verso Paolo, il figlio pavido, e verso le sue occupazioni preferite (il cavallo Guiscardo);
verso il tricolore, la bandiera d’Italia, presso a vessillo di chi, come Tancredi, vuole il cambiamento.
In altri casi è il narratore a prendersi gioco del suo personaggio, sorprendendolo in atteggiamento vanitoso:
infatti, nel momento del nodo alla cravatta (che prelude al successivo mostrarsi in tutta la sua eleganza, il principe dimentica ogni altra preoccupazione, specie quelle politiche,
la stessa vanità gli suggerisce il frivolo paragone tra la propria prestanza fisica a quella, molto meno imponente del giovane nipote (quattro ossa incatenate).
La morte del principe
Il principe di Salina, il Gattopardo, sta per morire. A nulla sono valsi i consulti dei medici a Napoli, e di ritorno da quella città, dopo un faticoso viaggio, ha dovuto sostare in un albergo di Palermo perché la villa è troppo lontana. Egli, circondato dalle premure di figli e nipoti, si rende conto perfettamente che le sue condizioni si sono aggravate e, senza opporre resistenza, accetta il prete per la benedizione dei moribondi. Poi, astraendosi in se stesso, fa il bilancio consuntivo della sua vita e si accinge ad accogliere la morte senza rimpianti e senza timore, vedendola arrivare più bella di come l’aveva immaginata.
Commento della morte del principe
Don Fabrizio Salina è consapevole della sua fine imminente, ma conserva padronanza di sentimenti, la lucida consapevolezza delle cose e la loro giusta valutazione, il suo nobile distacco degli avvenimenti contingenti da cui non è mai dominato. Anche in questi momenti prevale la sua natura di uomo forte e positivo che ha considerato per tutta la vita l’eventualità della morte, senza mai temerla. Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, la facoltà di esistere, la vita insomma, e forse anche la volontà di continuare a vivere andassero uscendo da lui, lentamente… Ora può tirare le somme dei suoi 73 anni e si chiede quanti quelli felici?
Troppo pochi. E al ricordo dei lunghi periodi di noia guarda alla morte con maggiore dolcezza e gli appare più bella di come lpavesse intravista negli spazi stellari.
Non sentiamo nessun rimpianto nei suoi pensieri, ma piuttosto un pacato desiderio di ricordare il meglio della sua vita, piccole cose (uno sguardo, una donna, un profumo, un incontro d’amore…) da portare con sé, e nemmeno tanto importanti ora che il fragore dei sensi stra per placarsi definitivamente in lui.