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Figure retoriche: La sera del dì di festa

di Giacomo Leopardi
Figure retoriche:


Nei primi versi la natura e il paesaggio notturno sono i protagonisti. È un momento di grande pace e di idilliaco e autentico rapporto con la natura stessa, che infonde serenità (La notte è dolce, chiara e senza vento).

Già = metonimia; Pei balconi = attraverso le finestre

Rara…lampa = trapela qua e là la luce della lampada accesa.

Tu dormi = il motivo della donna che dorme indifferente alle sofferenze di chi l’ama è motivo classico riconducibile per esempio a Orazio; Morde = tormenta;

cura = in latino ‘affanno’.

Tu dormi (anafora, ripropone il tema dell’indifferenza, inoltre evidenzia il contrasto tra i due, sottolineato dall’uso dei pronomi Tu e Io) e io invece mi affaccio a salutare questo cielo (ciel vale anche per ‘destino’) così benigno in apparenza.

Dal v.13 inizia un ribaltamento totale del conforto della natura: essa viene definita antica - come a mostrare la precarietà della vita umana rispetto al cosmo - e onnipossente - può infatti creare o distruggere a suo piacimento; che mi fece all’affanno = che mi generò per farmi soffrire (il poeta evidenzia chiaramente come senta ostile ciò che lo circonda: la natura non è più madre ma matrigna)

Nego …speme: c’è una prosopopea; è la natura stessa che parla, personificata dal poeta, e che, come una maledizione, afferma di aver negato lui anche la speme, la speranza, e che gli occhi del poeta non brilleranno d’altro se non di pianto (un verso terribile, una frase lapidaria, che rende l’uomo disperato. Da notare il contrasto tra il verbo brillare, riferito di solito alla gioia, e il pianto a cui è associato in questo passo).

Questo…solenne = Questo è stato un giorno di festa (si rivolge di nuovo alla donna); trastulli = svaghi (degli svaghi, riposati). La immagina mentre sogna tutti gli uomini su cui ha fatto colpo e soprattutto quanti le sono piaciuti: e l’autore, con più negazioni (non io, non già), ribadisce la sua convinzione di non essere tra questi: non può nemmeno sperarlo; Qui = a questo pensiero; Al v.23 subentra l’angoscia vera propria del poeta, con una disperazione espressa in una maniera incontrollata ed esasperata, come si nota anche dai verbi “mi getto e grido e fremo”; Ahi…= si passa da considerazioni sul proprio dolore a riflessioni più generali sulla nullità di tutte le cose.

Leopardi racconta di udire il solitario canto dell’artigian, che riede a tarda notte, dopo i sollazzi, al suo povero ostello. È l’unico residuo della festa che c’è stata.

Associa il canto dell’artigiano che si allontana sempre di più per le vie a come tutto passa a questo mondo; il suono lo riporta a una riflessione sulla caducità della vita, il mondo è coinvolto nella fugacità; Volgar = feriale; Anche i versi successivi trattano ancora lo stesso tema: il tempo tiranno porta via ogni accadimento umano (ogni umano accidente).

Passa a una riflessione ancora più allargata, nella quale si domanda che fine abbiano fatto i popoli gloriosi antichi, le battaglie famose e il grande impero di Roma (domanda retorica sulla condizione di dimenticanza in cui verano antichi uomini e popoli famosi ricorrente nella letteratura preromantica)

Associando ciò al canto dell’artigiano, utilizza termini che riportano a delle percezioni sensoriali uditive, come le parole suono, grido, fragorio.

Tutto = da riferire a mondo. Vi è un ritorno all’area semantica della quiete: pace, silenzio, posa. Ragiona = discute, segno che non se ne ha più alcun ricordo vivo.

C’è il ritorno all’infanzia, nella quale, come ora, non riusciva a dormire (in veglia, premea le piume -locuzione letteraria)nel dì di festa.

Il salto nel passato è permesso dal canto dell’artigiano, tramite tra passato e presente, che anche quand’era piccolo s’udia per li sentieri.

L’affievolirsi della voce, a causa della lontananza gli faceva stringere il core similmente ad ora.

Al canto dell’artigiano Leopardi associa dunque la caducità della vita. C’è qui la consapevolezza del dolore dell’uomo.



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