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Ode su un'urna greca, Keats

Il poeta contempla incantato le figure che balzano ancora vive e festose dal fregio elegantemente scolpito su un'antica urna greca. In quelle scene che lo scultore ritrasse con arte sapiente in tempi lontani, vivono ancora oggi figure di uomini e di divinità, di painte e di fanciulle, in atteggiamenti leggiadri e festosi, splendenti di perenne bellezza. Quelle effigi si conserveranno così intatte per sempre, anche quando le generazioni umane saranno irrimediabilmente guastate dal tempo; perchè, sembra dirci il poeta, soltanto l'arte, nella fugacità delle cose umane , è creatrice di una bellezza che il tempo non lascia invecchiare.

Analisi
La potente immaginazione lo rende capace di astrarsi dal mondo presente in quella che Praz ha chiamato narcosi rievocando momenti della sensuale civiltà ellenistica, mista a tratti "gotici e orientaleggianti". La poesia che forse meglio di tutte rappresenta questi ideali è Ode on a Grecian Urn (Ode a un'urna greca), in cui Keats descrive un momento di estasi evocato dalla vista di un gruppo di ragazzi che rincorrono delle fanciulle: una corsa immortalata nel tempo, giovinezza e desiderio che non finiranno mai perché mai quei giovani raggiungeranno quelle fanciulle, e mai invecchieranno. Fotogramma di un film senza inizio e senza fine. L'estetica di Keats risente di "un esotismo classicheggiante, che contiene talora in embrione, talora in pieno sviluppo, tutti gli elementi del tardo romanticismo e del decadentismo della fine dell'Ottocento [...] Padre dell'estetismo, il Keats non è un esteta: il succo della sua poesia è a base etica" (Praz). Lo è perché la bellezza è per lui capace di trarre il meglio di noi stessi.

L'ode si articola in due scene distinte
Scena prima (strofe 1-3) Il poeta si rivolge all'urna, sposa inviolata del sonno e figlia del Tempo o del Silenzio, che porta istoriati giovani (dei o esseri umani) trascorrenti una lieta vita là nell'antica Grecia, nella splendida Tempe o nelle verdi vallate dell'Arcadia. E' un dio quello che insegue una fanciulla restia alle sue profferte d'amore?
E' primavera e sembra di udire soavi melodie e il battere festoso di cembali: all'accesa fantasia del poeta quelle melodie risuonavano infinitamente più dolci di altre tante volte udite; l'orecchio non le avverte, gli risuonano dentro l'anima. Ed ecco un giovane che canta sotto un albero eternamente coperto di foglie: il suo canto durerà in eterno e l'abero non sarà mai spoglio. Lì accanto, un audace amante sta per baciare la donna che ama, ma le sue labbra non potranno mai sfiorarla: lui continuerà ad amarla e lei resterà eternamente bella e desiderata. Felici gli alberi che non perderanno mai le foglie, felice il musico che modula, infaticabile, nuovi ritmi e canti, e più felici gli innamorati nei quali arde per sempre il desiderio d'amore infinitamente più bello di ogni passione terrena che infiamma il cuore e i sensi e si spegne, sazia e stanca, senza più ardore.

SCENA SECONDA (ultime due strofe): Si apre con una serie di domande. Una folla segue in processione un sacerdote velato che guida all'altare del sacrificio un mugghiante giovenca adorna di fiori. Vuota e rimasta la piccola città, e per sempre. Splendida urna di marmo, adorna di figure, ci infondi nell'anima un senso di sgomento come di fronte all'eternità. Quando noi saremo scomparsi, tu sarai ancora lì a vedere altri dolori, altri uomini cui puoi dire:
Il bello è il vero, il vero è il bello.

Il bello consola il genere umano e lo eleva alla verità. Questa la fede del poeta.


Traduzione da inglese a italiano "Ode sopra un urna greca"

Tu della quiete ancora inviolata sposa,
alunna del silenzio e del tempo tardivo,
narratrice silvestre che un racconto
fiorito puoi così più che la nostra
rima dolcemente dire,
quale leggenda adorna d'aeree fronde si posa
intorno alla tua forma?

Di deità, di mortali o pur d'entrambi,
in Tempe o nelle valli
d'Arcadia? Quali uomini
son questi o quali dei,
quali ritrose vergini,
qual folle inseguimento, qual paura,
quali zampogne e timpani,
quale selvaggia estasi?

Dolci le udite melodie: più dolci le non udite.
Dunque voi seguite, tenere cornamuse,
il vostro canto, non al facile senso, ma,
più cari, silenziosi concenti date all'intimo cuore.
Giovine bello, alla fresca ombra mai può il tuo canto languire,
né a quei rami venir meno la fronda.
Audace amante e vittorioso, mai mai tu potrai baciare,
pur prossimo alla meta, e tuttavia non darti affanno:
ella non può sfiorire e, pur mai pago,
quella per sempre tu amerai, bella per sempre.

O fortunate piante cui non tocca perder le belle foglie,
né, meste, dire addio alla primavera;
te felice, cantore non mai stanco
di sempre ritrovare canti per sempre nuovi;
ma, più felice Amore!
fervido e sempre da godere, e giovane e anelante sempre,
tu che di tanto eccedi ogni vivente passione umana,
che in cuore un solitario dolore lascia, e sdegno: amara febbre.

Chi son questi venienti al sacrificio?
E, misterioso sacerdote, a quale verde altare conduci questa,
che mugghia ai cieli, mite giovenca
di ghirlande adorna i bei fianchi di seta?
Qual piccola città, presso del fiume o in riva al mare costruita,
o sopra il monte, fra le sue placide mura,
si è vuotata di questa folla festante, in questo pio mattino?
Tu, piccola città, quelle tue strade sempre saranno silenziose
e mai non un'anima tornerà che dica perché sei desolata.

O pura attica forma! Leggiadro atteggiamento,
cui d'uomini e fanciulle e rami ed erbe calpestate
intorno fregio di marmo chiude,
invano invano il pensier nostro ardendo fino a te si consuma,
pari all'eternità, fredda, silente, imperturbabile effige.
Quando, dal tempo devastata e vinta,
questa or viva progenie anche cadrà,
fra diverso dolore, amica all'uomo,
rimarrai tu sola, "Bellezza è Verità"
dicendo ancora: "Verità è Bellezza".
Questo a voi, sopra la terra, di sapere è dato:
questo, non altro, a voi, sopra la terra,
è bastante sapere.



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